Il Principe Zingaro abitava in un grande palazzo, vicino alla moschea bianca, nella vasta e misteriosa Persia.
Me lo ricordo mentre fumava il suo profumato sigaro, sdraiato su di un'ottomana intarsiata d'oro e smeraldi, il braccio negligentemente abbandonato nel vuoto, lo sguardo trasognato ed assorto, gli occhi dipinti di passione.
Indossava il suo elegante abito arabo, ed aveva riposto il suo copricapo decorato di diamanti sulla grande console dorata, nell'attesa che i suoi lacchè lo profumassero delle fragranze d'India e di Turchia.
Giocherellava con il manico preziosissimo della scimitarra che portava appesa al fianco, quasi un nonnulla, per il fasto delle sue ricchezze; a volte, socchiudeva gli occhi, pensoso, e meditava i piaceri d'Arabia, le lunghe notti di luna, trascorse errando sui deserti, le montagne innevate di Bosnia e d'Armenia, il volto degli incantatori di serpenti, che da sempre lo affascinavano, ma, soprattutto, la venustà delle fanciulle, delle meravigliose donne che gli danzavano intorno, anche in quegli istanti.
Aprì gli occhi, e le sue pupille turchine presero a vagare assorte sulle pareti della bella stanza, affrescate di maliziose vergini nude, dai seni grandi, dai corpi perfetti, che tiravano dei baci, od erano intente a praticare i riti di Saffo accoppiandosi insieme, baciando
le loro membra con labbra madide di desiderio.
Alcune, erano vestite con veli...
Altre, non portavano indosso che i vestimenti di madre natura, e con lunghe trecce bionde cercavano di celare magicamente i loro sessi, invano.
Quelle erano soltanto figure dipinte, che ben s'intonavano con i fastosi arazzi e il mobilio di legni pregiati che arredavano la sala.
Dallo scalone, giungevano le voci della servitù, cameriere con grandi vassoi d'oro e d'argento salivano uno dopo l'altro gli scalini del palazzo della ricchezza, perché l'ora del tè era ormai prossima, ed il Principe non poteva, non doveva attendere, mai.
Una danzatrice si muoveva nella musica araba, per deliziare il suo sovrano, indosso portava soltanto un abitino di velluto cremisi, ricamato con fili d'oro, e ad ogni passo di danza i suoi seni bianchi sobbalzavano, e gli occhi di lui godevano di quelle cosce perfette, che parevano scolpite nel granito da un Michelangelo, di quelle braccia eburnee, di quelle mani nude, dalle dita decorate di anelli d'argento, di quei capelli lunghi e morbidi, che ricadevano fin sulle spalle, insieme con i grandi orecchini d'oro e topazi.
Era incatenata nelle musiche per lui.
Ma io sapevo, ah, sì, io sapevo che presto avrebbero fatto preparare l'elefante bianco, bardato d'oro e rubini, per la grande parata verso il fiume. E sarebbe stata una grande processione, destinata a concludersi a notte fonda, alla luce delle fiaccole, con il sacrificio umano compiuto dalla più bella delle fanciulle del villaggio, destinata a placare con il suo sangue l'ira degli dei zingari, dopo aver sfiorato con l'ultimo suo bacio le labbra impossibili del Principe.
Egli rimaneva cogitabondo nella sua estasi trasognata, che sapeva di kharma e di mistero, di tutte le profezie e le maledizioni del Corano, e dei segreti che soltanto i mercanti di tappeti del Kashmir sussurravano ai venti.
- Conducete qui la prigioniera – comandò alla servitù, con voce imperiosa. – Subito!
- Vostra Altezza la desidera a palazzo?
- Sì, è un ordine. E che nessuno sappia di lei, perché chiunque tradirà il segreto, verrà passato per le armi.
- Come desidera Vostra Altezza.
La schiava giunse dalle prigioni. Secondo quando aveva comandato il Principe, nessuno l'aveva toccata, né agghindata per l'avvenimento.
Egli la osservò dall'agio della sua ottomana, mentre lei avanzava incatenata e nuda, per il puro piacere dei suoi sguardi.
Era bionda, alta, le labbra carnose, i seni bianchi, il ventre piatto, i fianchi venusti e venerei, le mani e le braccia sembravano scolpite nel marmo, per il piacere, soltanto per il piacere.
Egli la guardò per un istante, poi si alzò, si appressò a quel corpo fatale, ornato soltanto di catene, che cingevano caviglie e polsi... ah, no, no, la bella non avrebbe potuto colpirlo, mai.
Fu allora, che alla presenza della servitù, nel grande salone, il Principe Zingaro baciò la sua schiava, ardentemente e sulla bocca.
- Sì – disse – sarai mia, non appena il sacrificio di questa notte sarà compiuto.
Ella sapeva che avrebbe potuto ribellarsi a quel suo bacio, avrebbe potuto schernirlo ed insultarlo, ma sapeva anche che ciò avrebbe significato la morte, per lei.
E come aveva predetto il Principe, il sacrificio venne compiuto, molte ore prima dell'alba.
Nel frattempo, a palazzo, le dame di corte avevano preparato la schiava per la partenza. Le avevano pettinato la lunga chioma bionda, e fatto indossare orecchini d'un fasto inimmaginabile, le era stato messo un lungo abito turchino, tessuto in India o in Cina, che poneva in risalto le sue forme perfette, e che mal celava la meravigliosa coscia, sulla quale era stato tatuato sul momento un versetto del Corano.
Oh, sì, ella aveva gridato, nel sentirsi bruciare la carne, il Grande Maestro però non si era curato del suo pianto, ma aveva goduto con lei di quel piacere.
La luna era alta nel cielo stellato di Persia, quando la schiava venne fatta salire su di una carrozza, tirata da due pariglie di cavalli bianchi, con una benda nera calata sugli occhi, poiché ella non doveva, no, non doveva sapere il luogo verso il quale il suo padrone la stava per condurre.
Era un luogo chiamato Piacere...
Oh, io non so per quante monete d'oro il Principe Zingaro aveva comperato quella donna, so soltanto che egli salì con lei sulla grande vettura fatata, alla volta del mistero.
Il cocchiere frustava senza pietà i destrieri dalle criniere d'avorio, che volavano nella notte.
Le braccia del Principe spogliarono nuda la bella schiava, le mani irsute di lui solcarono il corpo bianco di lei, che non si oppose.
Le aveva promesso perle e diamanti...
I loro corpi si attorcigliarono l'uno su quello dell'altra, spasmodicamente, fatalmente.
La bella fu pronta ad esaudire ogni suo desiderio; mentre si sentiva penetrare, le sue unghie dorate e aguzze sfioravano e graffiavano leggermente la schiena del suo uomo, e quel pene lungo, glabro, affondava in lei, la faceva sussultare, per poi inondarla di un liquido di fuoco.
E il fuoco bruciava entrambi, bruciava entrambi, infinite volte, ricordo che il Principe volle sfiorare con la punta del suo pugnale i seni di lei, le sue belle gambe, e le sue natiche disegnate da Venere.
Le grida di piacere della sua schiava riempivano la notte stellata e svanivano nel silenzio dei deserti.
Dunklenacht