Mi domando come la vita possa avermi ridotta senza più anima e pelle, come l'amore m'abbia devastato cuore e ragione fino a convincermi che altro nella vita non avrei potuto sperare se non questo ritaglio di tempo riempito in gran parte d'ansia e d'attesa. E lui è sposato con la mia migliore amica, ha dei figli, una villa, un lavoro e tante partite a tennis ancora da sudare. Mi domando cosa altro potrei offrirgli, cosa potrebbe trovare dentro questa stupida donna che s'accontenta di minuzie e d'avanzi, di risvolti di tempo nei luoghi più anonimi e squallidi, adatti a confondere le acque e non farsi scoprire. E' cominciato tutto al telefono, una sera che la mia amica non c'era ed ora mi ritrovo con l'ansia che s'ingrossa ed una patina di sudore nelle mani che s'infittisce ad ogni minuto che l'attesa s'allunga. Non so se questo sia amore, ma il pensiero di lui mi occupa la giornata e mi dà valore e contenuto quando faccio la spesa, quando mi guardo allo specchio o semplicemente respiro. Mi ripeto che comunque è follia, che forse sarebbe stato meglio aspettare invece di concedermi senza resistenza, sarebbe stato meglio puntare i piedi e stringere le cosce quando le sue voglie e i suoi problemi diventavano più grandi dei miei. Ma mi sono sempre andata a cercare situazioni che non avevano né capo e né coda e che lasciavano strascichi melmosi e temporali che allagavano il cuore ed arrugginivano la mente. Mi sono sempre innamorata di parole e mai di discorsi, di vagoni e mai di treni, di gente senza causa ed effetto che si materializzava dal nulla e proprio nulla di rimpianto lasciava quando sbatteva la porta. Ora, in questo stanzone di sala d'aspetto guardo la mia faccia nello specchio perché sia identica a quella che vedo. Oltre i lastroni di marmo che ricordano l'illusione del primo fascismo, i treni schizzano veloci e non hanno intenzione di fermarsi risparmiandomi fatica e buon senso di decidere per dove partire. Un uomo passa oltre e si siede di fronte, stringe nella mano sinistra una rosa gialla che odora e gradisce come sesso di donna appena lavato. Mi fissa dritto tra le gambe. Il suo vestito non ha tempo, non ha moda; le sue scarpe non hanno lacci da legare, né suole per camminare. Chissà quale fantasia l'ha portato sin qui, chissà quale illusione l'ha ridotto a pensare che tra poco di un niente accetterò senza esitazione la sua corte sfacciata ingannando l'attesa apparente del prossimo treno. Ma io non aspetto nessun treno, ho solo affittato un uomo non mio che tra poco mi darà l'illusione di un viaggio senza aver pagato il biglietto. E come al solito arriverà trafelato, maledettamente in ritardo, con le ore nella testa che corrono più veloci di sessanta minuti, con la pesantezza nelle mutande che nessun'altra, a suo dire, potrebbe alleggerire. Ma sono anche la sola ad accettare questa fretta maledetta che più del sesso m'ingrossa i respiri, e questa corsa frenetica dove l'amore è un caffè all'autogrill o peggio una leggera frenata prima di un sorpasso. Il nostro paradiso è qui vicino a due passi dalla stazione con un letto ed un lavandino al terzo piano di un albergo senza stelle e senza ascensore. E mi prende in piedi, all'istante, col suo sesso voglioso che spunta rigido tra i denti della lampo e la mia gonna arrotolata fino fianchi. E mi prende immediatamente con il telefonino sempre acceso che interrompe e cadenza i suoi movimenti e le ore successive di moglie e lavoro. E rapido come un treno che scompare in una galleria consuma dentro di me la sua passione fino a che liquida sgocciola sulla moquette marrone. Non ho mai sentito il suo calore bagnarmi, non l'ho mai sentito godere tra le mie ossa, perché le sua più piccola paura è sempre più forte del massimo del piacere, perché qualsiasi preservativo può sempre nascondere una minaccia alla sua vita di padre, marito e professionista famoso. Ma io lo amo, amo le sue paure e i continui viaggi insieme che solo nella sua fantasia prendono un treno, un aereo e parlano una lingua che non conosco. Desidero il suo sesso perché nessun altro m'ha mai penetrata fino al cuore, oltre il piacere che rimane in disparte e fa capolino nei miei sogni peccaminosi quando al mattino mi sveglio da sola. Lo amo e mi convinco di essere stata fortunata ad incontrarlo, ed ora ad aspettare minuti che nessun altro uomo al mondo potrebbe gonfiarmeli di smania e impazienza. Mi guardo intorno, ma ancora non sento l'odore, non vedo il suo borsone nero pieno di scuse, accappatoio e indumenti da tennis. "Sarà qui a momenti! Il traffico, la moglie." Mi persuado cercandogli delle scuse. Ma il tempo s'allunga ed io mi sento più sola. Dopo un'ora che aspetto