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Racconto n° 2320
Autore: Marthita Altri racconti di Marthita
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Allora la pioggia
Colpa mia.
Colpa tua.
Colpa sua.
E smettiamola una buona volta. Roba da confessionale. Manco dovessimo rendere conto.
- E infatti è così. -
Ma vai.
- Ha ragione. -
Ma vai anche tu.
- Guarda che devi imparare a riflettere. -
- Prima o dopo? -
- Questa è una ragazzina e noi l'abbiamo presa sul serio. -
Brutta stronza, mi hai presa con piacere. Non te lo ricordi già più come gridavi?
- Scommetto che lo racconterai alle amiche... -
Tranquilla, le amiche non sono come te. Perché tu le batti tutte. Le stronze. Giuro.
- Piantatela. Non serve. -
Non serve perché sei un mezzo uomo.
- Cosa dovrei fare? Cosa dovrei dire? Che ha ragione una delle due? -
Ma specchiati. Dico, voltati davvero e guardati. Cosa vedi?
- Come, cosa vedo? -
Due donne alle tue spalle, ecco cosa vedi. Tu sei trasparente.
- Finiamola e schiodiamoci di qui. Ne ho abbastanza. -
Dài, omuncolo. Sembrava dovessi fare la gara di resistenza. Già sfinito?
- Ha ragione Chiara. Sei una ragazzina. -
E ve ne accorgete adesso. Prima andavo bene. Prima c'era la pioggia.
- Esatto. Prima c'era la pioggia. -
- E adesso non c'è più. -
Non so chi dei due è più stronzo.
- Pensa per te. Sei tu che hai cominciato. -
Riprendiamo con le colpe?
- Per carità, piantatela. Chiara, fa' il favore... -
- Massì, massì, ma che dica quel che vuole. -
Allora lo dico. Così magari vi rinfrescate la memoria.
C'era oggi un pomeriggio qualunque e io e la Chiara dovevamo passare a prendere il suo tipo all'ambulatorio di campagna. (Ma finiscila) Guidava la Chiara e io le chiedevo: - ma che tipo è, non so, che occhi, che capelli, che naso... - e lei a dirmi - vedrai, vedrai che fico - e giù a ridere. Il cielo era basso e grigio. (Cos'è, la storia di Cappuccetto Rosso?) Un po' prima dell'ultima curva, sai quella in salita che ti pare di andare dritto in paradiso, ciac ciac ciac, dei goccioloni così sul parabrezza. La Chiara ha attaccato il tergicristallo. (Non mi dire) Poi è apparso il paese e noi giù a ridere - ma come fa a lavorare in un posto simile? Gli porteranno le mucche? - Appena fermate davanti all'ambulatorio, si sono aperte le cateratte di tutti i cieli. (Certo che è interessante, eh?)
Allora la pioggia si è fatta cortina e il finestrino un velo compatto. Ridevo ridevo. La tua porta si è aperta. E la tua voce - leste che non ho manco un ombrello - e - cos'hai detto? Noooo - Mille tamburi rullavano in testa e le pozzanghere apparivano per magia. Non ti avevo ancora visto per bene e già il cuore batteva troppo in fretta.(Piantala.) - Hai capito che dobbiamo correre, perché non ha l'ombrello? - Di scatto ho aperto la portiera, mentre lei si schizzava di acqua marrone e tu l'abbracciavi ridendo. - Ma svelta, che t'infradici tutta! - Non ci riuscivo a muovermi in fretta. Ero sbalordita di me stessa. Un fulmine. Ecco com'è un fulmine. Velocissimo, che mica hai tempo di dire qualcosa. Dritto al cuore, ancora prima di vederti per bene. (Finito?)
Allora la pioggia mi ha inzuppato i capelli, incollandomi addosso la maglietta , mentre correvo verso di te. Già soltanto verso di te, che non toglievi gli occhi dalle mie tette modellate dall'acqua e dai capezzoli che s'indurivano mica dal freddo. Hai abbassato la saracinesca senza una parola, mentre la Chiara accendeva la luce e tu controllavi i miei fianchi disegnati da gocce lunghe come il tuo sguardo. Non mi muovevo, non c'era bisogno. Vibrava qualcosa tra noi e ci fissavamo, muti e solitari. Tu, in quel momento, eri come me. Avresti voluto essere solo con me. Invece lei parlava e rideva e - be' ma che fate voi due, le belle statuine? - Le nostre mani si sono strette in un gesto d'automi e lei si è accorta di tutto e, dicendo - be', tanto piove e tanto vale aspettare - , ha spento la luce, restando immobile, lontano da noi.
Allora la pioggia si è fatta tamburo battente, aumentando i respiri, rullando sul cuore. Senza riguardo per niente e nessuno, mi hai baciata così, fradicia d'acqua, chiudendo le mani sul seno, aprendole tra i miei capelli. Poi ti sei allontanato. Eri un'ombra, forse già qualcosa di più. Con addosso qualcosa di meno, la pelle a farti da scudo e nient'altro a negare l'evidenza della tua voglia. E le tue mani percorrevano leste e capaci ogni orlo, ogni bottone di me, fino a scioglierli in ingombro inutile. Non so quando lei mi è giunta alle spalle. Solo tardi me ne sono accorta, quando le unghie ferivano il mio ventre e scivolavano in basso, troppo in basso per trattenere le urla. Sei tu che le hai afferrato i polsi, slacciandole da me, consolandomi subito con le tue, morbide e calde. L'hai spinta di lato, avvolgendomi come un'unica pelle, spingendomi contro di lei, mormorandole - non farle male - . Mi sono abbarbicata a te come un'edera, tremando come una foglia sferzata di pioggia. Ma le sue mani non erano più nemiche. Lisce svelavano polpastrelli teneri, sapienti di corde nascoste. Ho chiuso gli occhi appoggiandomi a lei, abbandonandomi nel vostro abbraccio sollecito e nei movimenti lievi e poi forti, sempre più forti. Da me se ne andava qualcosa di tiepido e inarrestabile. La paura si arrendeva in quel modo fluido e dolce, lasciando dietro di sé cascate di brividi. E di grida. Forti, sempre più forti.
E dopo, l'ostilità crescente. Le nostre occhiate nella luce cruda, nervose, in un'avversione crescente, incontrollabile. Incomprensibile. E' stata la gelosia, strisciante batteva il suo viso emergendo in rigagnoli d'odio nei miei confronti.
Ho detto. - Che c'è? -
- C'è niente. Cosa dev'esserci? -
- Cosa dite, voi due? -
- C'è qualcosa che non va. -
- C'è niente. Basta. -
- Insomma... -
- Non ti va giù? -
- Ho detto che c'è niente. -
- Ma insomma... -
- Colpa mia se ci siamo piaciuti? -
- Certo che è colpa tua. -
- Piantatela. -
Un discorso che non doveva cominciare. Dovevamo uscire senza parlarci, senza guardarci.
Ma c'era la pioggia.
- E adesso non c'è più -
Bene, me ne posso andare per conto mio.
- Ma fammi il piacere... Ti accompagniamo noi. -
Invece sono uscita nell'aria di foglie e di cielo che di nuovo incupiva. E ancora ha ripreso la cantilena interrotta, adagio, e poi forte, sempre più forte. Mentre una voce chiamava, lontano, troppo lontano. I tuoi passi. Le mie braccia contro di te. Contro. Lo scroscio dell'acqua ormai impetuoso.
Allora la pioggia è calata tra noi, come un sipario su un atto concluso.







Marthita

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