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Racconto n° 1
Autore: Abel Wakaam Altri racconti di Abel Wakaam
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Miele di acacia
E' settembre, nel parco e sotto i ponti, nel cielo stormi di foglie morte sorrette da un alito di vento. Nell'aria tersa del mattino solo il rumore dei miei passi e il tonfo del mio cuore, mentre attraverso il parco, ricamato di panchine, uniche macchie chiare nel verde brillante dell'erba appena tagliata. Sullo sfondo il rosso scuro dei mattoni di cotto abbracciati dal giallo e dal viola sgargiante della vite canadese nell'ultimo suo respiro d'autunno, poi il rame antico delle gronde, abbarbicate sotto ai coppi sfaldati dal logorio del tempo, soffio inquieto che tutti porta lentamente in rovina.

Tre gradini di pietra, quattro passi sino al portale di mogano intagliato... "non serve bussare... non serve bussare"... occhi a mandorla ed il solito sorriso un po' ebete della domestica, "la signora aspetta nel salone" "la signora è appena salita dal giardino". Seguo le tue orme bagnate sul marmo tirato a lucido da cento e cento anni allo stesso modo, non mi piacciono le donne quando sono scalze, ma tu sai muoverti con maestria, cammini sulle punte girandoti sulle dita come in una danza leggera, suadente... ed ogni volta ti ho ritrovata ovunque ti sei nascosta, anche quando hai provato a farmi credere che "la signora è sul terrazzo... la signora l'aspetta in cucina" " la signora è salita in soffitta... la signora è scesa in cantina".

La signora stavolta è là dove so di trovarla, la signora ha smesso di fuggire come faceva prima... già intravedo i tuoi capelli neri... e tu seduta sulla sedia a cavalcioni, immobile come in una vetrina. Le mani strette ai pomoli di legno, lo sguardo fisso nelle nuvole che si specchiano sul lago, le grandi tende bianche si gonfiano come vele al vento trasformando il salone in un'immensa nave.

Arrivo alle tue spalle silenzioso com'è di notte il mare, ti sfioro il collo appena e già mi sembra di scoppiare... poi calmo, nel silenzio più assoluto, prendo dalla tasca il mio segreto e ti abbandono nell'attesa. Olfatto e udito, per ora non ti resta altro, per me invece solo il tatto e la vista per scardinare quella voglia di gusto che non ci vuole abbandonare... ed ora ti sento... ti sento sospirare.

Fragile, forte ma indifesa, tra le mie mani che non ti danno tregua e le mie dita delicate e decise... che sciolgono i grandi bottoni azzurri partendo dall'alto della tua candida divisa. La tua pelle... un brivido mi coglie, la bacio lentamente e ti abbandoni alle mie voglie... ma non è il momento, non lo è ancora e avverto il desiderio che ti divora. C'è un profumo nell'aria e sgorga tra le mie mani, è selvaggio e intenso, forte e denso... è impalpabile, elegante... intingo la mia lingua e la ritraggo palpitante, poi come nello studio di un grande pittore comincio a dipingerti la schiena come un capolavoro.

Linee sottili che si trasformano in ancestrali arabeschi fioriti di fresco, e ancora cerchi sinuosi, deliziosi inserti tondeggianti... che seguono le linee del tuo corpo, dolci, eleganti... ed io intingo il pennello minuto dalla punta fine, lo intingo nel miele d'acacia, lo scolo pian piano e poi confondo le rime... e poi confondo la tela, questa pelle viva che mi parla e m'incatena, questo tuo ondeggiare nelle trame del mio disegno, questo gioco perverso e dolce che mi lascia il segno.

"La signora si sta eccitando... la signora ora freme" "la signora vuole che tu scenda a dipingerla sotto la schiena" ...ed io mi infilo tra i tuoi glutei polposi, m'insinuo nel cavo dell'onda e ogni cosa coloro... "la signora sta per scoppiare" "la signora sta per godere" ...mi arresto solo un istante per baciarti bene il sedere. E' questo il momento per fermare il gioco, per avere tutto e non accontentarsi di poco... ti alzi, ti giri e l'abito cade, ti mostri a miei occhi e il mio sangue sale... su per le tempie, per il cuore, nel petto, nel ventre, nel sesso, mi accende, mi spinge, mi fa sobbalzare, ma so che stavolta io dovrò aspettare.

"La signora si siede... si fa interessante", "la signora si siede e apre le gambe" ...e le apre ai miei occhi golosi e sognanti, le mie mani ed il pennello si son fatti tremanti... eppure continuo intingo e comincio, e scalo i tuoi seni e poi li dipingo. Un tocco per uno sui capezzoli austeri ma continuo a pensare al tuo gran bel sedere, continuo a pensare quando gli sarò dentro e dalla tua bocca di classe fuggirà un lamento... si farà forte di espressioni audaci, e poi di colpo in una smorfia atroce... in una smorfia atroce.

Ora t'inzuppo, no non resisto... riempio l'ombelico senza lasciarti fiatare e poi aspetto che il miele scenda... che cominci a colare, che si divida in un delta a mo' di serpente, che salga sul colle e poi ridiscenda... e poi ridiscenda. Non un solo pelo, non hai difese, il miele che scivola con mille pretese... lo spingo, lo insinuo nei tuoi riccioli rosa... le setole fremono in quel frutto carnoso... si agita, inghiotte, assorbe, si apre, e mostra ai miei occhi di cosa è capace. Mi sfugge, poi torna, si chiude e si stringe, si torce e si avvinghia... e poi salta di gioia sulla mia lingua... sulla mia lingua.

Ora sei mia, nelle mie mani, e vedo il piacere che mostri e che brami... eccolo, appare... come un piccolo cuore pulsante che ha lasciato il suo caldo cappuccio di carne tremante. Un amo, un piccolo amo appeso ad un filo sottile... l'invisibile punta a trafiggere quel chicco impazzito... e poi io lo tendo, piano tra le mie dita... "che vile"... ora ti tengo... ti tiro... ti porto sul burrone più alto e poi ti prendo in giro... ti illudo, ti trascino, ti torturo e ora vorrei sbatterti con foga appoggiata al muro, vorrei schiacciarti, vorrei farti male, ma sento che stai già soffrendo... che stai per gridare... che stai per gridare.

Immobile... in silenzio, ti sento balbettare, "voglio essere presa... mi sento affogare" "voglio sentirti dentro... voglio che tu mi faccia male".

Dio quanto tempo che ti volevo sentire... parlare, mando via la cinese ed ora ti posso baciare... sfiorare, toccare, ti sollevo un po' i fianchi, ti stringo il sedere, poi mi infilo di sotto e ti lascio cadere... si si... ti lascio cadere... ti stringo, ti mangio, ti mordo la schiena e ti giro su un fianco, poi ti trascino come un fiume in piena, ti inondo, ti affondo e ti sento pregare, ti sento parlare, ti sento scoppiare... ti sento scoppiare... la nave affonda in questo immenso mare.

Senza più forza e senza parole, stesi sul marmo con il fiato in gola, con la bocca aperta, con le mani avvinte, le dita intrecciate e le labbra dipinte... la voglia nel ventre che ancora non passa... la tua voce un lamento e la mia una carezza. Se potessi tornare ancora un po' indietro ingannerei il tempo e lo fermerei un minuto nel momento più alto... quello che più ti è piaciuto... e poi lo nascondo tra ciò che ho vissuto.

Abel Wakaam

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