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Racconto n° 1329
Autore: Dunklenacht Altri racconti di Dunklenacht
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La fata di Mezzanotte
Le fate piangono prima di morire, sapete?

Piangono, e soffrono... Anche alla Fata di Mezzanotte era successo, prima che una ad una le bianche stelle del cielo fossero soffocate dalla tormenta. E la neve bianca aveva ricoperto la sua tomba.

Oh, voi lo sapete, voi lo sapete, non è vero, qual è il destino di una fata? Le fate muoiono d'inverno, e in primavera rinascono, sotto forma di fiordalisi, sbocciati alle prime piogge d'Aprile. Le fate vivono una vita breve e triste, chiuse in una prigione, vedono gli alberi spogli dell'autunno, ascoltano il sibilare triste del vento di Dicembre, dopo aver passato i mesi precedenti pensando soltanto ai loro ricordi... E infine arriva Gennaio, un brutto giorno, arriva il carro del destino, tirato dai grigi destrieri del silenzio. Un cocchiere scende da cassetta, è avvolto in un nero manto, ha in mano una frusta che fa schioccare nell'aria con crudeltà, porta una gamba di legno. Bussa alla porta delle fate, e loro non possono rifiutarsi di aprirgli!

Cielo!

E così le conduce via con sé, le rapisce, con la stessa cattiveria con cui il fato le ha fatte vivere chiuse in una prigione e incatenate.

La Fata di Mezzanotte non conosceva il suo destino. Ma gli occhi suoi sapevano, sì! Quelle pupille languide, fatte per amare, quei lunghi capelli turchini, che le adornavano il volto, così spesso ricoperto di lacrime, quelle mani bianche, dalle dita lunghe, dalle unghie dipinte di celeste, quel lungo manto, oh! La morte doveva risparmiare tutto questo!

Oh, mia dolce fata, ti voglio bene, e vorrei sentire la tenera carezza dei tuoi lunghi boccoli azzurri sulle mie spalle, vorrei stringerti a me, e dirti che ti posso salvare dalla tua sorte triste!

In quegli sguardi aveva brillato la tristezza dell'autunno, con i suoi tramonti infuocati, offuscati dalle foglie morenti delle querce, un giorno, dalla sua finestra, l'infelice aveva visto seppellire un fanciullo, e morire un angelo... Era stato allora che aveva compreso la sua sorte.

La Fata di Mezzanotte però aveva un segreto: dopo che la pendola aveva suonato gli ultimi dodici rintocchi, poteva abbandonare il suo corpo mortale, e volare via.

Ed era volata via tante volte, verso la città, in cerca di un amante affettuoso che la prendesse tra le sue braccia e la sapesse consolare. Ma nessun umano poteva vederla, né parlare con lei. Era stato soltanto il suo angelo custode a dichiararle il suo amore, e a giurarle che sarebbero stati insieme per sempre.

Ma lui non poteva entrare nella sua prigione, poteva soltanto parlarle attraverso le sbarre.

Un giorno, la Fata di Mezzanotte ricevette la visita della Strega Nera.

Questa strega era bionda, portava un lungo abito color pece, e le diceva, sogghignando:

- Oh, pensi di essere davvero felice nella tua vita, bambina mia? Lo pensi davvero? Rispondi: cosa puoi vedere dai vetri appannati della tua finestra? Felicità e gioia? O soltanto grigiore? Puoi uscire veramente da questa stanza? O è una prigione? Dimmi: e quanti mortali hai visto col sorriso sulle labbra? Quanti esseri viventi possono dire di essere felici della loro vita? Chi è colui che sa di dover svanire come cenere al vento e può gioirne? Chi, se non un illuso?

E mentre la Strega Nera le diceva questo, le andava accarezzando i lunghi capelli turchini, così amorevolmente, che... oh!

- Io sono buona, lo sai? Io ti sono amica, e non voglio che tu soffra. Per questo ti dico la verità e non uso menzogne: presto arriverà uno spettro cattivo, che ti farà soffrire atrocemente, arriverà il carro triste, e tu piangerai... Nessuno può salvarti, nessuno, nessuno, nessuno... Io però ti amo, ti adoro...

Le parole della strega svanivano nell'ululato della tormenta.

- Tu hai paura di me?

- Sì – rispose la Fata di Mezzanotte.

- Oh, no, non devi, io ti sono amica, io ti amo...

La Strega Nera era davvero una bella donna, aveva un volto di fanciulla, e le labbra rosse come il fuoco, che risaltavano ancor più grazie a quegli occhi azzurri come il gelo.

- Sì, io ti amo, anche se non posso salvarti.

E la fattucchiera abbracciò la Fata di Mezzanotte, appoggiando le sue labbra infuocate su quelle dell'infelice. Sì, la baciò, accarezzandola con le sue mani d'alabastro, mentre lei piangeva.

- Le mie labbra non sono velenose – disse l'ammaliatrice. – Tu non sai, ma un giorno, mi ghigliottineranno...

E mentre la neve ricopriva le querce spoglie, la Strega Nera agitava la sua bacchetta magica, intonando una formula misteriosa.

E le mani sue cercarono la vulva vellutata della Fata, la trovarono, e cominciarono a carezzarla, carezzarla, carezzarla, mentre il petto dell'infelice s'alzava e s'abbassava, in preda all'affanno.

- E' la prima volta che provi questo, vero? – sogghignava la strega. – Sì, la morte ci divorerà tutti, ma nulla può contro il mio fuoco!

Ed era un fuoco più forte e bruciante di quello che ardeva nel camino, e inceneriva i rami secchi, sì, l'ammaliante fattucchiera aveva generato una creatura nuova.

La Strega Nera insegnò alla Fata di Mezzanotte come accendere quel fuoco, anche da sola, raccomandò di non abusarne, le promise di tornare, e lo fece. Spesso la abbracciava teneramente e faceva l'amore con lei, per consolarla.

E si accomiatava sempre dalla sua bella baciandola delicatamente sulla bocca.

Dunklenacht

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