Senti. Netto sul corpo. Improvviso e voluto.
Il peso del corpo che schiaccia. Il calco. Il tuo corpo farsi guscio e modellarsi sotto.
La spinta delle mani.
Il seno serrato e non sono le tue mani a tormentarlo. Sono strette come una morsa.
Le dita a cercare di chiudere, imprigionare come una gabbia. Dita che sono sbarre calde.
La spinta secca del ginocchio che spalanca. Allarga e allontana le gambe e poi le cosce.
E sale, violenta, a battere e schiacciare. Sfrega.
Calca.
Squarcia. Divarica. Allarga.
Riempie.
Una morsa che comprime il corpo tra i seni e il pube, che ti chiude e ti fa sentire piccola e calda tra la morsa delle mani e la pressione umida del ginocchio.
Che fa piccolo l'arco della schiena e si ripercuote nelle reni.
I piedi, sotto la spinta, che si puntano a scavare il lenzuolo come sabbia. Che alzano le reni, come sotto la sua spinta, per accoglierlo meglio, assecondandone la spinta ad aprirti, sotto.
Il lenzuolo che si arriccia.
In fondo al letto, spinto dai tuoi piedi, e si fa teso, a quella spinta, è una vela in pieno vento, sotto la schiena.
La testa scivola indietro oltre il cuscino, sotto la forza del ginocchio che solleva.
Ora è come caduta oltre il cuscino, posa solo di nuca, il capo rovesciato oltre, i capelli spettinati e la bocca chiusa. Il labbro inferiore morso fino a dolere dell'abbraccio dei denti.
Gli occhi chiusi a cercare la notte nel mattino.
Il silenzio è immobile. Una tenda di velluto pesante che avvolge e isola dal mondo.
Serri le cosce ora. Comprimi e senti pulsare il sangue.
Liquido e morbido tra i muscoli serrati.
Sollevi le ginocchia a comprimere più forte ogni pensiero e voglia. Chiusa e tappata, spremuta, la mano prigioniera della carne.
Le dita scendono sul taglio che è gonfio e che si schiude.
Lucido e scivoloso, caldo di mosto, al percorso del dito che tormenta.
Scivola sotto, un dito, due, umidi, a cercare e bagnare la terra di nessuno, dove il piacere si confonde. Fino a bagnare il polso adesso con le dita a cercare e bagnare calde un'entrata assai più chiusa e stretta. Il polso stretto nell'abbraccio duro delle cosce.
Un dito, adesso sulla strada del ritorno a strisciare, scivolando teso verso il sesso.
Risale e tu, all'arrivo del dito ora davvero lo senti.
Sopra di te in quel momento.
Il peso del suo corpo e l'aderenza della pelle. Calda sul ventre e sul petto.
E lui batterti finalmente dentro.
Correre e fermarsi. Poi accelerare come la rincorsa affannata del tuo dito, sul taglio, adesso.
Attendi ad occhi chiusi di sentire il rumore di lui che ad ogni colpo, a ogni affondo, ti sbatta dentro.
Ti chiuda.
La mano è prigioniera tra le cosce, stretta, e la senti, e più la comprimi nella stretta più dura la vorresti. Più dura, calda, forte, e la aspetti come se non fossi tu, a controllarlo, adesso, il movimento liquido delle dita.
Un pugno, l'altra mano, a lato del tuo fianco, a chiudere arricciato tra le dita annodate il lenzuolo.
A strapparlo. E l'altro tra le cosce, a strapparti il fiato.
Lui, in piedi, appoggiato alla parete, altrove, sta rincorrendo il tuo sesso nella sua mano.
Tiene al guinzaglio la sua voglia e sente te, non la sua mano, come laccio al cazzo.
Spreme se stesso nella mano come stai spremendoti tu, nella tua stanza, sola, adesso.
Corre ad occhi chiusi, ad occhi chiusi vi vedete, binari che si cercano, lontani nello spazio, fino a trovarsi.
