C'erano tanti tanti fiori, tutti bianchi, che ricoprivano i prati verdi, baciati dal sole, sapete?
E nel giardino incastonato segretamente nel cuore dell'inverno c'erano anche tre giovani custodi. Oh, sì, proprio così!
Le tre folli avevano l'arpa in mano. E a me sembra ancora di sentire il loro riso grazioso e puro, i loro scherzi, quelle grida affettuose e leggere, oh, grida di farfalla!
- Ah ah ah...
- Dammelo, è mio!
- No, è mio... Mio, lascialo! Uh, somarona!
- Smettila!
Rivedo quei visi, opachi opachi, e come riflessi nell'acqua cristallina di uno stagno, profondo profondo, e forse anche un po' cupo. C'erano anche degli alberi fioriti.
Oh, ma quale destino aveva voluto porre quelle tre folli a guardia dell'ultimo giardino, prigioniero dell'inverno? L'ultima perla di primavera, rimasta intrappolata tra i ghiacci...
Le mani bianche delle caste carezzavano i bei rami coperti di fiori.
Oh, no, non c'era neve, non c'era vento, non faceva tanto, tanto freddo...
Che favola! E si sentiva una melodia, un suono d'arpa, che vagava, vagava, vagava, da un capo all'altro del giardino, senza mai tacersi.
Poi... Oh, ma la primavera, lì, non passava mai!
Le tre folli avevano stipulato tra loro un patto, cioè di non separarsi mai, mai, mai, per nessuna ragione al mondo, qualsiasi cosa potesse capitare.
Ma questo patto venne infranto. Oh, sì, infranto! Perché una di loro decise di prendere il vento come marito.
Si erano conosciuti per caso, sapete? Ma lui l'aveva subito stretta fra le braccia, e baciata sulla bocca. Così era nato un affetto, che nessuno poteva spezzare.
E perciò, una notte, il cavaliere era passato a rapire la sua bella, e all'indomani non l'avevano ritrovata più, perché i due se n'erano andati per sempre. Sì, per sempre!
Poi...
Oh, poi, un'altra delle tre guardiane decise di non tenere fede al suo patto, proprio così.
Qualcosa di bello, di tanto favoloso aveva catturato l'anima sua. Era la Luna, sì, quella che brillava in cielo, bianca bianca, tutte le notti.
Oh, possibile?
Proprio così.
Oh, la Luna era così favolosa, così bella e graziosa, aveva come due occhi, per guardarvi, di lassù, e una bocca sorridente, con cui ispirarvi la passione.
La folle era diventata pazza per quella luce candida, di perla, e il casto astro le aveva proposto di andare a vivere per sempre con lui.
Oh, come si poteva non accettare?
E così la bella se n'era andata.
Durante una notte di plenilunio, aveva salito una lunga, lunghissima scala, piolo dopo piolo, e non l'avevano vista ritornare più, più, mai, mai, mai più.
E così...
Oh, così, nell'ultima perla di primavera non era rimasta che una sola custode, che si sentiva anche un po' triste e infelice, perché le sembrava di essere stata lasciata sola.
E guardava la Signora Luna, lontana lontana, dove era andata a vivere una delle sue amiche.
E ascoltava anche la voce del vento, che si era portato via una nuova amante, fra le sue braccia.
Oh, forse, il destino dell'ultima stella doveva essere triste? Forse, quella piccola cara doveva spegnersi così, nel blu dell'orizzonte, senza più brillare? Io temo di sì, ah, adesso mi viene un presentimento cupo...
Nel giardino c'erano tanti fiori e tanti uccelli canori, sapete? C'era una luce calda calda, anche se un po' melanconica. C'era anche un ippocastano grande che forse, oh! forse sapeva parlare, o almeno così sembrava. Ricordo come ci fossero numerosi passeri lì attorno, erano tanti, sì, che volavano e si appollaiavano sui rami fioriti.
La bella si appoggiava al vecchio tronco, lo carezzava con le sue mani bianche e i suoi lunghi capelli sciolti, che lasciava svolazzare intorno.
