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Racconto n° 1242
Autore: Dunklenacht Altri racconti di Dunklenacht
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Caramelle
Le caramelle avevano delle strane trasparenze, avvolte com'erano nelle loro carte a colori vivaci: giallo, rosso e blu.

Agli occhi di una donna come me, parevano incantate.

Erano maliziose trasparenze, sì, proprio come quelle dei pesci rossi, che nuotavano nella grande boccia di cristallo, e disegnavano piroette, acrobazie misteriose, danze magiche e fatate, senza fermarsi mai, senza fermarsi mai.

I miei occhi di donna conoscevano queste cose.

Guardavano i pesci rossi, li guardavano muoversi senza requie nella loro vasca, muovendo le loro grandi code, maestose come quelle dei pavoni, e al tempo stesso erano rapiti dalle luccichio della carta che avvolgeva le caramelle, i deliziosi bon bon, che tentavano le mie labbra.

Alcune, sapevano di liquirizia.

Altre, di menta.

Altre ancora, e questo era il sapore più piacevole, di passione.

Oh, sì, erano caramelle di passione, che sfioravo, toccavo deliziosamente con la lingua, rossa come il fuoco, e, voi sapete, fatta per leccare e succhiare anche altre cose.

Perdonate la mia eloquenza!

Sono una donna, e, si sa, alle donne piace sempre scherzare un poco. Loro sì che sanno come vivere! Esistono soltanto per l'amore e il piacere.

Ritorniamo alle nostre caramelle.

Le sento dolci e succose sulla lingua, le spingo un po' contro il palato, mentre in bocca mi si scioglie il loro fuoco, a poco a poco. Socchiudo gli occhi, e mostro al mondo le mie belle ciglia nere, è come se baciassi, mentre succhio quello zucchero proibito.

Non mi stanco mai di sentirne il gusto, le giro e le rigiro tra le labbra, mentre sto seduta vicino allo specchio, sul mio sgabello, le belle gambe accavallate, che sfioro piacevolmente con le mani.

La mia fantasia vola.

Ripenso agli occhi del mio amico, che mi regala sempre quelle caramelle. E, mi dico sorridendo, io gli regalo le mie, in cambio.

E' un'abitudine che coltivo sin dalla fine del liceo. Avevamo appena vent'anni, che lui già mi corteggiava, e, alla fine delle lezioni, mi faceva salire sulla sua Vespa, per portarmi a comperare la caramelle.

Andavamo in un viale di cui non vi ho ancora narrato, piantato a tigli e ippocastani, c'era un vagabondo travestito da mago, con un grande cappello a cono in testa, turchino, stellato, e decorato con un fiocco.

Era lui che vendeva le liquirizie che stregavano.

Il mio amico di scuola me ne regalava a piene mani.

Ma io non potevo accettare, no, perché sennò mi venivano i brufoli e diventavo brutta. E poi, a me piacevano le caramelle di un altro tipo, e glielo facevo capire facilmente, perché le volte in cui scartavo i suoi dolcetti, e li facevo sciogliere tra le labbra, trovavo sempre il modo di dargli un bacio sulla bocca.

Così, lui sentiva la dolcezza del suo regalo sulle sue labbra.

Mentre correvamo forte sulla sua Vespa, lui davanti, io dietro, mentre il vento scompigliava i miei lunghi capelli, come si conveniva a una ragazzaccia, gli dicevo che volevo scopare.

E lui mi accontentava sempre.

Non era molto bravo, comunque, in fondo, era quello che desiderava anche lui. Pensava di potermi comperare con le caramelle. Era per questo che me le regalava, per poter fare sesso con me ogni volta che lo desiderava.

Ma se lo desiderava lui, lo desideravo anch'io.

Gli piaceva toccarmi le gambe, le tette, i fianchi, e immaginatevi poi cos'altro. Mettevo un profumo che gli piaceva molto. Quando lo sentiva, nei momenti in cui avvicinava al mio corpo nudo il suo olfatto, la sua lingua, pareva si ubriacasse.