Un pugno a stringere un lenzuolo, affondato di dita contratte. E un pugno a serrare lui che si svuota nella mano, caldo, di scatto.
Sopra un lenzuolo attorcigliato, il corpo di una donna che si dondola su se stessa, da sola, come un ritornello.
Un pugno tra le cosce.
Aderente al muro, spinto a farsi muro lui, all'ultimo squarcio tra le reni. Un uomo ad occhi chiusi.
Spremuto nella voglia.
Fanno l'amore insieme, e a occhi chiusi sono lì entrambi.
L'uomo e la donna, al pomeriggio, la giornata sarà corsa in mille attimi e pensieri, dopo quel risveglio, finalmente poi si telefoneranno.
Avranno ancora, nuovamente i loro tempi.
Faranno il loro amore ancora, in quella sera, insieme dopo una interminabile giornata fatta di mille ore, in una stanza rubata per una sola notte, quella, dopo essersi, ancora, cercati.
Tutto nasce da una vecchia canzonetta, anche questa volta. Come altre.
Che a me piace, tra l'altro, da sempre.
Nasce dal trovarsi anche quando non si è vicini.
E, a volte, basta davvero il suono di una voce, oggi consideravo, per riaccendere i pensieri.
Un attimo di silenzio, la sospensione di una parola, il pensiero che ritorna, un sospiro trattenuto, magari solo un suono che si serbava sospeso nella memoria, e lo scivolo e la deriva sono pronti a riaprire i pensieri. La nave imbarca la testa e parte.
L'onda si solleva.
Nasce dal sentire e dal rubare una presenza.
Dal desiderio che cancella la distanza. Dal mistero della voglia.
L'uomo e la donna che si sentono, anche senza toccarsi.
Che si toccano senza nemmeno toccarsi. A volte.
La presenza fisica, di chi è lontano o assente, dopo il decollo della voglia, arriva e si fa tangibile e violenta. Bastano il silenzio e il buio a volte.
Un pensiero o un luogo magico.
E allora, nel silenzio e nel buio, sotto un tappeto teso basso di stelle, non esiste limite o barriera fisica al desiderio.
La notte in quel momento colma, come l'attesa reale di un corpo che arriverà solo dopo altri tramonti.
Nella canzone questo non c'era, c'era solo il pensiero del sentire l'altro presente e del godere insieme perché ci si è fatti, per scelta o destino, desiderio o amore, casa felice di un fantasma.
E dalla canzone, sommata al silenzio delle stelle, nasce la storia dell'uomo e dalla donna che fanno l'amore cercando in se stessi l'altro.
Fino a trovarsi.
I nomi dei protagonisti, come spesso è nei racconti, in fondo non hanno importanza.
E' un racconto, in fin dei conti, solo un'attesa. La compenetrazione dei desideri oltre che quella dei corpi.
L'attesa.
Prima della loro notte.
"Cercherò mi sono sempre detta cercherò
troverai mi hanno sempre detto troverai
per oggi sto con me mi basto
nessuno mi vede
e allora accarezzo la mia solitudine
ed ognuno ha il suo corpo a cui sa cosa chiedere
chiedere chiedere chiedere
Fammi sognare lei si morde la bocca e si sente l'America
Fammi volare lui allunga la mano e si tocca l'America
Fammi l'amore forte sempre più forte come fosse l'America
Fammi l'amore forte sempre più forte ed io sono l'America
cercherai mi hanno sempre detto cercherai
e troverò ora che ti accarezzo troverò
ma quanta fantasia ci vuole per sentirsi in due
quando ognuno è da sempre nella sua solitudine
e regala il suo corpo ma non sa cosa chiedere chiedere
chiedere chiedere
Fammi volare lei le mani sui fianchi come fosse l'America
Fammi sognare lui che scende e che sale e si sente l'America
Fammi l'Amore lei che pensa ad un altro e si inventa l'America
Fammi l'amore forte sempre più forte ed io sono l'America"
(Gianna Nannini)
Faber