E gli chiedeva quale fosse il destino suo, sì!
- Oh, albero, albero, ma dimmi, se lo sai, quale sorte toccherà alla mia stella...
L'albero non rispondeva.
Perché era una sorte triste!
- Oh, tu non rispondi, e il tuo silenzio quasi mi fa venire le lacrime, quasi fosse un presentimento disperato, proprio così...
Allora quel vecchio tronco parve risvegliarsi da un lungo, lungo sonno.
- Figlia mia, la tua sorte è tanto sconsolata, che fa piangere anche me...
- Anche te? Oh, me infelice e disgraziata!
- E credimi, non c'è nulla che te la possa evitare. Perché non resti qui, insieme a me, nel bel giardino? Se non ti staccherai dal mio tronco e ti addormenterai per sempre all'ombra dei miei rami, non ti succederà niente.
Ma la bella non volle credere a queste parole fatali.
Oh, sì, lei voleva vivere ed essere felice come le altre sue compagne! Ma la verità era che la maledizione del patto infranto doveva vendicarsi su di lei.
E così...
Oh, accadde!
Un mattino la videro tutta affacciata al cancello grande, che separava il giardino fiorito dall'inverno. Oh, quanto erano fredde quelle sbarre! Quelle mani innocenti le sentivano di gelo.
Ed erano gelo, sì!
- Voglio uscire, voglio andarmene da qui! Non voglio restare in questo luogo triste, senza le mie amiche!
La poverina voleva andare a fare una passeggiata fra i ghiacci, aveva sentito il rumore del mare, lontano lontano... Lei non l'aveva mai visto, il mare!
Perciò aprì il cancello grande, con la chiave tutta dorata che portava appesa al collo, non l'aveva mai usata, prima d'allora, e aveva paura.
- Oh, amica mia, fermati! Dove vuoi andare?
Una voce le aveva detto così.
Era il suo amico, l'ippocastano parlante, che la chiamava, la chiamava, per cercare di evitarle la morte triste, ma non poteva nulla, perché qualcosa stava scritto nel libro del destino.
- Amica, fermati... Non andare... Non andare, resta con me!
Ma lei non ascoltava, e si allontanava sempre, camminando scalza nella tormenta.
Cielo!
Che momento toccante! Ahimè...
La bella camminò a lungo, camminò, camminò... Alla fine, le sembrò di udire le voci delle amiche sue, che la prendevano in giro, perché loro erano felici e contente, lassù, sulla luna, e nel vento, mentre lei...
Oh!
E pensare che l'infelice correva dietro ad un cerbiatto, che le faceva tenerezza, oh, avrebbe voluto prenderlo, e baciarlo come un figlio!
Finalmente, venne a trovarsi vicino al mare, dopo essere passata per un bosco cupo e triste, e che rumore maestoso e appassionato facevano le onde!
Si schiantavano sugli scogli con ferocia, sembravano cattive, tanto, tanto cattive.
E con lei furono addirittura perfide, sì!
Cielo!
La bella cadde giù dal precipizio... Il destino e la maledizione del patto infranto l'avevano prescelta, la sorte sua era stata scritta in un grande libro nero.
Che brutti momenti!
Ed io so che in fondo al mare c'è ancora oggi una povera sconsolata, prigioniera, legata con una catena di ferro.
Non si può muovere, e regala le sue lacrime agli abissi, una ad una, una ad una, sì... I suoi capelli sono alghe nella corrente, le sue labbra sono corallo, i suoi occhi, perle di mare, la sua pelle, bianca, come le conchiglie che le adornano le chiome.
Il destino però aveva trasformato l'ippocastano parlante in marinaio, che di tanto in tanto si tuffava in quelle acque, e andava a consolarla coi suoi baci.
Un giorno gli avrebbe concesso la chiave scarlatta per liberarla da quelle catene, l'aveva promesso! Tutto questo sarebbe accaduto non appena gli anni del silenzio avessero pagato per quel debito di malinconia, sorto per non avere onorato il patto delle tre custodi.
Dunklenacht