Era un'ebbrezza di piacere.

Gli piaceva succhiarmi. E succhiava i miei capezzoli sodi, il mio ombelico stretto, le mie dita sottili, dalle unghie lunghe e rosse, le ginocchia scolpite, le labbra scarlatte, succhiava la mia lingua deliziosa, che sapeva di caramella, ma soprattutto la mia femminilità, che bruciava in mezzo alle mie gambe.
Ci sapeva fare, ci sapeva fare...

Succhiava le piccole labbra, il monte di Venere, il clitoride, la fica, che portavo glabra, liscia, pulita. A volte, la ricoprivo di panna.

E io gridavo il piacere che mi regalava il mio amichetto. Oh, sì, gridavo, quando non avevo la bocca occupata da uno dei suoi dolcetti.

Ma non pensate, mi raccomando, che io sia una golosona... Ho un corpo perfetto, e sono ghiotta di tutt'altre cose.

Anch'io adoro succhiare ed ingoiare.

E lo facevo con il mio amico segreto, glielo prendevo tra le labbra, e facevo del suo fallo ciò che ancora oggi faccio con ogni caramella.

Vi solletica l'idea?

Il ragazzo delle caramelle mi regalò anche una boccia di pesci rossi. Adoravo vederli nuotare, slanciarsi con le loro pinne di fuoco nell'immenso di cristallo, salire, scendere, voltarsi.

Sapevano parlare ai miei cari sguardi.

Li osservavo spesso, mentre danzavano nella loro sfera dai riflessi di zaffiro, che la mia fantasia di bambola aveva desiderato collocare tra due vasi cinesi accanto alla finestra, dinanzi al camino, dove tanto sovente bruciava il fuoco.

Erano i miei casti adoratori del silenzio.

Pareva conducessero stelle filate, fatte di oblìo, o forse di ricordi perduti nell'evanescenza di rubini.

Non erano numerosi, erano soltanto due. A volte, tuffavo il mio dito in quell'acqua, per sentire appena la loro carezza. Allora, salivano in superficie per toccarmi, boccheggiando, ed era come se baciassero la loro amica, che li adulava da lontano.

Capitava che regalassi anche a loro qualche caramella.

E divoravano quelle poche briciole con l'avidità con cui un amante divorerebbe il corpo della sua bella.

Oh, non ricordo se fu sogno o realtà...

I pesci rossi nuotavano freneticamente nella loro piccola vasca. Al di là di quel velo di cristallo, oltre quella danza di fuoco, continua, incessante, due occhi attenti avrebbero visto un corpo nudo, di femmina, che si congiungeva a un altro, di uomo.

Lei aveva indosso soltanto le sue scarpe rosse col tacco a spillo, e le calze nere, velate, a mezza coscia, per il resto non portava su di sé che la meravigliosa pelle, liscia e glabra.

Lui la mordicchiava sempre, era senza vestiti, e la toccava con le sue mani tozze, congiungendosi a lei.

I pesci rossi, teneri amici del silenzio, volavano sospesi nel loro cristallo, e attraverso il vetro di zaffiro, era come se fossero loro, soltanto loro, a disegnare quella visione erotica di piacere.

Lei piangeva d'orgasmo, mentre il suo maschio, dopo averla penetrata, la sbatteva sul tappeto, senza sosta. Oh, poverina, stava sotto, e subiva quei frenetici assalti di un corpo attorcigliato alle sue braccia, alle sue gambe, nude, che scottavano, come la sua femminilità.

- Ah, ah, ancora, sì...

I pesci rossi si muovevano silenti in quella visione turchina. La dipingevano con le loro code grandi, con le loro pinne disegnate dal pennello dell'Oceano, con le loro bocche semiaperte e rotonde, che parevano delle o grandi e piane.

I due amanti avevano mangiato tutte le caramelle. La bella guantiera d'argento era caduta per terra. Sul pavimento, c'erano le cartine luccicanti, gialle, rosse e blu. Soltanto i torroncini rimanevano in un angolo. Solo quelli.

E nulla più.

Dunklenacht

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