Il venerdì è giorno di cantina. Luisa vuole che sia lucido anche lì, dove persino i topi si metterebbero in pantofole, se per caso avessero l'idea di entrare a curiosare in quel salotto sotterraneo lindo e asettico, in cui anche il vino perde aroma, disanimato dalla mancanza di polvere e disordine.
Florita arriva alle quattro e scende dalla scala esterna, per non entrare inutilmente in casa a portare sporcizia. Luisa la saluta dalla finestra e controlla l'orologio.
- Amedeo - dice - Vorrei che tu chiudessi bene il barattolo dello zucchero. -
Corro a vedere. Ma è ben chiuso...
- Qui ci sono dei granelli. Attirano le formiche... -
Guardo meglio. Conto due granelli di zucchero sul ripiano di legno incerato. Due. Annuisco, li prendo tra i polpastrelli e me li metto in bocca.
Luisa sussulta. - Ma erano impolverati... -
- Oh... - dico - Non succederà più. -
Sorride bonaria e continua a strofinare la frutta con il canovaccio. Le mele, una ad una. Le nespole, una ad una. Le ciliegie, una ad una. Poi costruisce una piramide sul grande piatto di ceramica in mezzo al tavolo, arretra di un passo e osserva con occhio critico. Va sulla porta e guarda ancora.
- Amedeo - dice - Vorrei che tu non toccassi la frutta fino a cena. -
- Ma certo. - la rassicuro.
Si prepara per la canasta delle sei.
- Amedeo - dice - Vorrei che, un po' prima delle sette, tu uscissi a pagare Florita. Così non bussa alla porta. Ha le mani talmente sporche... -
- Stai tranquilla, cara. -
Finalmente se ne va.
Corro subito in cantina. Esili raggi di luce entrano di sbieco dalle grate a filo terra. La penombra è riposante.
- Florita... - mormoro.
Lei sorride. - Signore... -
Quella vestina blu è la mia preferita. Le dona molto alla carnagione e lei la indossa sempre, il venerdì. E' allacciata sul davanti con una cintura di stoffa.
Florita la scioglie a occhi bassi e le ciglia nere sembrano dipinte. Quando le solleva, il sole inonda la stanza. I suoi occhi scuri brillano e hanno sfumature azzurrine nel bianco liquido. Si muove adagio, Florita, posando l'abitino in un angolo, fermandosi così, perché io la guardi, senza null'altro addosso che la sua lunga treccia. E' tutta piena e morbida, Florita. Dalle guance alle labbra, dal seno generoso ai fianchi ampi, dalle cosce tornite ai polpacci sodi. E, quando si volta, è la sua treccia a parlare per lei.
Ha capelli di pece, Florita, annodati stretti stretti fino in fondo, tra le natiche meravigliosamente tonde, dove il nastrino rosso brilla e mi folgora, mentre lei pian piano guarda chissà cosa al soffitto e poi pian piano guarda chissà cosa a terra. E' la discesa e risalita di quel fiocchetto acceso che scioglie in me il legame con il mondo esterno. E io, ormai creatura d'ombra, poso le labbra su quella treccia dai riflessi blu, profumata di non so cosa.
- Tu la lucidi, questa treccia... - le sussurro.
- Con un olio magico, solo il venerdì. -
Bacio tutta quella treccia, nodo dopo nodo, scendendo a poco a poco, inginocchiandomi a prendere tra le labbra il ciuffo scuro sotto il nastro rosso. Mi tengo ai suoi fianchi - affondando nei glutei duri- alle sue gambe ferme, e lei muove appena appena il capo, un po' di qua, un po' di là, e io sempre bacio la sua pelle di seta, seguendo il bagliore di fuoco, ammaliato.
Allora lei si volta, con la mano porta la treccia davanti al mio viso - poggiata alla sua pelle ambrata - una lunga fune con cui, nodo su nodo, mi lega a sé. Ancora percorro quell'intreccio stregato e, giunto alla fine, lei non si muove più. Continuo a baciare sotto il fiocco rosso tutto ciò che la mia bocca trova, che la mia lingua penetra carezzevole.
E' il suo sospiro lunghissimo - un sospiro che pare non finire mai - a dirmi che ora merito qualcosa.
Infatti sorride e mi spoglia, con le mani paffute e delicate, con la paziente noncuranza che solo lei possiede. Cammina intorno a me con la treccia nella mano, sfiorandomi leggera ovunque passa.
Trasalisco, abbandonandomi nel vortice del suo sguardo e dei brividi che mi regala, giro dopo giro, legandomi nell'incantesimo del suo respiro silenzioso. Non riesco più a parlare, posso soltanto gemere, quando mi attira a sé e contro il muro punta la testa indietro e protende in avanti il bacino, risucchiandomi in una voragine in cui scivolo senza resistere, lasciandomi inghiottire, ad occhi chiusi, nella notte più antica del mondo.
- Florita... - le so dire riaprendo gli occhi nei suoi.
Sorride e prende il mio viso tra le mani. Calde, morbide, buone. Le prendo nelle mie e, con tenerezza, bacio quei palmi sudati, impolverati.
Giulia Lenci