Io, che ho l'abitudine all'amore, ormai ne ho anche la pazienza. So leggere i segni dell'insofferenza, della bramosia di cose nuove. So quando si deve incontrare con un'altra, perché due giorni prima inizia a lasciar crescere la barba. Alle donne piace, quella barba ispida che gratta un po' dove struscia. Anche a me, ma la vita è un'arte di sopravvivenza.
Un mattino si alza e, davanti allo specchio, passa il dorso della mano sul viso, in un senso e nell'altro, una carezza di rovescio. Pensando a un'altra. Coi polpastrelli tasta la consistenza dei peli irsuti e lo sguardo ha la luce maliziosa dell'attesa. Incrocia i miei occhi nello specchio e li attanaglia, sollevando un istante le sopracciglia. E' una sfida, un'opera muta di richieste da soddisfare, di promesse da mantenere. Quel giorno vado al mercato. Mirtilli e more, o ribes e lamponi. O le fragole. E il vino leggero e frizzante che gli piace. E quella sera, il frullatore gira ronzando. Io canticchio. Lui legge il giornale, soltanto un asciugamano attorno ai fianchi, il completo grigio già appeso nell'ingresso. I bicchieri tintinnano, mentre li riempio di liquido spumoso e profumato. Nell'abito nero di tulle e i capelli sciolti, ticchetto sui tacchi verso l'armadietto blu. Apro e richiudo con rumore. Scarto le pastiglie di sonnifero. La confezione scricchiola in gridolini striduli. Le pesto nel mortaio. Colpetti decisi che le sbriciolano, le polverizzano.
Mi sente arrivare. Mette da parte il giornale, sorride al tulle che svolazza e segna il corpo in un gioco di trasparenze e sfumature di pelle in evidenza e subito nascosta. Mi chino un po', tendo le braccia offrendo i bicchieri. I suoi occhi saltellano oltre le mie mani, oltre l'orlo colmo di spuma, allettati dall'offerta generosa della mia scollatura. Allora mi rialzo.
- Scegli. - dico.
Si morde le labbra, alza una mano, accenna a prendere un bicchiere, ci ripensa e prende l'altro. Mi siedo accanto a lui per un brindisi e lentamente beviamo a piccoli sorsi, finchè dice : - Buono. -
Non rispondo. Poso i bicchieri vuoti sul tavolino. Mi accoccolo sul tappeto e lo invito a me con un gesto delle braccia, un risucchio silenzioso cui non resiste. Si sdraia poggiando il capo sulle mie gambe, allargando gli occhi in due laghi placidi e lucenti, respirando piano. Lo accarezzo con la punta delle dita, percorrendo il contorno del viso, procedendo a balzelli sulle punte irte della barba, insistendo sulla bocca schiusa. Levigo la fronte, disegno l'arco delle sopracciglia, sfiorando le palpebre che si abbassano. Adesso è immobile, con le mani abbandonate e il respiro profondo e regolare. Faccio scivolare la sua testa dal mio grembo al tappeto e lo lascio così. Pochi minuti e sono di ritorno. La schiuma da barba sa di spezie. La spalmo sul suo viso adagio adagio. La lama del rasoio ha bagliori di scintille, raccogliendo dalle sue guance, dal mento e dal collo la mistura odorosa di cannella e chiodi di garofano. Con un panno ripulisco la pelle ora liscia e indifesa, morbida. Spengo la luce. La notte si affaccia alla finestra, riversando la scia luminosa della luna e delle stelle sul tappeto. Mi svesto e a piedi nudi passeggio in tondo, sempre più vicina a lui, e in ginocchio gli sfilo l'asciugamano. Senza premura. Per non svegliarlo. Il suo respiro ha cambiato ritmo, un'alternanza di affanno e lunghe inspirazioni. Le mie labbra pizzicano la sua pelle sul collo, sul torace. Mulinelli d'aria si scontrano e si fondono nella sua gola. Il cuore martella forte, sobbalzando sotto la mia lingua impegnata in un massaggio lento e circolare, che scende sul suo corpo, sul ventre che ha tremiti convulsi, sui muscoli delle gambe che si contraggono fremendo.
E' lui che mi attira a sé in un moto d'impazienza. S'impone dentro di me, come il suo desiderio esige, con un affondo violento che vira in intensità cadenzata, assecondata dal mio concedere spazio alla sua forza. Salgo e discendo su di lui, che mi penetra in un gioco di rimbalzo sempre più frenetico, con le mani comprimendomi contro di sé, incollandomi a lui in un allaccio rovente. E poi è la discesa calda e fluida come l'esplosione di un astro, abbagliante e subito buia, smarrita in oscurità remote, arcaiche.
E' di nuovo immobile, lui. Riaddormentato. Riordino tutto. Tutto. Getto la polvere di pastiglie custodita nel mortaio. Spazzolo i capelli, indosso ancora il vestito nero e canticchiando ticchetto fino a lui. Sta ripiegando il giornale, seduto al posto di prima, l'asciugamano sui fianchi.
- Sai... - dice - Devo essermi appisolato. -
- Sì? -
- Dov'ero rimasto? -
- Devi uscire, ricordi? -
- Oh... - sospira - Mi sa che sono troppo stanco. E' meglio che vada a dormire. -
Si alza, si ferma dinanzi al completo appeso nell'entrata, si volta e strizza un occhio.
- Alla prossima... - e sorridendo va a letto.
Giulia Lenci
Giulia Lenci