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Racconto n° 3667
Autore: RossaLaRosa Altri racconti di RossaLaRosa
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La vista
Una svista e ti perdo di vista.
Disattenzione pagata con lacrime amare, che verso e verserò, che assaporo per gustarne la certezza e per visualizzarne la composizione: molecole, tutto riconduciamo a frammenti di esistenza in nuclei di protoni e neutroni che si negano alla vista.
Vede vaga-mente, naviga nel sapere e disegna ogni emozione e l'elettrone che nell'ultimo orbitale, solo, annaspa in cerca del duetto a stabilire la perfezione... Tu, come l'elio, nobile e frizzante, aeriforme, affascinante.
Tu e non mi guardi più, anche se percepire (mi percepisci) è delineare sempre di quei contorni le sfumature, ed allora lo faccio io per te, che sei lontano.
Chiudi gli occhi amore mio e volgi pure la tua vita verso nuove strade e quando nel buio dei ricordi vedrai un barlume acceso (forse) da me, oppure da te (in nostalgia), di me rammenterai...

Capelli scuri sul volto ovale, tolgo la maglietta e li lascio scolare su spalle ornate da spalline di reggiseno in pizzo e guardo le onde ad increspare il liscio perché fa caldo ed un elastico, poco elegante, li ha tenuti su ed or li lascia, slacciando l'insolenza, liberi di carezzare pelle lievemente arsa dal sole. Vedo il riflesso in rosso ardore che s'insinua per le punte verso seni ancora stretti in coppe nere e poi mi accorgo che allo sguardo non ho posto dovuta attenzione.
Nasce da occhi grandi e rammenterai che non son atti a stillare il succo di tristo frutto, non stanno bene piegati al pianto eppur son vivi anche di mesto incanto. Fisso con attenzione, imprimo me nelle parole e non dimenticare che guardo io seppur addosso sento il tuo Io.
La bocca si stringe e ingoia quella parola che si riflette su labbra lucide, la vedo mormorare, mi par d'impazzire eppur non cambia fonema muto, sempre uguale ormai da ore, in quel sillabare... - basta - non c'è più vista da dedicare al volto.
Il tuo lo porto impresso nelle viscere, il mio ti seguirà in voli pindarici per quelle vie che mai saranno mie.
Fanculo lo specchio, bastardo ritratto mobile che vira e muta sotto lo sguardo e allora il seno no, voglio mirarlo attraverso una fotografia, lo so è follia; scatto l'atto d'arrestare il cuore, il reggiseno non serve più e giace immoto sul mio candore... lo tolgo e fremo, lo sguardo ardente diviene tuo il tal frangente. Grande e materno, pieno s'adagia sul sinistro braccio e la stessa mano a reggere appendice turgida, rugosa, scura, vogliosa di carezze e mai sazia d'attenzioni. Resto lì inebetita per un tempo che non so quantizzare, studio ogni piega o neo, ogni invisibile ferita, poi lecco il dito della destra e su me stessa, occhi alla fotografia, ricalco l'impronta del tornito petto... il tatto asserisce lo scatto, il tocco conferma la pienezza del desiderio in capezzoli ancora duri.
E lesta sfilo i pantaloni, via gli slip, lasciandomi avvolgere da calda aria in questa torbida estate malata.
Torno allo specchio, il mio da borsetta, e lo utilizzo fino allo spasmo perché di me voglio vedere cosa ti rende golosità in bacio. Mi stai guardando mio folle amore? Stai osservando con me, mie labbra mute? Allora vieni, rimira ove i miei occhi trovano posa e il medio della destra, ancora umido per la gentilezza concessa al seno, ad affondare su quei dettagli: vedo l'apice farsi duro e pulsante, lo sento ridere sotto la pelle, lo stuzzico, il clitoride, mentre incantata resto ad osservare le piccole labbra sussultare, riempirsi, portare a galla spuma di mare. Guardalo con me questo venire o addivenire a un desiderio fatto languore. Un solo dito, mi serve campo da riverberare, le altre restano affondate sulla scura lanugine in parte mossa, si fa carezza e la saliva che scola a filo imbratta bocca rossa e sfacciata. Troppo bagnata per aspettare, ma vaginale lo voglio avere perché così mi faresti venire tu, se fossi qui, entrando in me senza bussare, premendo te nel mio pulsante cuore di fica e amore.
E tocco il cielo con un sol dito seduta in punta sulla mia sedia, lo sguardo chino su quello specchio che ora lancio senza pensare; non serve più e lo sguardo scorre sulle cosce ove accetterei di farti dormire, ospitandoti la testa come i pensieri e con le gambe reggerei i tuoi umori... e loro salde mi faranno, ascolta bene se ti dico, affermandolo con certezza, che mi faranno danzare verso te ancora e ancora e camminare su di un filo a contenere passi per non cadere... eppure i piedi, in smalto rosso di fuoco ardito il culmine, posso vedere imprigionati in un reticolo di mosse già segnate: salvami, voglio sbagliare, salvami, fammi cadere... mi so rialzare!

La luce della sera arriva e non si accorge di me nuda innanzi a quello specchio da ore, la vista si annebbia o forse si appanna l'intenzione di stare ancora a fissare ciò che si può vedere per rammentare a te che t'appartengo ancora e qualunque sia la strada scelta, dolce oppure amara piega, sarò con te, - distante - amore...
E sono con te, struggente e ingenuo sentimento, quando chiudendo gli occhi alla ragione trasformo tutto ciò che vedo in quelle mani tue a plasmare me per divenire ciò che non si può osservare, solo sentire.




Una dedica:
Sgangherata appare l'intenzione di raccontare me e la paura manifesta di perdere ciò che tu mi dai, anche quando non lo credi.
Così m'accosto alla tastiera e batto il ritmo e dalla gola, respiro affannato e rotto, esala quell'anidride carbonica che t'imprigiona.


RossaLaRosa

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