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Racconto n° 1279
Autore: Faber Altri racconti di Faber
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Domenica di festa, al mattino
Nel letto dormono vicini.
Hanno preso sonno presto nella sera.
La settimana dura, alle spalle, il liberarsi dell'affanno di giornate affannate, l'ultima battaglia per togliersi il freddo dell'inverno di dosso, almeno in parte.
Hanno preso sonno in una notte che il cielo avevo venti sottili e alti, portava via le nubi conservate per interi giorni, ferme e immobili, cappa grigia, quasi incollate e umide, grigie e immote.
Leggero vento in quota credo, a liberare nella notte l'azzurro del mattino.
A preparare la tavola così azzurra, la più azzurra da così tante settimane.
Poi, nel sonno, un rumore dalla strada, là, lontano, che fa girare l'uomo nel letto, e urtare, senza intenzione, lei che gli dorme a lato.
Lei dorme coricata lì, sul fianco, dalla sera prima, immota anche se il sonno forse fu agitato, e offre a lui la schiena.
Ha faticato, e non poco, a trovare il sonno nella sera.
Imponendosi il dormire. Come probabilmente spesso le capitava quando era più stanca o piena di pensieri.
Stanchezza tanta e poi mille pensieri.
Sdraiata lì, lui a fianco a guardarla, a pensare a lei e al suo sonno, nel silenzio della fine di un'ennesima giornata. Fine settimana. Rincorsa nelle vicende quotidiane, quelle che scandiscono più di un orologio per tutti, immobili, le ore.
I ritmi sono la certezza dei tempi, la posizione e l'ordine delle cose che sono la traccia, il rifugio contro la tempesta quando arriva, anche a occhi chiusi.
Lui la ascolta nella notte respirare e si addormenta, scivola nel sonno senza accorgersi di quando stacca veramente ed inizia a dormire, guardando lei e il suo ritmo del respiro. Lei ad occhi chiusi, col respiro quasi trattenuto, a contenere quasi anche il movimento del respiro nel costato.
Ad attendere il sonno che non arriva, lì, immobile quasi per non disturbare.
Simula il sonno, è stanca e non ha nemmeno voglia di parlare, che nella tensione non riesce ad arrivare.

Così lei è, ancora, sdraiata su quel fianco, su un lato, a lui volge le spalle nel letto, anche all'arrivo del rumore improvviso, il mattino dopo, al suo muoversi improvviso nel letto e urtarla per caso.
Trovandola sul percorso del suo corpo nel suo movimento, dopo quel rumore.
Lei resta lì, come dormisse ancora.
L'uomo stira la schiena, le scivola con la mano sul fianco, le infila per riflesso naturale e abituale, di consuetudine ed affetto, e moto non intenzionale, non condizionato, la mano sotto la maglietta che lei indossa come unico pigiama.
Lei dorme. O così a lui pare.
La carezza con lo sguardo aprendo gli occhi alla nuova mattina.
Stira la schiena e nella spinta a inarcarsi per destarsi, nello stiramento, muove la mano.
Filtra la luce dalle persiane nella casa, mattino che non si è fatto maturo, il rumore è anche cessato, era un'auto lì fuori, oltre il giardino, sulla curva che porta alla statale.
Un'auto anche nella domenica mattina.
Così presto.
Presto, prima ancora che arrivi improvviso il suono delle campane a tagliare e separare la luce dall'oscuro, la notte dal mattino.
Tagliare con la luce e il suono il sonno e il giorno.

La mano è calda sotto la maglietta.
Indugia sul fianco dapprima.
Lui, nel dormiveglia percorre le sue strade.
Quelle che conosce. Si sveglia con il tatto della mano, e inizia a governarla nel percorso.
Carezza il ventre.
Poi sale al seno.
Fa coppa sotto con la mano.
Lei dorme.
Lui cerca con le dita di percepire la variazione del respiro che attende, in lei, lui la conosce da anni quella differenza di intensità e di tempo e ora la cerca.
Aumenta dalle persiane lo spessore lucido della luce.
Una mattina di quasi primavera. Fuori, se la finestra fosse aperta, e lo sguardo a spaziare, si vedrebbe la natura quasi gridare.
Velarsi dei colori delle gemme e delle ultime rugiade fredde dell'inverno a sciogliersi nella marcia trionfale del primo sole primaverile.
Bello il silenzio.
E quella luce che si spande a macchia.
Disegna il corpo di lei, lui ha spinto con i piedi via il piumone, steso su quel lenzuolo.

