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Racconto n° 3037
Autore: Morgain Altri racconti di Morgain
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Terre d'Agosto
Un fragile battito delle finissime ali, e la storia non sarà più la stessa: la farfalla adesso palpita nell'inafferrabile Altrove.
A volte mettiamo in fila le parole - no, in ordine - come bambini che scrivono, labbra strette a serrare cime di matite, l'espressione prevedibilmente concentrata.
Non ci sembra che siano troppe, non ci sembra che sia troppo, le disperdiamo, ma come potrebbe fare il vento, in una disseminazione a-intenzionale e pura. Né gioco né necessità: davvero tutto ciò che accade nel mondo accade nelle parole? Uno scrittore cercherà di catturare la vita; come Prometeo, rubiamo il fuoco a cui altri si riscalderanno. Maghi e sofisti, appassionatamente intenti a ciò che amiamo, ci ritroviamo nel convivio platonico - streghe, si diceva.
Ma forse, le streghe moderne son fatte dell'invisibile essenza e tessono, remote, parole su fusi nel giardino della memoria.
Le sognanti sirene intonano il canto magnifico e intricato sfiorando corde inascoltate; cicale, null'altro che cicale, in un mondo di solerti, sussiegose formiche.

Noi non siamo visti dai nostri sogni, scriveva qualcuno.
Non siamo reali, per loro. Non più di quanto loro lo sarebbero mai per noi, ci diciamo. E - mai - non ci sembra un tempo sufficientemente lungo per includere l'impossibilità. Scrutiamo il prodigio, paventando d'averlo creato noi stessi. Non il fulgido e segreto cuore dell'ostrica, ma le luccicanti, vivide perline inanellate dal proprio desiderio.
La nostra meravigliosa storia ci appare come un arco spezzato proteso verso il nulla. Ogiva d'aria, e frammenti nel caleidoscopio della mente. Genesi di un trasalimento: il palinsesto della storia che vorresti riscrivere, levigando di smeriglio la vena minerale delle parole ma che lasci immutata, quasi fossi animato dall'indefettibile senso dell'onestà di un quacchero. Quasi la scrittura non fosse quell'erratico meretricio dei sensi e del ricordo che è.
Come un assorto giardiniere, lo scrittore prega le sue personali divinità di preservare il fantasioso Giardino - sassifraga e giunchiglia, asfodelo selvatico e fiorrancio coltivato - ma soprattutto la profumatissima, colorata peonia lì, nell'angolo, che fiorisce anche quando lui non sa. Le visioni che siamo noi a trarre, e quelle che spontaneamente sembrano venirci a cercare. Nulla di vero. Eppure, risuonano incantevolmente in noi, come conchiglie per vecchi marinai così a lungo lontani dal mare.
Achab ed Ismaele a un tempo, quasi fosse possibile essere protagonisti e testimoni insieme, ossimori viventi nell'eterna storia che, come un arco spezzato, come ogiva fatta d'aria, solo consapevole di sé nell'attimo immutabile, punta gloriosamente verso quel - dolce, splendente niente - .
Allora, cancelliamo con gesto definitivo.

E' che a chi scrive interessa rendere l'immagine di una possibile perfezione.
Inarcate pure sopraccigli, sbalordite di senso comune e dell'opportunità disattesi, - ah, Piccolo Mostro - : sì certo, ma prego, adesso silenzio.
Nudi, siete nudi al suo cospetto e sembrerà che neanche vi faccia caso, non nel modo che intendete voi - dopo potrete protestare che non v'è piaciuto, che avete perso tempo e denaro, ma ora, zitti.
Il ritratto prende forma, si fa vita. Lui tratteggia e scolpisce, lieve e furioso, poi cancella, inappagato.
Accortoccia pagine, toglie via creta e soffia lontano polvere di marmo, intimando assorto tra sé: non sorridere.
Ecco, così, non sorridere mai. Intento e curioso, ma zitto - tanto, non ti darebbe ascolto, adesso. Le - linee purissime e perfette di cesello - impresse sulla retina; incise a freddo nella mente, ma presenti più che allo sguardo.
(Danzano le mani, a occhi socchiusi. Piccole stille di fatica e piacere. Ignora entrambi).
Non puoi proibirgli nulla, adesso.
(Le butta via).
E' che chi scrive disegna con le Parole.
Fa' l'amore con me, dice al lettore. Poi potrai sollevarti e, poggiato su un gomito, contemplarmi in silenzio. O allontanarti imprecando, rammaricato della vita sprecata. Adesso, fa' l'amore con me.
Sospendi il giudizio.
E' che è una sgualdrina, la Scrittura. Talora raffinata, squisita. A volte di quelle della peggior specie e persino un po' romantica.
Altre, del tutto immemore di te e apparentemente ignara o indifferente che tu la vuoi così.

