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Racconto n° 3676
Autore: Erato Altri racconti di Erato
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La sfida
Ti amo, non vedi?
L'urlo salì in gola, rapido, ascendente, dileguandosi in un sospiro affranto. Le braccia scivolarono la nuda curva dei fianchi, nuda come la sua anima al rovescio, sola e indifesa nell'affermazione.
Non avrei mai voluto, non avrei mai dovuto.
Estirpano i sensi, quel cieco annaspare, per paura... paura di vederti scomparire dietro le ultime parole. Scomparire per sempre, scontornata in anagrammi d'aria.
Paura del vuoto. Incolmabile. Fisso e macabro come due pupille vuote.
Un cerbero sdentato e feroce, affamato dalla logistica crudele del destino che schioda e inchioda un'altalena di strade in salita, eppure combattute e tra le nuvole scalate, tenacemente d'amore scelte, per amore volute.
La scelta è il silenzio.
Per mesi, giorni, attimi, pause. Silenzio.
Non ora.
La sfida solletica il ruggito in letargo sotto le ossa dello sterno, si leva imperioso, scrolla l'ossuta criniera, artiglia il ventre e sale... sale superando il tunnel molle e oscuro della gola, sale e travolge embrioni di parole ...sale indispettito e furente ad ingombrare la bocca e il fiato; s'insinua rapido e indomabile tra i denti e scoppia l'aria intorno nel rigurgito irrispettoso di mille pensieri sciolti dalle briglie.

Cosa di me. Cosa?
Inginocchiò le parole davanti all'altare delle sue fughe opportune; cosa dunque?
Un maglio stretto sulla gola a debita distanza dalle mani, ossimoro gentile di sferzante audacia.
La bocca sulla bocca.
Taci.

Ladra nella pretesa del respiro. Dionisiaca alla vista, per lo schiudersi in croce, sul doppio combaciante, nel luogo improvvisato che scompare sempre quando identità incolla d'iniziale, d'esiziale cappio e – nell'interlinea dei baci sui seni offerti - l'amore riempie tutto lo spazio, occupa l'aria residua e muore tra le lamiere contorte dalla follia d'appartenerci.
La lingua s'incaricò di rispondere per Lei.
Un baccanale gonfio d'altera passione, le sue parole sgomitate nella bocca, l'intesa sconnessa dall'ardire, spiazzata, spossata, sorpresa e a morsi ripresa.
Tu, corona di spine, sudario d'asfalto e stelle, inerpicato rovo d'odorose fronde; Tu e la tua pelle cucita alla mia nell'intreccio d'arterie che sventra il cuore e fa deserto.
Tu e nessun'altra.
L'inganno del suffisso, pavida desinenza, mai albergò il solco tracciato dalla spada: il lessema s'erge sfrontato sul giardino di sillabe a contorno, sugli arbusti di consonante e la gemmatura vocale. Perché nulla del cuore io taccio se non lo stesso cuore.
Non si distrae lo sguardo, cosciente eppure della fisionomia inalterata di parola; rimane fisso alla spinta inarrestabile del tuo cazzo mentale, al suo muovere passo sicuro dentro il claudicare incerto e goffo della mia voglia; cedo al suo graffio sulle spalle, all'incalzare in un duetto che scarnifica le frasi che ti scrivo con la lingua sulle labbra arse, al traguardo che taglia la tua voglia, solitario e vittorioso violare dei cancelli inespugnati del mio cielo.
Irriverente nella pretesa di un sembiante che affascina persino il sudore delle vertebre, scardini il sistema immunitario del mio amore e innesti l'ago affilato ad ingravidarmi l'ultimo dei sensi. Il mio.
E mentre mi allarghi e mi allaghi, al moto sincrono del bacino s'affila una carezza d'ombra che svela d'ogni cammino il suo perché. E di passate vite e di future io colgo il nesso, nella perfetta verticalità, nel gotico trasalire che ansima la cruda carezza della tua voce smorzata dal desiderio.
Nuda mi entri dentro, di nero dipinta e di bianco vestita, sposa feconda della mia mente amante, nel capriccio di una notte insonne, nella veglia ambigua di un viaggio lontano.
La Tua carne si scioglie nell'abbraccio del mio seno, mentre senza permesso ti scopo anche le lacrime: grani lucidi sfuggiti al salmodiare d'ira, screzi vermigli, d'appassionato estro, senza controllo, senza nome.
Come mi vuoi, mio amore?
Io non so esserti se non d'amore e d'ombra.
Voce di rabbia, livido sul cuore. Quando scelgo il margine, per non invaderTi la vita e un codice scalzo per non far rumore.

- Riflesse su un berbero
suono che cinge caviglie
in danza a sfumare
su candide sfere
sul sangue che goccia da rosse ciliegie
e i tuoi occhi,
da bere.
E Tu, inginocchiata nel gotico arco
di gambe e di tralci di vene
e di orgasmi ansimati
che hanno il mio nome.
Mi piangi,
di un mare lampone,
la mente e le mani
a sbavare sul cuore -

Erato

* perché a volte l'irruenza delle parole prevale sulla saggezza del silenzio.
Perché vuol dire amore, nella pretesa di un possessivo con la maiuscola.


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