L'uomo ora gioca con la mano.
Lei ostinatamente simula, silenziosa e cieca, il suo dormire.
Il capezzolo più vicino viene circondato, assediato, stretto piano, poi carezzato.
Un polpastrello solo.
La donna dorme. Forse. Almeno così a lui pare.
Non oppone resistenza, quando lui la tira a sé, la ruota da quel fianco, e si lascia, come fosse un panno, rivoltare. Ora è sdraiata sulla schiena, la maglietta alta, l'ombelico fuori. La mano a tormentarle il seno.
Non può più negare il suo risveglio, nasconderlo in alcun modo. Prima era dissimulato nel volgere le terga, sul fianco e nel fingere quasi di non respirare.
L'uomo la guarda con l'occhio del mattino. Quello che sembra lavato, in attesa solo di essere asciugato. Liquido e morbido. Ancora con quel leggerissimo torpore che è così veloce ora a sciogliersi e sparire.
Lei, alla carezza, non può trattenere il respiro. Il primo ansimare.
Un respiro fondo, caldo dal fondo della notte.
Un primo ansimo e un secondo, sospeso e lento, sembra immobile nella sua bocca, solo alito e sospiro.
Poi d'istinto il primo inarcare della donna sulle reni.
Lo sciogliersi e il salire della voglia e del primo piacere.
La mano stringe forte ora, mentre lui la sente sollevarsi. Tendersi, alzarsi, animarsi e offrire alto il pube.
Conosce quel movimento che è il suo cominciare a partire, l'imbarco della voglia sulla nave, il suo navigare sulle onde lunghe e quasi regolari, con la testa e con le reni.
Lei ha occhi chiusi, sembra che dorma ancora.
O solo non li voglia aprire.
Non lo guarda ancora.

Lui la carezza, scivola scende e risale, poi insiste lì, col taglio della mano, il palmo e poi le dita.
Ad occhi chiusi lei si schiude e si comincia a bagnare.
Lui la sovrasta, si insinua con le gambe tra le sue ginocchia.
Allarga, divarica, occupa, forza.
Occupa. Invade, prende.
Penetra con una spinta sola fino a tappare. Pube su pube.
Fermo ad aspettare.
Lei immobile, cieca, muta, sveglia nel sonno, attende.
Solo il respiro parla e grida.
E lui comincia lento a chiudere e riaprire.
Muove con sempre più decisione.
Lei serra gli occhi, che non apre, morde il labbro inferiore, non parla, non grida, stringe nei pugni le lenzuola a lato.
Strozza il tessuto nelle mani.
Accelera.
Le spinte. Corre. Schiaccia col ventre, spinge e comprime il pube, incolla e strappa, impazzisce nel salire.
Lei è ancorata col lenzuolo, stretto, nelle mani serrate.
Ad occhi chiusi suda il suo piacere tra le gambe, lo avvolge in quel sudore caldo e molle che la scioglie, mentre lo sente scoppiare.
Si stringe dentro, si strozza e si contrae, si sente fare pugno, rilasciare e di nuovo serrare.
Succhia e soffoca lui che la lava, il getto caldo, una, due, tre volte, spasmodico e violento, sembra percuoterla nel cuore.
Lui la carezza scivolandole sul fianco. Scivola caldo e umido sul ventre, la bagna nella ritirata, sulla coscia, e cola lì il suo amore.
Lei sente il caldo farsi lacrima all'interno della coscia, sfuggire fuori, scivolare, uno sfiorare umido e lento, colare, caldo all'inizio, e poi velocissimo a gelarsi e raffreddare.
Ad occhi chiusi lei sente, flusso di rumore, sfondo ai suoi pensieri, lui che le parla.
Lei però non è lì ad ascoltare.
Se n'era andata, ad occhi chiusi, in silenzio, sottovoce, tempo prima.
A raggiungere un altro, altrove, nel suo piacere.
A raggiungerlo. Lontano.
Oltre il giardino, la strada, la provinciale e il mare.
Oltre il tempo di un altro amore.
Sulla sua terra, poco lontano dall'acqua e dal sole, dove lui vive, da anni fatti, ormai, anni di sola estate.
Lì non esiste inverno.
Non esiste stagione.
Non esiste, all'alba, che l'attesa del sole.

Fuori il sole cominciava a scaldare, le auto portavano famiglie in gita o verso qualche chiesa.
Saliva un sottofondo di indecifrabili rumori.
Ovatta delle voci lontane.
Qualche colpo di motore.
Suonavano campane.
La gente rincasava col giornale. Si incontrava nel bar sulla provinciale per un caffè, due chiacchiere da festa o una rilassata colazione.
L'uomo e la donna, nel letto, sdraiati nella luce, erano lontani.


Note A Margine.
Nella mia intenzione, questo è il primo capitolo di un romanzo breve.
O lungo, chi può dire, conoscendomi quando comincio a raccontare, non giurerei sulla durata.
Per ora nasce e vive come racconto, senza nemmeno aver dato ancora, per mia scelta, un nome a due dei personaggi.
Sarà rivisto, integrato, rielaborato, e servirà credo da introduzione.
Ad una storia che immagino (più modestamente, desidero) abbia sviluppi e buona tensione. E' anche un pensiero sulle malinconie a volte dell'amore.
Sulle lontananze, l'imprevedibilità, le derive dei desideri, la ricerca della felicità, e anche le tristezze. Temi che normalmente affronto poco perché davvero, anch'io, come un personaggio, quello finora assente, che appare solo nel sogno a occhi aperti della donna, preferisco all'ombra il sole.
Poteva avere titolo, ma non posso sempre pensare al blues quando scrivo, "Blind Mornin' Love Blues".
Ho scelto un titolo differente: non ho ritrovato il disco, il titolo forse non è esatto, né il testo originale della canzone.
Eppure sono sicuro, in un concerto, neanche tantissimo tempo fa, di averla sentita, ad occhi chiusi, eseguire.

Faber

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