L'uomo si alza al mattino.
La luce è quasi quella di inizio primavera, filtrata ancora però, incerta a riscaldarsi, nel cristallo del gelo. E' forte e fredda, solo un preavviso, un preannuncio, una sospesa anteprima del sole che in poche settimane tornerà, come ogni anno, nella sua veste migliore.
Seduto sul bordo del letto l'uomo, la sua notte è stata assai corta, e assai breve il sonno, passa una mano nei capelli. A portarli dietro la nuca, dietro le orecchie, pettinati con le mani, le dita a raggio, a ricomporsi dopo la battaglia col cuscino.
E' il massaggio dei pensieri, la spina che risvegliandosi, muscolo dopo muscolo, inserisce. Il gesto abituale a lavare il sonno dalla testa, quasi.
Poi approda ad un caffè che sa di aroma e gusto forte, amaro, ma per l'abitudine lui non lo percepisce da anni tale. Lo sente sulle labbra, lo respira e beve,lo sente quasi nella testa.
A scaldare, nero e cerchiato di marrone e ocra, il pensiero di lei che lo percorre, lo occupa nello spazio e nel tempo, gli comanda il desiderio e il ritmo d'onda dell'attesa e del volere.
Al pensiero di lei, seduto al tavolo della cucina,in quell'attimo di sospensione prima del secondo definitivo levarsi, sente svegliarsi, sotto, tangibile, pulsante, gonfiarsi e animarsi, come se si svegliasse anch'essa, nel mattino ancora, la voglia e la tensione con cui aveva preso sonno.
L'uomo coi suoi pensieri e la tensione, l'agitazione sorda del desiderio e dell'attesa, affronta i suoi riti.
Per lei insapona con calma il viso.
Gonfia di schiuma la punta delle dita, quelle con cui la violerà più tardi, appena la vedrà, forzando la cintura dei suoi jeans e lo slippino, a cercare, con esse, a rubare umida anche la sua di voglia.
Le passa sul suo viso a coprire di panna bianca profumata le guance, il collo. Gonfia ed estende quella schiuma con meticolosità, colma e dipinge di bianco, ammorbidisce i peli corti, cresciuti anche quella notte.
Li prepara alla resa della lama minuziosamente come allestisse una tavola o un banchetto.
Poi disegna con la lama, asseconda il viso, lo scala e lo rincorre, segue l'inclinazione che conosce da anni dei peli sotto il mento, fino al collo e sulla guancia.
Passa e ripassa, a schiudere col passaggio quella neve bianca, la spazza più volte a farla liscia, sotto, la pelle, perché non possa graffiare lei, dopo, sdraiata su quel letto, mentre lui la percorre, col viso a scivolare sulla schiena o quando lui col viso affonda a mangiarle il sesso tra le cosce.
A mordere e succhiare, carezzare e aprire, colmare e svuotare, circondare.
Prepara il viso a farsi morbido, come se preparasse un dono, a farsi caldo, sensibile, senza asperità per la pelle più delicata di lei. Lei sentirà le guance e il viso morbido e caldo, pulito, liscio, all'interno delle cosce. A sfregarle e scaldarla, sulle labbra, sotto il picco del pube, facendosi strada lì, spingendo.
A cercare l'incastro, la testa tra le cosce morbide e calde, a lavarsi dei suoi umori e a prepararla, dopo la carezza delle guance, per le labbra e la lingua. I suoi baci e la sua fame di mangiarla.
Carezza le sue guance. Le controlla. Anche contropelo.
Soddisfatto.
Piccoli baffi bianchi di schiuma rimasti all'altezza delle basette. Li cancella con le dita.
Uno sul collo della maglietta che sfila ora e getta nella cesta.
Lava i denti come se fossero lì sul mobile del bagno, o tasti bianchi affiancati, e non nella sua bocca. Uno per uno, con calma, a farli bianchi, a lavare con loro il sonno, il sapore della notte e a fare della bocca un nuovo giorno.
Con cura, corona e solco, tra dente e dente.
Poi lo sciacquio, a bocca piena, fino in gola, a lavarlo anche lì tutto.
L'acqua in gola, quasi in cantina, quasi fossero in quella gola le scale, per la lingua di lei, anch'esse pulite, pronte ad accoglierla, e in attesa dei suoi passi.
Prepara così, dopo il viso, la sua bocca.
Sfila i boxer della notte e apre la doccia.
Comincia ad acqua calda.