Non mescolare il bacio impuro della cortigiana con la devozione della vestale casta, è cosa più facile a dirsi. Nella realtà, tutto ciò che ci riguarda è frammisto di carne e di spirito, l'eterno e il caduco s'avviluppano, senza cesura di sorta. E' bellissimo, no?
No. Non per tutti. Nella realtà, il nostro scrittore o scribacchino o pennivendolo, come si comporta?
Sembrerebbe non avere alcun pudore. Arte e Vita che coincidono, gli appare la sua fantastica peculiarità, la rivendica, quasi.
Nulla di cui non racconterebbe (per iscritto, s'intende), a volte nel bel mezzo d'una conversazione vi scruta, vi guata, poi s'assenta, con il pensiero se non può farlo fisicamente; sta scrivendo. Non di voi - non proprio - ché non gli apparireste degni.
Mente inconsapevolmente: sta scrivendo di voi.
Pure, c'è qualcosa di cui non scriverebbe mai, e riconoscerlo equivarrebbe a dargli forma, quindi sostanza. Il suo stesso diniego lo disvelerebbe, per contrasto e ad esclusione, perciò non ne parlerà. Il misterioso quid resiste al suo slancio di narratore, ed è la fonte segreta della sua ispirazione. Lui, perfino obietterà che esista, qualcosa che corrisponda alla vietata rappresentazione del sacro totemico. - Ispirazione - sarebbe parola vostra, rammentate.
Ma che sia l'immagine cara e segreta, un nucleo solido e immoto o l'olografia del suo desiderio, è da lì che attinge il nascosto tesoro, tra i veli di seta e la profusione di trine del più gaio, variegato e fastoso boudoir della Fantasia che mai possiate raffigurarvi.
Meditabondo e con tono riflessivo, vi parlerà della fatica e dell'austero sentire, adombrando densità disincarnate rivestite di complicate costruzioni cerebrali, nelle molte meditazioni.
Non prestategli fede.
Nel ricordo o anche solo all'occhio della mente, il fiore puro, rigoglioso e sensuale, pago di sé quale visione potente e leggiadra né ampliata né sminuita dallo sguardo che sempre ritorna, splende come una gemma.

***

Ti guardavo quasi con fastidio - ciò che viene concesso a molti non ha alcun valore, almeno per me. A meno di riuscire ad essere diversi per ciascuno, ogni volta. Sei così? Ti chiedevano i miei occhi. Sei così? Io credo di no.
L'uomo che, circondato dalle splendide falene disinvoltamente in mostra, fissava la donna completamente vestita. Senza nasconderlo.
Quale noia devono rappresentare per te, dopo tutto questo tempo. Saziano alla perfezione la tua sete, lasciandoti il gusto per qualcosa di diverso. Qualcosa che immagini, in fondo, eguale, senza esserne certo. Pure, il dubbio permane.
Somma di emozioni, ricerca (di emozioni), sperimentazione - di - emozioni - , che altro, se no?
Quando, tutto questo ha cessato d'essere degno d'attenzione come un tempo, e quando hai compreso che ti avrebbero concesso tutto anche mentre, in segreto prima e poi sempre più scopertamente, in sfida e a dispregio, li dileggiavi.
Perché loro non valgono la metà di te, e tu questo lo sai. Ma quale uomo potrebbe reggere il confronto e, comprendendo ciò che sei, restarti lealmente al fianco? E quale donna essere per te Mare e Porto, insieme?
Buon viaggio, Ulisse.

Un'irreparabile sofisticatezza.
Alcuni, uomini e donne di ampie, diversificate e invidiatissime possibilità, a volte amano intrattenersi in modi impensati.
Dev'esserci un piacere anche nella contemplazione dell'abisso.
Non fosse così, le notti sarebbero rifugio per raffinate alcove, e non affollamenti di alberghi ad ore, che a volte son proprio una scelta.
Tu guardi, e vorresti imporre a tutti il tuo edulcorato buon gusto, senza rimedio. Però guardi.
Che ci si ritenga assai evoluti o stupendamente primitivi, affermare il nostro sguardo sulle cose e sul mondo, e non affiancarlo ai molteplici possibili, non ci appare una prospettiva di una noia mortale. Appaga l'infantile senso di onnipotenza.

Gli Alieni di Ray Bradbury. Che, ovvio, son tali solo per i terrestri che ne vanno a caccia, su Marte. Alieni da cui sono bellamente sconfitti, in un primo tempo. E che poi soccombono, nostalgicamente, mentre la conquista assume toni sempre più sguaiati e quasi da operetta, non fosse per la fatale conclusione. Perché la particolarità dei Marziani è di assumere le sembianze e il temperamento di chiunque i nemici desiderino. Una bizzarria che si rivelerà una terribile arma dal doppio taglio.
Così, tu ti aggiri tra i Profili cercando il ritratto della tua Marziana. Che però, manco a dirlo, non ha nessuna intenzione di far l'Aliena (estrai un altro numero, ragazzo). L'Invasione è appena cominciata.

