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Racconto n° 3222
Autore: Matilde S. Altri racconti di Matilde S.
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Si tingono di pallida fluorescenza ...
Vi è un luogo fuori dal tempo in cui il sogno si fa sostanza.
Dove ataviche trine si srotolano obbedendo ad inconsci appetiti.
Vi si ascoltano aneliti di cuore palpitare cantici celestiali.
Vi si scorgono fiamme di passione sfrangiarsi in emozioni nascenti.
Quel luogo è il nucleo incontaminato dell'essere.
Quello privo di condizionamenti precostituiti.


Si tingono di pallida fluorescenza le dita affusolate.
Dallo schermo la luce azzurrognola si flette benigna alle mani.
Lo sguardo le avvolge stupito ammirando la velocità con cui inseguono il pensiero.
Le osservo invidiando la loro limpida certezza.
Mi colmo d'amore, consapevole del loro lasciarsi scorrere sopra la visione senza giudizio alcuno.
Le parole defluiscono al battere cadenzato, sento ogni singola lettera scolpirsi nella pelle, traendomi nel loro mondo onirico, trasformandomi da spettatrice in protagonista.

Quella donna ora sono io.


Pullula di gente frettolosa la via principale del paese.
Gruppi ridenti mi accostano e mi sorpassano, cicalando fra loro di tutto o di niente. Signore agghindate guardano le vetrine o siedono ai tavolini dei bar all'aperto. Aitanti giovanotti inseguono fanciulle imbellettate tentando approcci più o meno fortunati. Un signore distinto cammina lentamente fra la folla guardando con sussiego il bizzarro mondo circostante. Un cane scappato al padrone alza la gamba contro un albero infischiandosene di tutti e liberandosi la vescica con evidente soddisfazione.
E io sono li, sperduta e trepidante, fra questa umanità in movimento.
Sono li con mezz'ora di anticipo.
Con le mani sudate e tremanti per l'emozione.
Con un groppo alla gola che mi impedisce di proferire parola.
La bocca secca, riarsa dall'impazienza di incontrarti.

Sono quasi le nove di sera, fra poco sarai qui.

Un ragazzotto borioso mi si accosta cercando di attaccare bottone. Lo ignoro come si fa con una mosca fastidiosa, sperando capisca l'antifona e si dilegui.
So di apparire una preda.
Il vestito bianco che indosso esalta morbidamente i miei fianchi pieni e il sedere pronunciato. La scollatura, senza essere esagerata, lascia intuire la morbida curva del seno. Ma non è per attrarre sconosciuti che mi sono vestita con cura. È per piacerti. Per leggere nei tuoi occhi il desiderio.
Ma il tipo non capisce.
Si ostina a sorridere beota e a chiedere cosa fa una signora così bella tutta sola. Certamente è meglio che lui stia con me, per evitare che qualcuno si permetta di importunarmi.
Che deficiente !
Emergo dal silente raccoglimento in cui mi ero isolata per cacciare l'importuno. Dal mio viso evapora la dolcezza con cui attendevo il tuo arrivo. Si oscurano gli occhi e le labbra si irrigidiscono in una smorfia sdegnosa. La voce esce bassa e ingannevolmente mite:
- Non ho bisogno di guardie del corpo, sto aspettando un amico, quindi ti ringrazio ma vorrei essere lasciata sola. –
Non vi è limite alla stupidità di alcuni. La sua risposta è talmente scontata da equipararlo ad un galletto rupestre:
- Potrei essere io l'amico che aspetti...- accompagna le parole con uno sguardo che vorrebbe apparire da macho. Ma chi si crede di essere costui ?
Evidentemente le buone maniere con lui sono sprecate. Bando l'educazione quindi :
- Forse non mi sono spiegata bene. Ti ho appena detto che non voglio la tua compagnia, quindi alza i tacchi e vai a Fanculo ! – la mia forbita eloquenza sarebbe potuta bastare.
Ma sicuramente la tua voce ruvida dietro le spalle è estremamente più convincente:
- Il signore ti sta importunando Amore ? Spero per lui di no... - L'ho visto irrigidirsi.
Voltarsi, con un residuo di atteggiamento da bullo nella postura, e guardarti. Poi sgonfiarsi, rimpicciolirsi ed emettere uno squinternato discorso di scusa mentre indietreggiava, sparendo.

Ma noi non lo vediamo più.