mi convinco che questo pomeriggio, che lentamente si scurisce, non mi concederà nemmeno quel minimo che a fatica accetto. Vorrei chiamarlo al telefono, ma m'è proibito. Potrei andarmene, ma questo signore di fronte continua a guardarmi. Lui sì, che ha tempo e mi dedica tutta l'attenzione che altri a malapena mi offrono o come in questo momento mi negano senza avvertirmi. Lui si che ha pazienza da vendere, attento ad ogni impercettibile movimento delle mie gambe, ad ogni chiaro scuro della trama delle mie calze. Porta i capelli lunghi e biondi sopra una faccia bianca dove in trasparenza si può vedere il sangue scorrere e ribollire per una donna che sta aspettando un altro uomo, un altro sesso sicuramente meno passionale e potente del suo. Divarico appena le gambe per dare più profondità al suo sguardo, per allungare di qualche centimetro il suo percorso soddisfacendolo con l'effimero colore delle mie mutande. Saranno banalmente bianche, di cotone, senza neanche uno straccio di merletto che abbellisca questo sesso che, senza vanità, da anni porto tra le cosce. Del resto, per il mio uomo in affitto, sono soltanto una barriera, uno stupido impedimento di stoffa di anonimo colore e fattezza che lui scosta senza vedere e prepara la strada alla sua unica parte di corpo che prova piacere. Invece, questi occhi stranieri non smettono di guardarmi, ed intermittenti provano e danno piacere. Vorrei essere quella rosa gialla così fragile e profumata, vorrei che il mio sesso sgorgasse la mia intima essenza al solo contatto con le sue dita ruvide ed anarchiche che incedono senza morale. C'è una toilette poco distante, la guardo di sfuggita per provocarlo, per fargli capire e non essere troppo diretta e sfrontata. La guardo di nuovo per constatare fino a che punto sono femmine le mie gambe, ma forse avrà altre più nobili intenzioni. Chissà tra poco m'invita a passare la notte nel suo letto di cartoni oppure a bere scarti di vino in qualche bettola nei paraggi della stazione, oppure mi vorrà tutta per sé magari raccontandomi per una notte intera di sua moglie e dei suoi bimbi rimasti in Polonia o in qualche parte del mondo dove non li vede da anni. Oppure m'ha semplicemente preso per una puttana capendo al volo il mio cenno degli occhi verso la toilette, ma non s'avvicina e fa finta di non capire perché non ha soldi, perché la mia fica borghese costa più di tutto il denaro che è passato finora tra le sue mani. Ora che il colore delle mie mutande è dentro i suoi occhi, anche se parla italiano sarà difficile fargli capire che non sono una zoccola, sarà impossibile spiegargli le tare che dall'adolescenza mi porto appresso e cerco inutilmente di farmele riempire da muscoli ed attenzioni maschili. Squilla il telefonino ed è il mio bell'amante che m'inventa una scusa dopo due ore che aspetto, mi dà appuntamento per domani, ma sa già che non potrà rispettarlo mentre le mie gambe sono divaricate oltre la decenza e l'effimero colore delle mutande, oltre l'impaccio dello straniero che resta immobile a fissarmi. Stringo gli occhi per trattenere quel poco di amor proprio che ancora m'è rimasto, mentre un velo d'inutilità e tristezza m'avvolge e m'immobilizza come una fitta rete da pesca. Nell'oscurità delle palpebre umide vedo la sua ombra, oramai non più timida, alzarsi e venirmi vicino. Come se questo pianto senza lacrime che scende gli abbia dato intraprendenza e coraggio riposti fin d'ora solo nella luce dei suoi occhi. M'accosta le gambe come se ormai fossi di sua proprietà, come se altri non dovessero vedere quello che lui ha visto per ore. Senza perdere tempo m'infila una mano sotto la gonna e mi centra il piacere prima che abbia il tempo di rialzarmi, prima che la mia faccia possa assumere un aspetto perlomeno di sorpresa, prima di chiamare un poliziotto e fare la scena che un barbone mi sta violentando. M'afferra un braccio e mi sorride tranquillo. "La seguo signora, fin dove ora la sta portando il suo cuore! Fin dove il destino accomuna tutte le donne che non hanno ancora imparato a distinguere il piacere dall'amore." Parla un perfetto italiano e non credo che sia nato tanto distante da qui. "La seguo dentro quel cesso o dove il suo sesso di femmina ha deciso stasera d'essere calpestato, fino a provare vomito e schifo, fino a non confondere mai più un pene dritto e maestoso con l'orgoglio di essere desiderata." Ma io non capisco e non decido e lui non ha tempo d'aspettare che io mi riprenda, che l'ultimo barlume di coscienza abbia il sopravvento e mi detti ragione. Non ha tempo e per dare più forza alle sue parole mi porta di peso dove l'odore di piscio è più intenso, dove un essere umano non