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Racconto n° 1213
Autore: Dunklenacht Altri racconti di Dunklenacht
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La strega dei mulini a vento
La Strega dei mulini a vento aveva negli occhi l'azzurro del cielo di Frisia, e il gelo del vento del Nord.
La prima volta che la incontrai fu in cima al colle. Era vestita con un lungo manto nero, un cappello color della pece le copriva il capo, e un freddo raggio di sole faceva brillare d'un fuoco sinistro i suoi lunghi capelli rossi.
Di lassù, la fattucchiera scrutava la sua valle, ingombra dei fatati mulini a vento, e il suo sguardo moriva lontano, dove la terra si confondeva col cielo, quasi per incantesimo.
Il suo volto era di perla, le sue labbra rosse sembravano fatte per regalare baci d'amore, aveva delle mani bianche, dalle unghie dipinte di scarlatto, che forse il Destino aveva disegnato per accarezzare, più che per stregare.
E le sue lunghe ciglia nere avevano conosciuto sovente le lacrime, ma soltanto quelle della Passione.
Il vento giocava, giocava sempre, come un fanciullo, con i suoi lunghi capelli, che le ricadevano fin sulle spalle, quasi avesse voluto fare l'amore con lei, ah, era il suo vecchio amico, a cui tanto piaceva scherzare col fuoco.
La Strega amava volare nei cieli del Nord.
L'avevano vista ad Amsterdam, l'avevano vista a Copenaghen, a Stoccolma, ed altresì a Parigi.
E tutti i giovani a cui si mostrava s'innamoravano di lei, cadevano ai suoi piedi, desiderosi soltanto dei suoi appassionati baci, ed ella sorrideva facendo scintillare i suoi grandi denti d'avorio, perché tutto ciò era ben poco rispetto all'immensità dei suoi poteri magici.
Alcuni ragazzi si uccidevano per l'affetto stregato che incutevano i suoi sguardi, le sue labbra rosse come l'amore, i suoi capelli color fuoco, il suo volto di fanciulla.
Aveva appena vent'anni...
Ma la Strega non era sempre stata strega, né era dall'eternità dotata dei suoi poteri.
Rammento di come fosse una ragazzina di sedici anni, triste e infelice, a cui la vita non aveva dato altro che un fratello da abbracciare, e due genitori crudeli.
Ed una notte di tempesta aveva deciso di fuggire dalla stamberga in cui la tenevano prigioniera, dalla sua vecchia, che le propinava del veleno, e dal suo crudele padre, che la picchiava.
Sì, era stato in una notte di tuoni e lampi...
Aveva portato con sé soltanto un mantello color carbone, un vecchio cappello da strega, e un bastone, con cui fare i suoi sortilegi.
E da allora aveva sempre vissuto nel mulino a vento abbandonato, e i suoi incantesimi le avevano dato di che vivere.
Ma ora vi narrerò di come avesse conquistato i suoi poteri, ah, sì, non sfuggirete al racconto di quel terribile rituale!
La Strega era sola nel suo mulino, una sera in cui soffiava forte il vento di bufera.
Eppure, si sarebbe detto che non desiderasse fare nulla di male, nulla che potesse sfidare la collera degli Dei del Nord.
Aveva indosso soltanto il suo cappello e il suo mantello, era completamente nuda, sotto, e stava ritta in piedi, le gambe leggermente divaricate, teneva un piede su un mucchio di paglia...
Dall'abito le spuntavano i suoi enormi seni bianchi, dai capezzoli rosa, credetemi, anche le sue gambe erano perfette, era così alta, il suo corpo pareva quello di una statua.
Alla caviglia portava una catenina d'oro.
Era il suo amico Fuoco a illuminarla del suo chiarore stregato, e a tratti, il vecchio uscio di legno sbatteva, producendo un rumore sinistro. Forse, era il vento.
E la Strega portò la mano bianca sulla vulva, per poi cominciare a masturbarsi dolcemente e affettuosamente.
Si stava bagnando sempre più. Socchiuse le labbra, dalle quali cominciarono a sfuggire dei sospiri, dei gemiti, sempre più dolci e penetranti.
- Ah... ahaaa... ah.... Ahi... -
La sua mano era ormai fradicia dei suoi umori, l'orgasmo infuocato si avvicinava, era pronto a rapirla, nella sua folle dolcezza.
