Il fuoco bruciava sempre nella stufa. Era notte, notte stellata e silente. E davanti ai miei occhi, inondati di lacrime di piacere, brillavano sempre quelle fiamme, che divoravano il carbone.
Forse, erano le stesse che ardevano teneramente la mia anima.
Davanti a me, appeso al chiodo, il caro e amato abito da strega, con il cappello nero e la ramazza.
Lo mettevo a carnevale.
Alle pareti erano disegnate scene di amori antichi ed assai intricati, corpi nudi di uomini e di donne, ma anche scene di favole mitologiche, dove gli alberi erano trasformati in usignoli, e i passeri del cielo in fate silvestri.
Oh, era stato il vento di passione, il vento di passione!
Io e il mio amore giocavamo a carte, l'uno di fronte all'altra. Oh, Cielo, lui sapeva quanto lo amavo, quanto i miei occhi impazzissero per lui, e come fossi stregata dal suo amore. Gli tenevo sempre la mano, mentre scoprivo gli assi, e ogni mio sguardo era un segreto di affetto per lui.
- Lo faremo ancora, promettimi che lo faremo ancora – gli dicevo sempre, sussurrando.
E il mio amato tesoro non rispondeva. Era così pieno di affetto e di attenzioni nei miei confronti, anche il suo silenzio bastava a carezzarmi.
Sospiravo sempre. Lui vedeva il mio petto alzarsi ed abbassarsi e sorrideva. Le mie gambe cercavano le sue, sotto il tavolo.
Attraverso i vetri all'inglese della finestra vedevo il bosco e gli alberi baciati dalla neve d'inverno.
Faceva freddo.
A volte, ci capitava di giocare alle fiabe sulla neve. Avevamo appena vent'anni... Io mi vestivo come per carnevale, e lui faceva lo stesso. Avevo un vestito che mi faceva assomigliare a Cappuccetto Rosso, con una lunga mantella scarlatta, il cappuccio, e un cesto di vimini da mettere sottobraccio. Lo indossavo con disinvoltura.
Il mio angelo invece si travestiva da lupo cattivo, o da boscaiolo. Oh, mi sembra di vederlo, con quella finta accetta di legno in mano, i pantaloni alla pescatora, la camicia pesante pesante mezza sgualcita, il cappello caratteristico e gli stivali.
Veniva anche una mia amica, una cara amica, sempre vestita con un costume intonato al bosco. E così facevamo le nostre passeggiate folli, sulla neve.
Non vi nascondo che anch'io portavo gli stivali.
Ed erano neri, di pelle e col tacco a spillo.
Ero completamente nuda, sotto il mio costume da Cappuccetto Rosso.
Tutti e tre i burloni avevano vent'anni, tutti e tre erano pieni di desiderio di piacere. Amavo sentire quella dolce sensazione di freddo sulla pelle...
Mi portavo le mani gelate sui seni nudi, e avevo l'impressione di bruciare. Sfioravo dolcemente i capezzoli sodi e rosati, poi le mie dita di perla vagavano verso l'ombelico e la vulva, la parte più intima della mia femminilità. Così, sotto il mantello scarlatto, potevo regalarmi un orgasmo di fuoco.
E tutto questo mentre facevamo finta di scherzare vicino ai rovi ricoperti di neve.
La mia cara amica era travestita da folletto, l'anima consolatrice di Cappuccetto Rosso.
E il boscaiolo, cioè il mio amore segreto, il mio compagno di giochi, da sempre, recitava la parte dell'innamorato proibito della fanciulla del bosco, che doveva andare a trovare la nonna.
Saltellavamo sulla neve, recitando filastrocche.
Erano filastrocche che sapevano di piacere, come quel bacio furtivo, che il mio compagno regalava alle mie labbra, alla fine della recita, sussurrandomi parole d'amore, proibite persino al vento.
Io scrivo proibite, ma è come dire tanto appassionate, da non poter essere raccontate.
La nostra amica stava a guardare.
E vedeva come il boscaiolo prendesse tra le braccia la sua Cappuccetto Rosso. La stringeva così forte da strapparle sospiri di felicità.
Avrebbe desiderato toglierle il mantello, e coccolarla nuda tra le sue braccia. A volte lo faceva. Era questo il premio dovuto all'eroe, per aver ucciso il Lupo Cattivo, o il Troll gigantesco che avrebbe voluto fare suo prigioniero l'angelo del bosco.
A volte stendevamo il mantello rosso sulla neve, e lui mi possedeva lì, mentre la nostra cara amica travestita da folletto ci guardava e si toccava, godendo insieme a noi. Amavo sentire il corpo di lui felicemente adagiato sulla mia pelle.
Adoravo sentirlo penetrare nel mio grembo e stringere forte i miei seni nudi, mentre le mie gambe sfioravano la neve. Poi, toccavo il cielo tra i suoi baci.
Lo toccavamo entrambi, dopo aver recitato la nostra amata fiaba.
A volte lui lo faceva con la mia amica, davanti a me, per farmi ingelosire.
E io guardavo.
Oh, ma che cosa vi sto raccontando?
Il mio tesoro era sempre pieno di affetto e di premure nei miei confronti. Passavamo l'inverno assieme, passeggiando per i boschi.
Adoravo farmi pettinare da lui.
Allora, era come se carezzasse i miei lunghi boccoli d'oro, con un pettine d'affetto. Non di rado posava le sue labbra sulla mia chioma, e mi faceva sospirare.
Sapeva anche farmi la maschera di bellezza.
Bagnava le mani grandi nel catino d'acqua fredda, e poi le posava sul mio volto di perla, delicatamente, amorevolmente, ed era come se gocce di piacere mi imperlassero le guance, per poi essere asciugate dai suoi baci.
Mi metteva anche il rossetto.
E alla fine, lo ricompensavo, provandolo sulle sue labbra. Non vi nascondo che lasciava sempre il segno.
Voleva anche che lo provassi sul resto del suo corpo, e che giocassi a quel vecchio gioco tra il suo membro e le mie labbra.
Mi accarezzava, mi massaggiava.
Dopo la sauna, mi sdraiavo nuda sul tavolo di legno, e desideravo il fuoco di quelle mani sulla pelle. Desideravo il desiderio e l'illusione, sì, l'illusione di un tocco fatato, che saliva dalle mie gambe verso le natiche bruciate dal calore del bagno, per poi solcare dolcemente la schiena nuda, le spalle d'avorio, le braccia sode e carnose.
In quel mentre, poteva accadere che ci abbracciassimo.
Entrambi eravamo nudi.
Non dormivamo in un letto a castello, non ve lo nascondo. Era un lettino di legno, che forse sarebbe bastato per una sola persona, ma lo usavamo in due, per stare più caldi ed abbracciarci.
Ma non riuscivo ad addormentarmi senza prima aver provato quel piacere. Il mio amico del cuore voleva che gli raccontassi le fiabe, prima di cadere addormentato e di sognare. E io lo facevo. Ma non erano fiabe tradizionali, sapete?
Erano fatte di baci, di abbracci, di corpi nudi, avvinghiati, di mani bianche dalle dita lunghe, e dalle unghie dipinte, che torturavano di piacere la schiena di lui, di sesso folle e appassionato, il letto sobbalzava e scricchiolava, le nostre membra fremevano, i miei seni grandi e senza veli si strofinavano sul petto irsuto di lui.
Era come il fuoco della stufa, che bruciava, bruciava, bruciava sempre il suo carbone.
E tutto moriva così, in un pianto e in un sogno di passione.
Dunklenacht