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Racconto n° 1295
Autore: Dunklenacht Altri racconti di Dunklenacht
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La stazione marittima
Raramente vi soffiava il vento freddo.
A volte, attraverso quei lunghi capelli biondi, che volavano nella brezza, mi capitava di vedere come in una visione quel largo canale, affollato dalle navi che rientravano in porto. Parevano fantasmi.
Li carezzavo, così come quelle dolci labbra coperte di rossetto mi carezzavano.
E quel volto, il suo volto, era sempre immerso nella luce un po' grigia dell'aurora.
Sopra di noi, volavano i gabbiani.
Nessuno poteva vederci. Nessuno poteva toccare la nostra innocenza, l'innocenza di quei caldi baci sulla bocca, di quegli abbracci, consumati ardentemente al suono delle sirene lontane, nella vaghezza delle nebbie, nel silenzio del mistero.
- Mi ami?
Questa era la domanda fatale, alla quale seguiva una risposta di malinconia, che però accendeva sempre la luce crepuscolare del piacere su quegli occhi azzurri azzurri, e li faceva brillare.
Sì, brillavano ardentemente, e di passione. Brillavano d'amore.
Nessuno ci aveva mai scoperti. Passavamo i meravigliosi pomeriggi della nostra giovinezza tenendoci per mano, passeggiando per gli angoli deserti della stazione marittima, raccontandoci le fiabe.
Era bello scoprirsi innamorati, mentre l'autunno seguiva all'estate, l'inverno all'autunno, la primavera all'inverno.
Ma il triste gioco del tempo non poteva spegnere la dolcezza di quegli sguardi, dei suoi sguardi. La bella aveva appena vent'anni, ma già sapeva amare.
Ricordo le voci dei gabbiani, che si radunavano presso i pescherecci, e volavano in stormi lungo il canale del porto, ricordo quella mano bianca, dalle unghie dipinte di rosso, oh, sì, quella manina di bambola, che stringeva la mia.
Le piaceva che giocassi con i suoi capelli...
Le piaceva che la toccassi, che la mia mano fuggisse sul suo seno perfetto, sulle sue spalle da statua, sulle sue braccia coperte soltanto da uno scialle di seta.
Non mi stancavo mai, non mi stancavo mai.
Desideravo giocare con lei, e lo facevo in quell'angolino nascosto, sconosciuto ai marinai, davanti al vecchio capannone grigio dove una volta ammucchiavano le merci, e che ora soltanto qualche lupo di mare ricordava.
Voleva che la baciassi, che la baciassi... Davanti a noi, le navi, gli isolotti sull'altra sponda, dove le case e i mulini appena si distinguevano nella foschia.
Fantasmi!
- Fallo ancora – mi diceva, prendendo la mia mano, e posandosela dolcemente sulla guancia. – Fallo ancora, MY LOVE...
E poi mi sussurrava, mettendosi il suo bel cappellino nero con la visiera, che tanto le donava, facendo risaltare i suoi bei capelli biondi:
- Ti amo, angelo mio adorato...
Era stata lei a chiedermelo la prima volta.
E io l'avevo fatto...
I genitori della bella erano morti. I passanti, la gente, i parenti, intorno a noi, erano soltanto voci grigie nel silenzio.
Mio padre era stato un marinaio, sì, di quelli con la divisa, e le medaglie. Poi, però, in una notte di tempesta, di uragano...
Non vi parlerò di tristezze.
No, vi parlerò soltanto di navi che entravano in porto, delle grida dei lupi di mare, del rumore cupo dei motori, delle darsene deserte, spazzate dal vento.
Era lì che si consumava il nostro affetto.
Voleva che la chiamassi Lulù, e diceva che era naturale, che ci volevamo bene, e che eravamo cresciuti insieme...
- Sì, sono io il tuo angelo custode – mi disse una volta, mentre ci stringevamo forte, e la brezza marina faceva volare il suo mantello, i suoi capelli.
Lei aveva chiuso gli occhi, e ci coprivamo di baci, mentre un sentimento più forte di noi ci avvolgeva. Mi andava dicendo:
- Live for tomorrow, and never look back... -
E mi ripeteva che nessuno ci avrebbe mai fatto del male, che non lo avrebbe permesso, mai.
Degli anni della mia prima giovinezza ricordo soltanto lei, il sapore di quei baci, il silenzio di quei luoghi, ma anche di quella sessualità sfrenata.
Sì, non avevamo segreti l'uno per l'altra, ci scoprivamo a masturbarci, e consumavamo frenetici rapporti sessuali.
In occasione di uno dei nostri incontri furtivi, alla stazione marittima, lei si era fatta trovare completamente nuda, sotto il cappotto.
- Prendimi, avanti...
Cominciai a toccare quel suo splendido corpo. Aveva indosso soltanto un paio di calze autoreggenti velate, nere, di quelle che tanto mi piacevano.
Oh, sì, è vero, potevo trascorrere delle ore a carezzarle quelle meravigliose gambe. Alla mia amichetta non dispiaceva.
E lo feci anche allora.
Dietro di lei, salii dalle cosce lungo la schiena, fino alle spalle, per poi scendere su quelle braccia, e arrivare a posare le mie mani sulle sue, a incastonarle fra le sue.
Lulù cominciò a fremere e a sospirare.
Poi la penetrai, sempre stringendole le mani, e presi a fare sesso con lei pazzamente.
Lì, al crepuscolo, sul molo 19.
Lei aveva i tacchi a spillo, i tacchi a spillo...
Ogni tanto, si lasciava sfuggire delle grida soffocate, di piacere.
E venni, venni, venni... La inondai più volte, ma la bella non voleva staccarsi da me, desiderava ardentemente che il mio corpo rimanesse dentro il suo, la mia anima, unita alla sua.
Passò una nave.
Fu un istante.
E tutto svanì come un sogno. Ma forse, anche quello che vi racconto è proprio un sogno.
Ricordo che una volta passeggiavamo insieme, mano nella mano, dalla parte dove scaricavano le navi.
Il cielo era grigio.
C'erano tre o quattro scaricatori che mentre lavoravano, fumavano e dicevano cose tristi.
Oh, no, non erano scaricatori, ma uomini del destino, visibili soltanto da noi, venuti soltanto per dirci gli eventi malinconici e lugubri che avrebbero travolto il nostro amore.
E me la ricordo sempre seduta sulle mie ginocchia, a fissare il mare immenso, e la città lontana, alle nostre spalle.
Le carezzavo le belle gambe velate, i suoi capelli volavano nel vento. A volte, scherzava.
Lacrime di passione scendevano sulle sue labbra, forse, soltanto per essere asciugate dai miei baci.
- Non lo faremo più – mi sussurrò con aria triste. - Mai più... Ma i miei abbracci resteranno i miei incantesimi, i miei baci saranno sempre le mie formule magiche, le mie parole narreranno ancora favole.-
I suoi capelli biondi mi toccavano.
Era l'aurora, che come una nube di fuoco rossastro, venne e ci avvolse.

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