E la maliarda non si stancava, non si stancava di accarezzarsi il clitoride, le piccole labbra, e di penetrarsi con le dita.
Ad un tratto l'uscio si aprì violentemente, no, non era per una folata di vento più forte delle altre, ma per lasciare entrare una persona cui il cuore della Strega era legato profondamente.
- Amica mia, abbracciami! -
La Strega si voltò di scatto, un lampo d'affetto le illuminò il volto, e le accese d'un fuoco vivissimo i lunghi capelli rossi.
Era il suo amato compagno di giochi, che amava più di qualsiasi altra cosa al mondo, e dal quale il Destino l'aveva separata.
- Vieni qui, non piangere... -
La Strega lo avvolse nel suo cupo mantello, e lo strinse forte a sé, accarezzandolo con le sue mani bianche; la tenerezza del contatto con i suoi lunghi e morbidi capelli era indicibile.
- Ti amo e non potevo vivere senza di te! – le disse il giovane.
- Anch'io ti adoro – gli rispose lei, asciugandogli l'ultima lacrima con un bacio. – Adesso nessuno più potrà separarci... Sono io la tua nuova mamma! -
- Davvero? -
- Sì, e non ti lascerò da solo a soffrire! Il mio amore è immenso come il mare, e nulla più spegnerlo... Sarai come il mio bambolotto, o il mio amato fratellino. -
La Strega continuò a tenerlo tra le sue braccia con dolcezza, finché non lo vide cadere addormentato dai suoi baci.
Gli promise che avrebbero vissuto insieme per sempre, e che lo avrebbe reso immortale, grazie ai suoi sortilegi.
Il suo amico Hans era così alto e forte... La Strega, mentre lo guardava dormire, si disse che quel corpo le doveva appartenere, che sarebbe stato suo, e che avrebbero sperimentato assieme le gioie del sesso.
Rammento di ciò che accadde un giorno nel suo mulino a vento.
La fattucchiera aveva voluto spogliare nudo il suo amato amante, l'aveva disteso sulla paglia, ed aveva cominciato a giocare con lui, adoperando le sue rosse labbra.
E le faceva scorrere lungo quel corpo irsuto, fino a soffermarsi sul lungo pene eretto, che cominciò a baciare.
La sua lingua correva terribile lungo l'asta, e si divertiva a sfiorare quel glande... Poi, prese a praticargli del sesso orale sfrenato, sfrenato, sfrenato.
Nel frattempo, si masturbava.
A poco a poco, la Strega s'accorse che il suo uomo veniva, che gettava dei gemiti profondi e affascinanti...
Allora s'alzò in piedi (prima era stesa su di lui) e glielo riprese in bocca, allargando il suo gran mantello nero e mostrando le proprie nudità. Le sue labbra e la sua lingua di fuoco non perdonavano.
Alla fine, lui venne.
E la Strega rialzò dolcemente il capo, lasciando che goccioloni di sperma bollente le colassero dalle labbra scarlatte.
Oh, ma credetemi, la fattucchiera amava tanto il suo caro Hans!
Ricordo dei bei momenti che trascorreva insieme con lui, mentre passeggiavano tenendosi per mano sulle colline ricoperte di boschi di faggi, le magiche colline che davano sulla valle dei mulini a vento. Per andare a spasso, lei si metteva le sue belle scarpe col tacco a spillo rosse, che le donavano tanto.
La Strega si era promessa di far innamorare di lei il suo caro compagno di giochi. E forse, c'era già riuscita, anche se non si stancava mai di corteggiarlo.
Aveva nei suoi confronti mille premure affettuose.
Ed era così tenera con lui, gli stringeva la mano tanto dolcemente, e lo guardava con due occhi che non desideravano altro che regalare sincero affetto! Erano due occhi grandi e azzurri, in cui a volte sembrava brillare il paradiso.
A volte era distratta, allora lui la chiamava, e si sentiva rispondere con voce di fanciulla:
- Sì, amore... -
E mentre pronunciava quella parola, pareva vi desse un bacio.
Me li ricordo abbracciati, in cima al colle, la Strega aveva appoggiato la testa sulla spalla di Hans, e il vento s'ingolfava nel suo lungo mantello nero.
Ad Aprile, mi capitava di vederli giocare a rincorrersi, per i grandi campi di tulipani gialli e rossi, e non si stancavano mai, non si stancavano mai.