Noi siamo già immersi uno nell'altro.
Un amplesso di sguardi e pensieri già ci unisce.
Racchiusa fra le tue braccia, finalmente viva. Le tue labbra si posano calde e sensuali sulla gota, scivolano umide fino alla bocca, suggono fameliche saliva e volontà. Le tue mani accarezzano i fianchi traendomi avidamente a te.
Cosce strofinate, bacino incollato, seno premuto fino a divenire un'unica carne. Appoggiati uno all'altro in precario equilibrio i nostri corpi si riconoscono e si cercano.
Indifferenti a tutto.

Nella mia testa c'è il tuo ultimo messaggio a colmarmi di eccitante aspettativa:

- Appuntamento in viale Garibaldi, Martedì sera alle ore 21.00. Indossa un abito intero e niente biancheria. Andremo a cena da - L'Arcibaldo - . Ma prima Voglio scoparti in via Cairoli, sotto la vecchia Torre degli Anelli. Voglio prenderti lì, su quel muro sgretolato, a pochi passi dal nostro ristorante. E poi a cena, con il mio seme che cola ancora caldo fra le tue cosce. –

Perverso !
Folle !
Bastardo tentatore !

Sapevi nello scrivere di risvegliare le oscure pulsioni che squarciano il perbenismo in cui mi celo.
Sapevi che il desiderio mi avrebbe portato a te ancora una volta, soggiogata dal tuo stesso delirio.
Sei droga di lussuria.
Sei paradiso e inferno.
Sei perdizione in cui voglio sprofondare anche stasera.

Potrei lasciarmi scopare anche quì, davanti a tutti, tanto mi sento mignotta in questo momento.
Aprirmi come un frutto maturo al sole, trasudando dalla buccia lacerata zuccherina essenza.
Potrei strapparti gli abiti eleganti che indossi e assaporare la fragranza del tuo uccello, ora, incurante di chi ci circonda.
Quì, su questo marciapiede lurido potrei distendermi e spalancare le gambe per accoglierti. E mi parrebbe il giaciglio più sontuoso, di sete e pizzi adorno.

Il tuo braccio sulla spalla mi guida sicuro fra la folla.

Camminiamo in silenzio. Lasciamo la strada principale e ci inoltriamo in un vicolo stretto del centro storico. Poche persone passano frettolose, indifferenti a noi. Un centinaio di metri ancora e svoltiamo in via Cairoli.
Ecco la vecchia torre.
Si erge austera e misteriosa, appena rischiarata dalla luce di un vecchio lampione che ne accarezza le pareti antiche creando ombre inquietanti. Distanziati un metro dall'altro, a circa due metri di altezza, ci sono gli anelli di bronzo da cui prende il nome. Nessuno sa a cosa servissero, forse semplicemente per legare i cavalli dei viandanti, ma c'è chi ipotizza fossero usati per legarvi gli adulteri lasciati in balia del pubblico ludibrio.
Reminiscenze di un passato oscuro.

Mi spingi contro il muro e mi baci.

Lingua dura e determinata.
Si impossessa della mia, la travolge e la risucchia con una brama che mi incendia il cervello.
La mano sotto al vestito risale le gambe in una rovente carezza fino al mio cespuglio già umido. Non indosso nulla sotto al vestito. Come mi hai chiesto.
Percepisco il tuo respiro tramutarsi in rantolo soddisfatto. La tua erezione preme prepotente sul mio ventre. Sei duro come il granito. Mi ci strofino sopra incalzante, godendo delle tue mani che abbrancano il mio culo con forza.
Ti stacchi. Il tuo sguardo è fuoco vibrante. Dalla tasca estrai qualcosa. Guardo curiosa e resto senza fiato nel capire. Due pezzi di corda grezza. Il tuo volto, mentre mi baci una mano e poi la alzi, è imperscrutabile.

Potrei fermarti.
Ma non voglio.

Leghi il mio polso all'anello. Tiri i nodi con forza, senza stringere troppo la pelle, ma senza lasciarmi spazio di fuga. Poi prendi l'altra mano, la baci con dolcezza e la alzi legandola all'anello vicino. Stessa meticolosa attenzione nel nodo.
Ora sono in balia della tua follia.
Stillano dalla mia fessura copiose lacrime di bramosia.
La tua bocca scivola umida e calda sul mio corpo indifeso e offerto.
Le tue mani volano sulla mia pelle, la dipingono di lussuria, facendomi tremare e gemere senza ritegno.
Improvvisamente ti fermi. Un mugolio di protesta mi sfugge sommesso.
Prendi l'orlo del vestito e lo sollevi lentamente.
Muovo il corpo per facilitarti.
La pelle rabbrividisce alla carezza dell'aria notturna. Si increspa man mano che la scopri. L'abito continua a salire, fino a raggiungere il viso. Non ti fermi ma lo usi per nascondermi il volto, rincalzandolo con cura dietro la nuca.
Ora sono completamente nuda, legata e cieca.

