Questa è una pausa.
Il tempo di un pensiero.
La necessità di fiato.
Il morso del sapore del ferro in gola dopo una corsa come quando corri da ragazzo, incurante della salita, a perdifiato.
L'uomo siede sulla collina.
Guarda il sentiero quasi rievoca i suoi passi, la salita, il sapore del filo d'erba masticato.
Il cielo che minacciava pioggia alla partenza.
E poi si apre e si chiude, e danza di luci e ombre, in ordine sparso e senza altra logica del vento, lì alto, impercettibile al suolo, che scompiglia spettina e scompone e poi, caparbio, rianima e rinnova, i disegni nel cielo.
L'uomo e la donna sono lì sull'erba.
La schiena ad aderire al suolo.
Si sente la curva del pianeta sotto le reni, sono sdraiati su una curva infinita, incollati al suolo, aderenti alla terra.
Le reni percepiscono il senso della curva, sono sdraiati sentendosi coricati some se fossero foglie posate sulla crosta.
Immersi nell'erba, piegata sotto i corpi, e mossa al fianco, alta come lo spessore loro al suolo, ad ogni piccolo impercettibile movimento.
L'uomo e la donna soffiano il respiro invisibile nell'aria. Quasi vedendone le invisibili volute e il moto a mescolarsi lì dentro.
Aria nell'aria, libera da colori e da rumori e da affanno di vento
Il cielo ha tagli di nubi, gonfiori bianchi, arrovesciati e gonfi di schiuma, strisce di aerei a svanire, solo la traccia dove forse in alto c'era anche il suono. Prima.
Movimento delle strisce piu alte a scorrere lateralmente con un moto che lascia e nega il sole.
Ora lo fa apparire in uno squarcio del bianco che sembra una finestra gonfia di schiuma. Poi lo reinghiotte e lo nasconde dietro uno strato bianco luminescente.
Sfumano le strisce bianche dell'aereo nel completo silenzio.
Il cielo ha solo silenzio azzurro.
A lato della donna, tra l'erba a ciuffi irregolari, quasi nascosto, un sasso con un taglio di cristallo.
Reso opaco dalle piogge, sporco di terra a nascondere le geometrie simmetriche di quarzo, scheggiate dalle molteplici cadute e dal tempo.
La donna non vede il sasso, con la sua lucentezza pudica e nascosta, lo sente con la punta delle dita, mentre carezza l'erba con la mano, ne segue la forma, scivola con le dita sui solchi, esplora e costruisce nel pensiero una pietra che le sembra quasi viva.
Scolpisce con le dita anse spigoli e scivolo di liscio taglio.
Legge la pietra come se fosse un foglio e ne cerca, dal sorriso sembra che legga, le parole più nascoste.
L'uomo ha chiuso gli occhi e ascolta il nulla.
Ne coglie il suono, la melodia negata, il ritornello che ritorna nel pensiero come un'onda.
Il suono dell'assenza di rumore, del vuoto senza peso, del silenzio che canta.
L'uomo ha gli occhi chiusi e un raggio di luce, scappato per gioco un po' infantile nello squarcio tra le nubi, improvviso e forte, glieli fa serrare come porte.
Serrare così stretti da vedere le luci dietro le palpebre serrate.
Come un caleidoscopio della mente.
Sul sentiero della valle, lì a salire ad anse, serpente bruno immerso nel verde, nessuno che cammini.
Da lì, sul colle, a salire dove hanno posato i piedi e anche corso, nemmeno traccia delle impronte.
Da lì si perde ogni piccolo dettaglio e tutto sembra disegnato a pastello, preciso e definito.
I colori a confinare netti, come se avessero una riga a separarli, fossero dipinti affiancati e mai sovrapposti. Nessuna traccia a turbare o rompere quell'armonia di pastello. Nessun segno rimasto.
Della salita, aiutandosi per mano.
Di alcune piccole corse.
Dello scappare e raggiungersi rincorrersi col fiato corto lungo la salita.
Delle fermate e delle soste, a guardare la valle e stringersi abbracciandosi alle spalle.
Le nuvole si chiudono quasi come un sipario a fine atto.
Il vento alto gioca con quel drappo.
Riunisce fonde e confondo i grigi e i bianchi.
Ne fa drappo scomposto in mille pieghe, scuro che cresce come a fine atto, quando le luci di scena sfumano lentamente.
Il sole scivola via dagli occhi dell'uomo.
Li libera dal suo insistito bussare di luce.
L'uomo socchiude gli occhi come se prestasse non la vista ma orecchio al rumore della nuova luce.
Bassa e quasi opalescente.
Il viso della donna è lì. Alto sul suo.
Vicino e caldo di respiro. L'uomo lo sente. Arrivargli col ritmo del fiato. A carezzargli il viso.
Il viso scende.
Scende a coprire d'ombra l'uomo, a farsi eclisse alla luce filtrante alta dietro il viso di lei e le spalle. Scende come planando sull'acqua, fino a che lo sguardo, degli occhi negli occhi, fa vedere quasi un occhio solo, e non più due.
Poi sfuma, e scivola fuori fuoco anche quello, e sembra acqua e non più sguardo.
Acqua vicina all'acqua.
Gli occhi sono così vicini da non riuscire più nemmeno a vedersi, e nemmeno definire lineamenti o alcun dettaglio, mentre la donna scivola a posare le labbra, e bacia l'uomo.
Si uniscono le labbra e si carezzano le lingue.
Mentre gli occhi si sciolgono.
Si fanno liquidi e limpidi come torrenti, e scendono, nel silenzio e nel respiro soffocato tra le bocche, le ombre nella valle.
Sulla collina, ad aderire terra su terra, un uomo e una donna.
Corpi fatti radici. Rami intrecciati e scossi di braccia e di gambe.
Visti dall'alto, solo foglie.
Foglie posate sulla crosta.
Sotto di loro, caldo fino al cuore che ribolle, il mondo.
Faber