- Prova a prendermi! -
- Adesso ti acchiappo! -
- Su, avanti! -
E alla fine ricadevano esausti sull'erba, l'uno tra le braccia dell'altra.
La Strega aveva pure deciso di usare la sua bacchetta magica, per fare innamorare il suo Hans, ma, frastornata, aveva sbagliato.
Erano soli accanto nel bosco, ed un gran merlo nero s'era appollaiato sul braccio della fattucchiera, per parlare con lei, e narrarle il futuro.
Dopo che ebbe confabulato con lui, la Strega prese la sua bacchetta magica, e recitò una formula fatale.
Ma il merlo, invece di involarsi e svanire nell'immenso cielo di Frisia, fu trasformato in un faggio. La Strega se ne accorse, e sorrise di tutto ciò; c'era qualcosa di crudele nel brillare di quelle labbra di corallo.
Una volta la inseguivano i cacciatori.
Era sola, e correva, correva disperata attraverso il bosco. I fucili sparavano e tuonavano come bocche di fuoco. Forse, ora che l'avevano scoperta, speravano di ucciderla, tanto la odiavano.
Ma la videro avvolgersi nel suo mantello nero, e svanire come un fantasma, in una nube di fumo.
E nessuno di quegli uomini poté raccontare ad altro mortale di averla vista, e di averle sparato. Fu come svanire nel suo sorriso, che a volte brillava d'una luce sinistra, perfida come la Morte, che viene a prenderci dopo averci illuso di lasciarci andare per tutta la vita.
Il vento sospingeva le pale dei mulini, la valle era in fiore, i passeri di primavera regalavano al cielo le loro cantilene, e la Strega abbracciava il suo compagno di giochi, baciandolo sulla bocca.
Una folata improvvisa fece volare via il suo cappellaccio nero.
E la maliarda sogghignò come una vipera, perché quell'affronto, il suo amico Vento non glielo avrebbe dovuto fare, e se ne sarebbe pentito assai amaramente.
La bella amava tanto il suo amichetto... Passava delle ore a pettinarlo, a vestirlo con quella favolosa casacca verde, coi bottoni d'oro, che gli aveva regalato, e a lucidargli gli stivali di cuoio neri.
Ogni tanto, i suoi occhi si bagnavano di lacrime, e li rivolgeva dolcemente al suo amico del cuore.
Gli prendeva la mano, inginocchiata davanti a lui, e se la portava sui lunghi capelli, dicendogli:
- Accarezzami, ti prego... -
E ogni volta che gli diceva - ti amo - era come se lo baciasse.
Ma sarebbe stato suo anche senza quelle tenerezze, era suo da sempre, da sempre, da sempre...
Hans non le aveva mai detto - non dobbiamo - .
E non glielo disse nemmeno quella notte, in cui il fuoco li illuminò in un amplesso terribile.
La Strega sentì il pene del suo uomo penetrarle fino nel ventre, e lanciò un grido, mentre si accorse che le veniva lacerato l'imene. Era misteriosamente vergine.
- Avanti, spaccami! -
La luce dei ceri illuminava la stanza.
Entrambi erano nudi, in piedi, lei stava con la schiena appoggiata alla parete, e le scosse di lui divenivano sempre più ravvicinate e forsennate, sempre più crudeli, e dolci, come l'orgasmo.
- Spaccami, spaccami, spaccami! -
La Strega respirava affannosamente e appassionatamente, dei gemiti le sfuggivano dalle labbra, ma anche il suo uomo gridava, il lungo pene che affondava sempre più in quella vagina.
La ragazza era sempre più bagnata, non aveva provato mai tanto piacere prima d'allora.
- Ah... ah...ahaaaa...ahi...ahi...ahia... -
Sussultava.
E nel frattempo, avvicinava e stringeva sempre più a sé il suo uomo, lo voleva nel suo corpo, gli diceva di andare sempre più in profondità.
Alla fine, fu l'eiaculazione... E mentre lui estraeva il pene infuocato dalla vagina di lei, entrambi s'accorsero di un cordone d'umori vischioso e filante che legava i loro genitali bagnati.
Io non so bene quale fu la fine della Strega dei mulini a vento.
So che la vidi indossare il suo mantello nero, e riversarsi addosso un'intera bottiglia d'acquavite, per poi darsi fuoco.
E bruciò tra le fiamme, così com'era vissuta, travolta dalla sua passione mortale.
Ma la Strega non poteva morire, non poteva morire mai.


Dunklenacht

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