Solo adesso parli :

- Ora Amore ti lascio sola. Torno fra poco, tu resta buona e tranquilla. Se passa qualcuno potrebbe essere piacevole per te...- Resto senza parole, incredula. Certamente stai scherzando. Non puoi osare tanto !
Ma sento i tuoi passi allontanarsi e ti chiamo, improvvisamente spaventata:
- Dove vai ? Non puoi lasciarmi qui sola e legata ! – La mia voce ti insegue acuta, urlandoti improperi :
- Fermati bastardo ! Figlio di puttana torna indietro ! – Ma non rispondi.
Non ci sei più.
Sono sola.
Terrorizzata.
Rabbiosa.
Stravolta.
Ma anche terribilmente eccitata.
I capezzoli sono talmente turgidi da farmi male. La pelle è raggrinzita e sensibile a tal punto che la leggera brezza mi provoca spasimi di piacere. E fra le gambe sento aumentare l'umido tepore.
Il tempo diventa indefinito.
Tutti i miei sensi sono incredibilmente vigili. Sento lo scorrere tempestoso del sangue nelle vene. Il cuore pulsare nelle tempie. I suoni della notte dilatarsi, saturandosi di inquietanti presagi.

La brezza diventa tramontana che imperversa, si insinua, filtra gelida nei pori, riempie a forza i miei anfratti, carpendomi brividi licenziosi.

Sento dei passi. Il corpo si irrigidisce, mentre un tremore interno si spande permeandomi di esaltante turbamento.
Ora sento la tua presenza.
Sei tu, lo so.
Potrebbe essere chiunque.
Ma io so che sei tu.
Sento l'alito del tuo respiro sulle gambe.
La mano sul pube in una morsa volitiva.
Le dita camminano di taglio.
Si insinuano decise dentro la grotta carnosa.
Carezzevoli e lente percorrono avanti ed indietro il solco.
Un gemito sfugge dalle mie labbra.
Le dita continuano a sondarmi. Si infilano nella fessura, si immergono e si muovono rapide avanti e indietro. I fianchi oscillano istintivamente per agevolarle.
Un dito va a camminare fra le natiche, sfiora l'ano, lo bagna coi miei umori facendomi fremere.
Poi la tua lingua nella figa.
Mi inarco, allargo le gambe per gustarla tutta, spatola rigida che lambisce golosa traendomi mugolii estasiati, mentre il dito nel solco del culo spinge ed entra nel piccolo orifizio con forza.
Sto impazzendo di desiderio.
Il piacere è quasi insopportabile.
Sento le corde ai polsi segnarmi la pelle ma non riesco a stare ferma. Non riesco a tacere.
Sono lava incandescente che zampilla selvaggia mentre ti urlo di prendermi, di scoparmi, di farmi godere col cazzo.
Ma tu non ascolti, tu continui a leccare, continui a farmi morire a colpi di lingua, continui a succhiare e a bere il mio miele fino a quando l'orgasmo mi incendia, mi scuote, mi inebria.
Solo allora ti alzi e mi prendi con foga.
Sento le asperità del muro antico piantarsi nelle natiche ad ogni dirompente affondo.
E la tua bocca sul seno. I capezzoli a turno succhiati. Piccoli morsi di carne nella tua bocca avida.
Non riesco quasi a respirare.
I tuoi sospiri sono i miei.
La tua urgenza è mia.
Fusi da una passione che ci lacera e ci travolge fino all'apoteosi finale.
Fino a quando con un grido roco ti sciogli in me inondandomi di sperma.

Lentamente torniamo alla realtà.

L'abito è scivolato liberando il viso.
Guardo il tuo volto, stravolto dalla passione, con orgoglio.
Solo io so portarti oltre la soglia.
Tua schiava.
Tua padrona.
Instillo in te la mia lussuria mentre assorbo la tua.
Lego la tua mente come tu hai legato il mio corpo.

Sleghi i miei polsi e massaggi teneramente la pelle arrossata.
Mi tieni a lungo fra le braccia baciandomi i capelli.
Mi rassetti il vestito con cura.
Pulisci con un fazzoletto il mio viso da una sbavatura di trucco che cola su una guancia.


Ora portami a cena, Amore.
E non darmi quel fazzoletto di carta.
Non voglio pulirmi.

Sarà sublime la cena. A lume di candela, attorniati da camerieri solerti, lascerò scivolare la mano fra le gambe intingendola nella tua sborra.
Poi golosa succhierò le dita, fra un bocconcino e l'altro di nouvelle cousine.

E i nostri occhi, incatenati e complici, si empiranno di nuove fiamme.





Matilde S.

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