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Racconto n° 1073
Autore: Faber Altri racconti di Faber
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Il libro la parola il sorriso
Il Libro La Parola Il Sorriso.
Cronaca di Una Giornata.

Scrivi.
Poi scrivi ancora.
E poi scrivi di nuovo.
Il fiume non si asciuga.
Non si consuma.
Scrivi due racconti. E poi pensa a continuare Zeena. Ora sai che lo puoi fare, è ritornata ad essere solo un personaggio.
Poi scrivi ancora. E pensa mentre mangi una pesca.
Fai di Calippo il capitolo "uno". Come sviluppi con la bocca che sa di pesca, dopo?
Sì, la donna che dorme saprà di pesca.
Deciso.
E l'uomo, quello che dorme? Quali incroci? Quali sottrazioni dovrò inventare per rendere più gradevole poi il mio disvelare?
Sarà romanzo. Lo voglio. Parto di storie parallele. Cotte al sole di quattro lettini.
Al sole dei lettini su una spiaggia assolata si cuoce, ci si incanta col pensiero, faticosamante a volte si legge anche, a volte si sogna.
Indipendentemente dall'apertura o meno degli occhi...

Ma la ragazza là, sotto l'ombrellone.. lei.. perché mi ha sorriso?
Perché ha visto che io non ero con la testa, sdraiato al sole, ma altrove. Credo.
Ma sorride come se vedesse più chiaro di me dove ho la testa. Quasi quasi mi alzo e le chiedo.
Sì glielo chiedo.
Dove ha visto correre la mia testa.
Sono passato con questo intento a fianco all'ombrellone, rosso, a bordo di marciapiede, in cerca del getto di una doccia.
Scivolato il boxer del costume dietro la porta azzurra e bianca a stecche, a togliere il sale che ormai mi tira su tutta la pelle.
Mi ha accarezzato lei, lì in riva dopo un secondo bagno e una discreta nuotata, prima, le spalle.
Sembravano sale scolpito e non pelle al sole.
Secche e bianche sopra la pelle oramai scura.

L'ombrellone rosso della cacciatrice di sguardi persi nel vuoto dietro ai pensieri in fuga.
Ha sorriso anche mentre le sfumavo di lato, risalendo l'arenile corto, salendo al gradino di cemento della passatoia di cabine e bagni e docce.
Ma non le ho chiesto nulla.
Solo sorriso al suo sorriso.
Non avrà ancora trent'anni.
Capelli corti, poco più corti dell'altezza delle spalle.
Chiusi in una coda che sembra un pennello biondo, con le setole spalancate a e fatte larghe dalla pressione della mano del pittore sulla tela.
Giallo con ciuffi più chiari, meches e colpi di sole all'ombra del telo rosso.
Legge un romanzo francese. In lingua. Gallimard editore.
Il titolo non sono riuscito a rubarlo, nel passaggio veloce.
Capovolto sul tavolinetto tondo a metà altezza del palo dell'ombrellone.
Tavolino rosso di plastica scolorita da troppe estati sotto il cerchio di tela rossa, dilatato allo spasmo dalle stecche.
Calma di vento.
Nessuna frangia corta rossa, o laccetto appeso alle stecche, a segnalare nemmeno una lontanissima bufera.
Solo caldo di pomeriggio d'agosto.
Ha un costume verde, cotone elasticizzato, sgambato ma ampio nel coprire il culo.
Le coppe dei seni sono squadrate e ampie nel tessuto che più che triangolo lì si fa trapezio.
Lui, sulla sdraio a fianco, dorme con la Gazzetta ricaduta e scomposta dalla lettura saltellante tra le pagine, a terra.
Ha il fisico di un militare o di un poliziotto.
Un costume orrendo. A mutanda. Verde e rosso.
Non testimonia a favore del gusto della codina bionda lo stile del suo compagno di vacanza.
Sorride, lei, mentre passo, e non distoglie né sguardo né sorriso.
Danza con gli occhi senza fissare nulla, senza musica né parole.

Dopo la doccia.
Lei mi dorme a fianco.
Io leggo per quanto il sole lo permetta. Poi i pensieri ripartono e lo sguardo si sconnette da tutto.
Fino a ritornare alla ragazza lì in alto.
Guardo con intensità, anche se penso ad altro, lo splendore dei seni che posano larghi nelle coppe.
Ben divisi in alto, un solco largo, che immagini senza fatica alcuna e di istinto adatto alla bocca e alla mano, se lei fosse abbracciata alle spalle e cinta da braccia e mani salate in quel modo.
Sistema quasi per caso la spallina sinistra.

