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Racconto n° 4492
Autore: Erato Altri racconti di Erato
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Neroarancio
È un giorno inquieto.
Rimescolo le ore per saltarle, sfuggo, chiudo gli occhi, tento disperatamente un'inutile fuga.
Ma tu sei lì, immobile, che ridi beffarda; musa immortale alla mia poesia.
È la stessa inquietudine d'allora, seduta a un tavolo senza importanza, mentre i colori sprizzavano fecondi da un indirizzo sullo schermo.
La stessa della fretta felice dei tacchi sulla passata pioggia, verso quel largo dove Caronte traghettava al lido.
Ho smesso la conta di tutte le volte che ti ho vista voltarti lentamente verso me, come quella sera umida di pioggia - odore nostro, consueto - che da sempre accompagna il ricordo mio di Te.
Ti ho vista di spalle, medusa d'incanto corvino, le chiome d'inchiostro a dipingerti di buio e quel velluto povero della notte a farsi muschio odoroso, sulla pelle che baciavo per la prima volta.
Mille volte ancora, una dannata movenza che dilania il cuore a morsi perché non sarà più ancora...perché di Te non resta che quella breve magia.
E poi di nuovo noi, nell'imbarazzo sciolto dei giochi d'amore, nelle schermaglie al tocco fugace della mia mano sui tuoi polsi; un intreccio d'adolescenza mi ricorda la distanza tra i nostri anni che assecondo, offrendoti la scelta di un bianco ad annegare il ghiaccio.
Vorrei ricordare tutto... tutto mi affiora, sale a galla insieme a profumi, odori, colori, arabeschi: i volti si sovrappongono... l'uomo all'ingresso, nel suo copricapo lontano, mi ha suggerito boccate di fumo ad ingannar l'attesa, sul marciapiede che ode lo scalpicciare dei passi trascorsi e di quelli a venire.
Decido per la comoda visione di una statua orientale che m'accoglie tra tintinnare e azzurro, cobalti, oro e turchesi; scelgo un divano, affondo e immagino di Te ogni cosa, ogni parola. Cambio angolazione, ti attendo e sfoglio pagine medievali, l'anacronismo del '200 monastico mi assorbe tra le pagine, lascio di me qualcosa al primo foglio in bianco.
Mi sto facendo male.
Entri nella mia vita stregandomi d'Amore.
Tu con quel tocco unico di poesia e stupita voce.
Nel breve spazio di un cielo senza ossa, molle come un respiro quieto, è il vento che s'impossessa dei pensieri in un unico, ermetico verso; solleva carezze inquiete, sintesi di quelle notti perse dentro la fuga di parole sudate, scucite, ansimate, tracimate convulse dai denti, dedicate alla carne allo specchio, riflesse due ottave più basse perché nessuno ascoltasse il nostro tremare. È un attimo: le tue dita dentro insieme all'universo e la tua voce che mi scopa l'anima.
La seta leggera della camicia scivola, scopre una spalla indifesa alla tua bocca; hai fame, insaziabile fame, percorri e divori anche le parole.
Una follia di baci senza domande, il cuoio dolce delle mani serrate sulle mani e le lingue a tradursi la poesia che cola agli angoli della bocca e quella paura antica di non riuscire a dirlo...
Poi tutto si placa, il vento, la notte. L'ultimo grano di sabbia scivola nella gola stretta di una clessidra, si deposita al fondo con un rumore assordante. Restiamo sole ad ansimare su sponde irraggiungibili, in un affanno memore di un tempo perduto per sempre.


Riavvolgo il nastro.


Intorno è una girandola di volti allegri, di amabili sete e damaschi; mi porgi le pergamene delicate in cui è avvolta la tua vita e io con cura le srotolo tra le mani e tento di decodificarne i segni con dolcezza.
Portano incensi e spezie al nostro canto e tutto è senza materia, intorno, senza voce.
Trame di lama dai tuoi occhi a predisporre il salto e io, come sperduta Alice tra le scale e i colori delle spezie, trattenendo quella felicità improvvisa come il più effimero e prezioso dei miei tesori.
Il tuo bacio trema ancora sulla mia bocca dopo tutti questi anni.
E sa di buono come allora, sa di spazi infiniti e di stupenda sete.
Sa di te che mi manchi ogni giorno, come non avessi un senso e la colpa di averti nelle vene ricordasse al mondo che c'è stato un tempo solo nostro.

Fuori è notte di streghe.
Anche stanotte che non mi sei che sogno che uccide.

"Riaffiori
in un silenzio di lama
a contorcermi il fiato,
con te
il senso triste di un 'ti amo'
diversamente abile,
che non arriva al sole."

Erato

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