E' mezzanotte, quando esco di casa. Nel grande parco, la fluorescenza del cielo spiove sul viale dei tigli, guidando i miei passi nel buio profondo del prato. Mi fermo un attimo, per abituare gli occhi all'oscurità. E vedo la luce. Una fiammella che fluttua paziente, aspettando il mio arrivo. In punta di piedi la raggiungo, mi chino a spegnerla con un soffio.
Lo specchio d'acqua ha un colore di pervinca, quasi che i pesanti rami dei lillà vi riflettessero il profumo dei grappoli gonfi di tepore. Una brezza delicata increspa la superficie in onde minuscole, invito discreto per me. Solo per me.
Abbandono a terra tutto ciò che indosso e adagio affondo, senza far rumore, nell'acqua fredda. La pelle si accappona in ondate di brividi che salgono e scendono il corpo e se ne impadroniscono, entità al di sopra dell'epidermide liquida, che in lei rientra, ricomponendola in movimento fluido e poi di nuovo liscio, con lo sciabordio lieve che si fa eco soffusa nell'aria intrisa di rugiada. Mi muovo piano, intimorita da quel lago d'inchiostro all'ombra cupa dei fiori che oscillano. Nuoto lenta, mentre cerco di scorgere qualcosa, qualunque cosa, dove il vuoto è immobile e muto. E' la leggera corrente dietro di me, che mi sposta in modo impercettibile, ad avvertirmi che è arrivato. Silenzioso ed invisibile s'inabissa -lo sento scivolare sotto il mio ventre- per affiorare poco più avanti, in un profilo disegnato a carboncino sul pelo dell'acqua. Il suo respiro aleggia e lui ancora s'immerge. Questa volta mi viene vicino. Con un braccio mi circonda la vita, le labbra posano un bacio sulla spalla, giro la testa per ricambiarlo e lui si slaccia, spingendomi un po'. Trattengo il respiro ed è su di me, sulla schiena, mentre le braccia mi stringono e il suo peso mi sprofonda nell'opaco fruscio che si chiude su di noi, e per un momento siamo soltanto creature in caduta libera nel loro elemento e il suo desiderio si erge e preme e si scosta, mentre mi solleva e mi fa riemergere. Le mie mani sul suo viso a percorrerne i lineamenti, le sue scorrono sul mio seno e sui fianchi, tra le gambe per un secondo a strapparmi un sospiro. Ad un tratto sono di nuovo sola tra quelle schegge di vetro in cui occhieggia uno sciame di stelle. Smarrita, naufraga, spersa in un oceano indifferente. Poi sussulto. Le sue dita risalgono le mie gambe sfiorandole appena. Il suo viso è contro le mie cosce, la sua lingua s'insinua, si ritrae, ancora s'insinua e si ritrae. E ancora è lontano, dove non so. Galleggio tentando di vederlo, insofferente della mia solitudine. E finalmente so dov'è. E' in piedi laggiù, nell'angolo d'acqua bassa tra i massi ricoperti di capelvenere, tacito richiamo verso cui filo svelta. Mi afferra e mi avvinghia entrando in me con movimenti decisi, in un massaggio continuo di risacca avvolgente, che intorno a noi e fra noi si frange. Lo bacio a lungo, bevo sul viso ogni goccia, ogni respiro. Si stacca da me, mi fa indietreggiare fino alla pietra soffice di muschio. Mi appoggio e lo aspetto, rabbrividendo, alzando le braccia, mettendo le mani dietro la testa, a cuscino. E ad occhi chiusi lo lascio entrare, come un fiotto d'acqua, caldo e potente, insenatura pulsante che in me si fa burrasca, per tornare a poco a poco bonaccia immemore e incredula.
Quando riapro gli occhi, il cielo è cosparso di gocce di madreperla, i lillà fremono sonnolenti e la piccola luce tremola, pronta a guidare il mio ritorno da un sogno. Tutto mio.
Giulia Lenci
Giulia Lenci