Lei si sveglia, e siamo in acqua.
Raggiungiamo a nuoto, a bracciate lunghe io e più lenta e calma lei, la quarta boa gialla.
Ci baciamo, giochiamo a stuzzicarci nascosti ad ogni sguardo dal mare, che in orizzonte dalla spiaggia, si fa impenetrabile e scuro e per nulla trasparente.
E protegge i giochi in acqua.
La bionda coi seni da dipinto pompeiano sveglia lui.
Ora sono in acqua, poche boe più vicini alla riva.
Ripete, con lui, ogni mio gesto.
E guarda.
Si fa specchio sorride e quasi ride, con lui che non capisce e si bea delle attenzioni.
Non ha l'aria di esserci nemmeno troppo abituato a confidenze così esposte.
Lui sembra quasi imbarazzato. E lei sfrontata.
I baci sono paralleli, a poche boe gialle e bianche di distanza.

Usciamo.
Fumo una sigaretta, vicino ai lettini mentre lei va alla doccia.
Io comincio a sentire al caldo di fornace estiva la pelle asciugarsi. Il primo sale imbiancare e tirare a pelle.
La coppia formata dal soldato (ma perché mi sarà mai venuta questa fissazione nel definirlo in questo modo..) e dal costume verde esce dall'acqua.
Lui stende con cura meticolosa, dopo averlo scosso, il telo, un poco scolorito, a terra.
Di pancia si asciuga al sole.

Lei strizza il codino, inarca la schiena e sorride.
Ha il sole alle spalle e sembra una scultura.
Poi di profilo il sole quasi basso disegna, stagliandolo nel controluce, il seno forte e largo, il ventre piatto, sembra quasi visibile persino l'ombra di rientranza e di peluria bionda all'ombelico. Le cosce un po' forti, e l'attaccatura a taglio netto delle natiche lì in alto.
Il culo che si attacca allo stesso modo del seno, sotto, il seno stagliato netto sul costato, il culo sul retro delle coscia.

Lei intanto torna ai nostri lettini in riva, dalla doccia, e offre il viso e i capelli lunghi bagnati al sole, sdraiata sul lettino.
Spengo la sigaretta seppellendo l'ultimo centimetro e la brace rossa.
Resta una montagnetta di sabbia, in mezzo ad altre.
Salgo alle docce.
Sfilo i boxer e ripeto la cacciata del sale da ogni angolo di pelle sotto il getto di acqua calda perché riscaldata e fatta tiepida e carezzevole dalla tubature esposte al sole.
Dalla griglie della doccia, spioventi dall'alto in basso, se guardi da dentro. Vedi fuori. I piedi e i corpi tagliati a strisce di chi aspetta.
La vedo.
Davanti alla porta, girata.
Volta a lato.
Allo specchio grande.
Si offre allo sguardo dello specchio e ai suoi occhi lì riflessi.
E al mio, che la disegna, tagliata dalle lamine bianche di plastica parallele.
Si aggiusta i capelli sulla fronte sfuggiti alla piccola coda.
Indugia, si gira, volta di nuovo, piccola parata ed esibizione per i suoi e i miei occhi.
Poi si allontana sulla sinistra.
Chiudo l'acqua ed esco.

All'uscita dalla doccia lei esce, simultanea, dal bagno delle donne.
Entrambi sappiamo che non è necessario scontrarsi, simulare una collisione per parlarci.
La parola.
Il sorriso.
Si chiama Martina.
Insegna ai bambini in un piccolo paese di montagna.
Ha 28 anni.
Lui è un carabiniere.
Si sposano in autunno.
Al suo paese, dove lui l'ha conosciuta.
E' l'ultimo giorno delle loro vacanze, corte come il suo congedo di servizio.
Partono in serata per Milano, poi, l'indomani al pomeriggio, dopo una visita a parenti di lui, di mezza giornata, in volo per la Calabria entrambi.
Lei là c'è nata, fa la maestra a 18 bambini, lui ci svolge, da tempo, il suo lavoro.

Il libro... che pensavo di scrivere e mi portava via il pensiero.
A farsi acchiappare nel suo volo, a caccia di tutto e di nulla, da chiunque, come se fosse non pensiero ma volo di farfalla.

Il sorriso... di una donna giovane con il seno e il culo di una scultura romana, giovane Licinia battezzata Martina per errore.

La parola... detta con voce gradevole e dolce. Un buongiorno che è diventato addio all'istante.
La voce sorridente.
Di una donna golosa e curiosa di pensieri e occhi in volo.
Poche parole in fondo, ma più di una sola.
Un lievissimo accento a dare quasi un'ombra di malizia.
Non leggerà mai di questa storia credo.

Di un volo di farfalla.
Un sorriso.
Una parola o più di una, poco importa.
Il libro, questo, non sarà mai scritto.

L'uomo che racconta ritornò, dopo questo, alla spiaggia, a passi svagati.
Si sdraiò sul lettino, sorrise alla donna sdraiata al suo fianco, e chiuse gli occhi.
Imprigionò negli occhi chiusi il volo di farfalla del pensiero.
Sentendone solo il rumore e il fruscio rimbombargli nella testa...

Faber

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