- E tu...? - mi dici - E tu? - Ed io... ed io.
Struggente e bellissima, ieri suonava la canzone della mia città. Non è quella in cui abito, la mia città (lo è mai, per chiunque?) così un po' di nostalgia parrebbe quasi d'obbligo. Chi mi frequenta non crederebbe mai a una mia nostalgia, né per la mia città, né per altro. Sembra che io non ne abbia, di nostalgie, a chi mi frequenta. Così, quando succede, vengo qui. E non scrivo, no. Metto su la mia musica, e lascio che vada.
- E' destino - , diceva lui. - E' il Destino... - . Lo guardavo, senza parlare.
Avessi fatto quel che tutti dicono doversi fare, lo avrei perduto.
Un nume tutelare sfaccendato ed ingegnoso presiede al cuore sbadato che inciampi nell'antieroe del primo libro d'infanzia - Steerforth, rimembri ancor - non ci si innamora a caso seguendo la rotta di oscure stelle luminose profuse su firmamenti già tracciati dalle piccole mani.
Nessun calcolo da parte mia: siamo tutti così abituati alla finzione, da non riconoscere più la sincerità o farvi gran caso. Questo assicura a chi dovesse praticarla una meravigliosa libertà.

E Tu? Tu: - Giochiamo? - mi hai chiesto l'altro giorno con voce tenera d'affetto. In verità, i tuoi affetti durano un giorno o un'ora: il tempo di stancartene. Tu, ti stanchi velocemente. Perché non c'è nulla che, velocemente, non ti venga concesso. Così, non è colpa tua, ammesso che di colpa si possa parlare, e non di una svagata collezione di rapidi affetti mancati. E a volte mi chiedo se davvero tu possa ritenertene soddisfatto. Devi esserlo, poiché a me appari felice. Dunque, non hai bisogno di me, né io posso risolvermi a credere qualcosa di diverso, avendomi tu mostrato questo.
E' sempre la medesima, trita storia: quelli come te, incapaci a rinnovare in se stesso l'interesse, ne mutano l'oggetto. Da simili banalità e da codesta noia ti chiedo di preservarmi. Non stupirti se per una volta l'irresistibilità ha trovato il suo punto di resilienza; io traggo la mia forza da altro. Ma tu mi dici: giochiamo? E ricomincia, da capo.

E' curiosa, la piccola saga di storie vampiresche che mi hai regalato, con la sua brava dedica a fianco. E' a questo modo, dunque, che ti vedi? Epperò ti contraddici, perché le splendenti e preternaturali creature si condividono, più o meno lietamente o quietamente, fra più compagni e anche compagne, indifferentemente e variatamente come solo delle creature preternaturali e letali sanno fare. Ma in eterno. O è proprio questo, che vuoi farmi comprendere: solo chi ha tutto il tempo del mondo può concedersi l'inestimabile lusso di non aver fretta. Ma tu bruci, in te stesso e ogni cosa. E forse non a caso è il fuoco, l'unica forza che possa distruggere le tue adorabili mostruosità fuori dal Tempo che si cibano di sangue altrui. Così, il cerchio dei tuoi desideri appare infine chiuso.

Mutevole, hai detto di me. Cangiante come fiamme rutilanti alimentate dal vento (di nuovo, il Fuoco. Desideri davvero bruciarti).
- E tu sei bella, amica mia, e le tue braccia sono morbide e bianche - e gambe lunghe da tenere il passo con le tue.
So dove sei a quest'ora e chi accompagna adesso quella tua andatura ampia e indaffarata a falcate altrettanto rapide. Fossati e cancelli e poi - la trappola gentile dei tuoi occhi.
- Ovunque e per il tempo che vorrai - , è ciò che vorresti sempre sentirti dire tu.
Ti prego, amico mio, dimmi qualcosa che non so.

Puntualizzi, mi leggi nel pensiero. Formuli risposte e le avanzi al posto mio. Mi anticipi. Attendi e non mi interrompi. In qual maniera, lo sai solo tu.
Ma a me, non basta.

Affermi che mi leggi e mi rileggi, come se potesse esserci un senso nascosto in ciò che ti vado scrivendo. Eppure, così trasparente - ammetto la mia debolezza - e forse è questa l'unica forza che sono disposta a riconoscermi con te. Un ri-capovolgimento del senso comune.
In ogni centimetro di pelle, in tutta la sua estensione e profondità (è più chiaro così?), non avverrà. Ma la tua voce che si fa roca già adesso, guardandomi - il mio gioco. Qualcosa di cui (non) privo te e me stessa.
Parole che non dico ma che tracci nell'aria per me con la tua immaginazione. Perché noi quando c'incontriamo parliamo d'altro. E' il nostro gioco privato in comune.
Prìvatene, e forse avresti me. Forse. Ma io non voglio e forse neanche tu. L'agguato della disillusione, nel disvelamento. O la fine, in uno dei qualsiasi modi e per una delle mille ragioni per cui potrebbe avvenire.
Come sempre avviene. Da perdere, ciascuno di noi, per l'altro. Paura? No. Vorrei poterne avere. Paura? No, non stiamo forse già giocando?

Morgain

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