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Racconto n° 2791
Autore: ElisaN Altri racconti di ElisaN
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Se chiudo gli occhi
Ci risiamo. Sono nuovamente piombata nella mia malinconia effervescente. Quella condizione di sospensione frustrante nel dolore gustoso. E ritorno a scrivere più motivata di prima, martellando parole dedicate in un foglio di scrittura elettronico, con il sottofondo musicale lamentoso del disco rigido, il ticchettio dei tasti pungolati dalle mie dita e fuori una pioggia che scroscia e che immagino stia rigando quelle tapparelle che questa mattina non ho sollevato.

Se chiudo gli occhi ti sento arrivare. Con passi decisi. Il mio cuore riecheggia spaesato.

Ma sono sola in questo appartamento disperso nei campi e se suoneranno alla porta non aprirò.
Ho buttato via anche le ultime sigarette. Sono stanca di procurarmi rughe ulteriori a quelle che il tempo vorrà regalarmi. Sono giorni nuovi questi. O almeno dovrebbero.
Per domani ho fissato un appuntamento dalla parrucchiera. Voglio tagliare i miei lunghi e informi capelli in un caschetto duro con la frangetta mozzata a mezza fronte. Cambierò anche colore, ho deciso. Abbandonerò il castano per sceglierne uno fra i tanti, che sia audace, eccentrico, esagerato. Faccio tutto per me e non per farmi notare. Ciò mi riempie di gioia. Mi sento finalmente cresciuta e aliena ai giudizi altri.
Illusa. So per certo che il mio inconscio mi porta a tagliare le uniche cose che ancora di me si possono tagliare.
È il dolore a cui dovrei accorciare le gambe. Ma non posso. È il burattino dello scorrere del mio tempo. Avverto che sta arrogandosi il diritto di manovrarne persino i fili. Il dolore è il burattino e il burattinaio cadenzante il mio vivere. È fatto di un legno resistente agli attacchi dell'esterno. È rivestito di una vernice impenetrabile che non si lascia tarlare, scavare, svuotare. È immutabile, imperante, punitivo.

Se chiudo gli occhi ti immagino estasiato dinanzi alla mia metamorfosi, complimentoso per la scelta, fremente per la novità.

Lunedì mi ha telefonato il capitano. Ti ricordi quel tipo che avevo conosciuto al mare? Mi ha detto che muore dalla voglia di rivedermi. Che ha preso congedo e pernotterà a Milano. So già che non ci andrò.
Ieri pomeriggio mi ha telefonato il medico israeliano, mi ha chiesto quando lo raggiungerò. Mai. So anche questo.
E la sera mi ha invitato l'avvocato, quello che vive in un castello, con gli anatroccoli e i cerbiatti nel parco. Ho rifiutato.
Sono uomini che hanno fatto parte di me, in un'altra vita. Quella antecedente al tuo incontro.
Ho camminato paciosa e tranquilla, per anni, su sentieri spianati, respirando aria pulita e detersa di polveri. Quando il mio cammino ha incrociato il tuo, il selciato si è fatto scosceso e impervio, l'aria rarefatta e inquinata. Io sono caduta, mille volte e mille ancora. Procurandomi ferite sanguinanti. Ma mi sono rialzata, claudicante e con ammaccature indelebili.

Se chiudo gli occhi so già di riconoscerti eccitato all'idea di vedermi a letto con altri uomini e ti odierò nella tua perversione da voyeur.
Sì, ti odio come ti amo e ti odio quanto ti amo. Questi sentimenti si confondono alle volte. Dentro di me, fuori di me, intorno a me.

Sei rientrato nuovamente nella mia vita e nuovamente ne sei uscito. Cosa dirti? Che lo sapevo, forse. Che quelli come te non ritornano mai per sempre, anzi che non tornano affatto, perché nella mia vita tu, volontariamente, non ci sei mai entrato. Sono io che ho riempito di te la mia esistenza, che non ho lavato mai gli indumenti che portavo ad ogni nostro incontro, per poi sigillarli sottovuoto e farne reliquia.
Come mi rende ingenua e vulnerabile l'amore. E sono soddisfatta di me, del fatto che ammetto di essere affondabile come una barca ricolma d'acqua, e di non aver paura.

Se chiudo gli occhi ti vedo abbracciarmi ruffiano, per sedare la mia ira funesta e comprarmi. Ma sai che non ho prezzo per gli altri, perché averlo con te?
Le tue dita inumidite mi scostano l'elastico degli slip, mentre la mia lingua fa l'amore con la tua.

È un male, questo mio amore per te, che mi striscia dentro, sibilando come un aspide.
Non so se, come mi hai sorpreso, così te ne andrai.
Non sei una semplice verruca da estirpare con l'azoto. Sei qualcosa di stancante, grave, tormentoso. Uno di quei virus che infettano il sangue, ammorbano le viscere e che a lungo andare ti rendono buona a nulla. Nel fisico. L'intelletto lo intasano di malsane sensazioni d'impotenza, ma lo lasciano lucido, perché tu sia la spettatrice malevola della tua disfatta. Perversione calamitosa e indefessa del male.
Mi sento espugnata come le mura troiane, sventrata come Cartagine, assediata come Parigi, aperta come Roma, esplosa come Hiroshima.
Se esistano terapie o piani di salvataggio, lo ignoro.

Se chiudo gli occhi ti sento scivolare sui miei seni brucianti, leccarli ardimentoso, mentre il tuo pene si erge dai boxer, rosso, teso, lucido di una lacrima eiaculata.

Vorrei che mi conoscessi, che vedessi al di là della femmina e che scoprissi la donna.
Ti amerei di un amore stravagante, dai toni romantici e melò, mi perderei fra i dirupi di questo sentiero su cui ho scelto di arrischiarmi, cavalcherei i flutti adamantini dei mari in burrasca, ribalterei ogni nozione di normalità, se solo tu me lo chiedessi.

In fondo, ho solo un cuore da perdere.



- L'aquila cadde vicino a me, volle farmi guerriera.
Non fu femminile vendetta ma innegabile somiglianza
a un battesimo di sangue virile. - (G.Sicari)




ElisaN

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