A farla scorrere sul corpo, cascata domestica a comando, fa fatica quasi a trattenersi col corpo sotto il calore e la violenza del suo getto.
Lo sente battere sulle spalle, sulla schiena, sul petto, scorrergli assecondando e leccando la pelle, lingua bagnata calda, sulla schiena, il solco del culo accoglierne il ruscello, e poi le gambe.
Poi sul petto, il ventre, fino a lambirgli il cazzo teso, e poi ancora sotto, a unirsi all'acqua scivolata già dalle spalle.
Poi giù, i peli delle gambe ad aderire bagnati, i piedi...
Insapona con cura il corpo.
Il viso, ad occhi chiusi, poi il collo, le braccia.
Alza le braccia e insapona le ascelle.
Il petto, e poi col braccio rovesciato affronta la schiena. Insapona.
Si insapona il pube.
Poi il cazzo che carezza con la mano piena di schiuma, e il sacco teso sotto.
Lo serra in mano, è teso, da quando ha bevuto il caffè prima, lo carezza di schiuma, prima la testa, poi il minuscolo taglio in punta, la curva, l'ansa rigonfia dove la testa si innesta. Col polpastrello dell'indice e del pollice, accurato, lava quell'ansa.
Lo sente fremere in quel momento, sotto le dita, come se fosse lei e non loro, a serrarlo lì con le labbra.
Il sapone rende più morbida la carezza delle sue dita nel lavarlo e lui chiude gli occhi in quel momento.
E a occhi chiusi vede lei, la sente, calarsi a bocca schiusa appena, a serrarlo lì tra le sue labbra, come gli ha promesso.
La vede e la sente.
E nel sentirla, con la mano lo stringe, adesso, e inizia a muoverla, solo un accenno, tenendolo serrato, ad assecondare con la mano il crescere della tensione e della voglia.
Si ferma. Non è quella la fine prevista di questa sua voglia.
Lo lascia alla sua attesa, alla sua tensione, al suo teso desiderio della bocca.
L'acqua lo lava, cola, lo carezza, quasi fosse anch'essa una tortura e una promessa, ad accrescere desideri e voglia.
Lui lava il culo, le natiche e il solco che le spacca.
Sente, nel farlo, le mani di lei che lo terranno e stringeranno, che si faranno dita di burattinaio, lì, per accompagnarlo e impadronirsi delle sue spinte, domarle e cercare di controllarle sui ritmi del suo fiato, mentre lui le aprirà labbra, ventre e testa.
Poi l'uomo, che ha lavato per lei, con minuzia di gatto, il suo corpo, muove il miscelatore e abbassa la temperatura.
Ora l'acqua è quasi fredda e lui si stira sotto il getto che lo scuote e che lo sciacqua.
Si scrolla l'acqua, il getto della doccia è largo al massimo, tamburellante dove batte.
Poi l'accappatoio. Con cui si avvolge e poi lascia aperto e che muovendosi gli carezza il sesso.
L'asciugamano sui capelli, comincia ad asciugarsi, l'uomo prosegue, e finisce il rito.
Si asciuga e si veste.
Seduto sul divano allaccia le scarpe.
Il telefono.
- Io sono quasi pronta.
Mi sono preparata. Lavata come fosse un rito. Ti sento che sorridi... perché?
Ho carezzato ogni millimetro di pelle, non ho profumi o creme.
Sarò nuda veramente.
Lavarmi è stato preparare il mio corpo. Per te. Ti amo.
Mi sono lavata con minuzia, ho cancellato tutto perché io sia solo io e tu su di me scriva con le mani con le labbra e con la lingua.
Mi son lavata per te come se fosse un rito.
L'ho fatto come se mi preparassi ad un sacrificio che io troppo voglio. Ti aspetterò nel nostro posto.
Col solo profumo del mio corpo, lavato, morbido e nuovo, a vestire la voglia che mi bagna –
L'uomo, ascolta e pensa, sorridendo, a come si sono fatti specchio, l'un l'altra, nel mattino.
Quasi già quello fosse il loro appuntamento, lui e lei, a prepararsi l'uno per l'altra, già dal risveglio.
Posa il telefono, allaccia la seconda scarpa, si appresta a uscire e raggiungerla. Sorride al profumo di due corpi che già sente, forte e carico dell'odore del sesso, mescolarsi e farsi uno, più denso e forte.
Inesorabilmente.
(Dedicato)
Faber