Dorme sempre su un fianco, lasciando scoperta la schiena e quel tatuaggio che le decora la parte più alta dei glutei. Mi sembra cosi indifesa e cosi aggressiva allo stesso tempo, come un cucciolo di tigre che quando gioca può essere pericoloso.
Ho viaggiato ovunque, pilota di una vita senza meta. Ho vissuto in squallidi hotel, con letti disfatti e carichi di odori di donne di cui non ricordo neppure il volto. Con lei è stato diverso. Ci siamo conosciuti, come sempre accade, per caso. Lei lì arrabbiata, alla ricerca di un autobus in un giorno di scioperi. Le ho offerto un passaggio, la città era lontana. Abbiamo condiviso duecento chilometri di colline senza conoscerci.
Abbiamo scoperto, giocando con la musica, di amare le stesse canzoni e le stesse melodie; di non condividere l'amore per certi libri e ci siamo ripromessi di leggerne altri.
Ci sono stati momenti di silenzio, non di imbarazzo, solo assenza di rumori che serviva a mascherare un indubitabile volersi bene nato spontaneamente. Era splendido vedere le nostre mani che con gesti intimoriti si cercavano.
Ricordo uno strano rumore di cicale e auto: meccanica e natura che si incrociano. Il vento sembrava volarle tra i capelli lasciandole cadere qualche ciocca bionda sul viso e sulle labbra.
Sto richiamando alla mente il nostro primo contatto: la stavo imboccando con dolci al caramello giocando con le labbra fino a far diventare inevitabile il baciarla. Quel bacio mi sembrò un controsenso: ovvio ed impacciato, immediato e speciale. Le bocche si scaldavano e si assaggiavano a vicenda pregustando l'attimo successivo e quello dopo ancora. Iniziammo a respirare insieme e ad accarezzarci il viso. Fu lei ad interrompere: "Ti prego, non fermiamoci, non rubiamoci del tempo."
Ed eccoci di nuovo in viaggio alla ricerca di una stanza dove passare la notte. I finestrini riempiti da paesaggi sfuocati e da odori penetranti, poche auto in circolazione. Nascosi la macchina in un fienile al lato della strada.
Avevo nel bagagliaio un sacco a pelo vecchio di anni. Era stretto per due, ma la temperatura era scesa troppo per lasciarlo aperto: lei aveva le mani ghiacciate e mentre gliele scaldavo mi disse "Come ti chiami?" "Francesco" "Alice".
Le cinsi i fianchi e le baciai la fronte. Il suo viso profumava di mirra e incenso, proprio come ora. Mi sbottonò i pantaloni, voleva che anche io stessi bene. Non ero eccitato ancora, ma mi ritrovai dentro di lei senza neppure rendermene conto. Avevo quasi paura di rompere quella figura esile. Era cosi avvenente con la bocca semiaperta e gli occhi serrati. Sentivo i capezzoli duri sotto il maglione, mentre continuavo a spingere con movimenti ritmici e lentissimi.
Capii che Alice stava per venire dalle contrazioni dei suoi muscoli, dai mugolii strozzati dalla mia pelle e dalle lacrime agli occhi. Stava piangendo.
La raggiunsi subito dopo, riempiendola. Ricordo il respiro che si fece affannoso per poi rilassarsi.
Alice si voltò su un fianco per dormire: lì le vidi per la prima volta quel tatuaggio.
Non arrivammo mai in quella città. Sono passati dieci anni ormai. E' un sogno realizzato svegliarsi tutte le mattine guardando il tatuaggio di Alice.
<< Non è cosi Francesco, vero? Alice è solo arrivata alla sua città, e tu sei rimasto senza vita e senza amore. Hai solo il ricordo di una notte in un fienile. >>
Coscetta di pollo