potrebbe mai sentirsi desiderato. E tra il via vai di gente che entra in fretta ed esce indifferente, mi scaraventa dentro un cubo di piastrelle umide e verdastre che hanno soltanto il soffitto per respirare. Accosta la porta senza chiuderla e m'appoggia a forza sul lavandino con una gamba che dondola e l'altra puntata sul pavimento bagnato di sporcizia. "Sono qui per servirla." Mi sussurra con un filo di voce, mentre slaccia bottoni e pudore della mia camicia bianca. Senza nessun trasporto apparente tira fuori il mio seno. "Se lei è d'accordo potremmo aprire la porta ed offrirlo al prossimo che entra." Lo tiene in mano senza accarezzarlo, come per farmi un favore, come un paio di scarpe davanti alla commessa che t'invita a comprarle. Si scosta per vedere l'effetto delle mie gambe allargate, per vedere il mio seno indecente con gli occhi del primo che ignaro varcherà la soglia. Ed in quella posizione, completamente aperta alle sue intenzioni mi sento veramente un cesso, un lavandino senza tappo, parte di questo squallido arredamento che chiunque entrando potrebbe usufruirne. "Non si stupisca, sono qui per guarirla!" Mi dice sbottonandosi la patta, e con mossa esperta allarga le mie cosce fino al punto che le mie mutande, tirandosi, non coprono più niente. Potrei ancora ribellarmi, potrei ancora saltare giù dal lavandino uscire di corsa e chiedere aiuto, potrei . un bel niente, quando il suo sesso indurito per ore d'attesa s'accosta senza penetrarmi. Mi strofina il piacere e si ritrae per poi tornare più gonfio senza avanzare di un millimetro. Scosta le mutande per bagnarsi il sesso e farmelo sentire al limite della mia ragione e dove nessun uomo avrebbe ancora la facoltà di pensarci. Faccio per gridare, ma è solo desiderio, soltanto voglia d'essere presa in fretta e contro la mia volontà, contro qualsiasi perbenismo anoressico che mi vorrebbe vigile e consenziente, contro qualsiasi morale che mi vorrebbe innamorata di ogni pene che s'infila tra la mia carne. Ma in fin dei conti mi sta solo fottendo, come cagna in mezzo ad un branco che aspetta il proprio turno. "Signora, non si agiti, non sia precipitosa, le sto facendo soltanto un favore!" Mi obbliga con voce ferma a trattenere il fiato, a convincermi che è solo questione di secondi, di un colpo bene assestato che tra meno di un niente si farà uragano, tempesta e ciclone per interminabili minuti. Lo sento, tiene in mano il suo orgoglio e gioca con le mie labbra bagnate, le divarica e le riaccosta, le preme per millimetri che sembrano metri per poi ricominciare fino a che prendo respiro ed aspetto di nuovo. Dopo qualche minuto d'attesa mi rendo conto che non vuole darmi piacere, che il suo pene eretto oltre l'impossibile non mi chiaverà né ora né mai. Eppure non ci vorrebbe niente, così allargata basterebbe una leggera pressione, quasi una disattenzione per farlo cadere dove il mio sesso lo reclama a gran voce. Non credo di aver mai raggiunto questo diametro d'invito e accoglienza, non credo d'aver mai desiderato un maschio senza un velo di sentimento che m'illudesse di non essere animale. Ma lui non vuole congiungersi, non vuole darmi piacere, vuole solo farmi provare fino alle viscere, un immenso desiderio senza amore. Pazza di follia lo prego di entrare, lo invito a dar retta al suo sesso come io sto facendo con il mio. Gli grido che la mia carta di credito oro è più che sufficiente a convincerlo, a smuoverlo fino a penetrarmi oltre qualsiasi remora che il gioco gli ha imposto. Ma lui imperterrito continua ad accarezzarmi a farmi sentire zoccola, lavandino, cesso, come non avrei mai creduto, come mai m'era successo finora. Tra le crepe dello specchio riesco ad intravedere la sua mano che veloce assesta gli ultimi colpi al suo piacere. "Aspetta" Cerco di urlargli con quanta voce la mia delusione consente. Ma lui continua a strofinarsi ed accarezzarmi e mi dice di non preoccuparmi, di aspettare ancora qualche momento. Ora lo sento, si avvicina con il suo corpo scomposto e preme tra le mie gambe capienti, ma qualcuno in preda all'urgenza apre la porta e guarda allibito. Mi sveglio di soprassalto e lo vedo ancora seduto nella stessa posizione intento a cercare di scoprire il colore delle mie mutande. In preda al pudore stringo le mie gambe a morsa. Mi guarda deluso, ma io arrossisco provando vergogna al solo pensare che sia entrato nel mio sogno. Mi alzo e le sorrido quasi ringraziandolo perché questo pomeriggio non è passato inutilmente, perché il mio sesso non sarà più un lavandino senza tappo e senza fondo, perché finalmente m'accorgo che fino ad oggi, gli uomini tutti, invece del sesso m'hanno solo fottuto il cuore.
LiberaEva