Pioveva a dirotto.
Ero rimasto solo nella vecchia casa di campagna, perduta tra i grandi boschi di pioppi. Il mio sguardo correva lontano, oltre la finestra, verso le grandi colline ammantate di faggi, dove un tempo credevo di avere incontrato le streghe.
Forse, esistevano davvero.
A tratti, il grigiore delle nubi era rotto dalla luce di un lampo. Era accecante e triste al tempo stesso.
Il duro e malinconico silenzio che mi avvolgeva venne rotto ad un tratto da una voce misteriosa, che sussurrava il mio nome.
Ricordo di quante volte fossi salito nella soffitta, a cercare mappe, storie di pirati e di fantasmi, ricordi di famiglia e antichità. E avevo trovato il diario di una sconosciuta, polveroso e grigio, dove era narrata la storia di una fata.
Fu lei a venire da me, quel giorno.
Era un essere dal volto di perla. Mi narrò la sua vita triste... L'aveva creata il vento, e i faggi parlanti, invidiosi della sua bellezza, l'avevano voluta per sempre con loro. Per questo avevano chiesto al Grande Mago di incatenarla, per poi trasformarla in una primula. Il suo destino sarebbe stato di sbocciare ogni primavera, per poi morire come tutti gli altri fiori tristi.
Ogni tanto, però, le era concesso di mostrarsi a qualche anima infelice e solitaria.
E venne da me, avvolta in una nube turchina.
Portava un grande cappello da fata, a cono, color confetto, ma non era turchina, no, infatti, portava un abito viola, e delle scarpe coi tacchi a spillo bianche.
Era completamente nuda, sotto; notai con piacere la vasta scollatura del suo vestito, che esaltava i suoi prorompenti seni, mi accorsi di come mi mostrasse le gambe, lunghe e perfette, da quella gonna bordata di raso, che arrivava soltanto al ginocchio.
Era come velata, portava un lungo mantello rosa, e aveva una catenina attorno alla caviglia.
Compresi allora che doveva essere prigioniera di un ardente passione.
- Sono la Fata dell'Ovest - mi disse.
E per sussurrarmi questo, si avvicinò moltissimo al mio volto, e quasi mi diede un bacio sulla bocca, con quelle sue labbra dolci e rosse come il corallo.
La mia mano già carezzava quei suoi lunghi capelli color smeraldo. Sì, erano capelli d'angelo.
La fata cominciò ad ansimare. Si era aperta il corsetto, e io vagavo con la lingua sul suo seno prorompente, vellutato, che s'alzava e s'abbassava, affannosamente, oh, quanto era eccitata!
Eravamo in piedi, l'uno accanto all'altra, lei già mi stringeva tra le sue gambe, mi attirava a sé, e non si stancava di baciarmi sulla bocca.
Nella stamberga c'era un letto, appena rifatto. Forse era troppo piccolo per due persone, ma la Fata dell'Ovest vi si sdraiò sopra, divaricò le gambe e con un gesto istintivo e pieno di passione si sfilò le belle mutandine ricamate.
Poi mi fece cenno di venire, mentre già cominciava ad accarezzarsi.
Era seminuda. Mi gettai su di lei, e la penetrai a fatica, provando un leggero fastidio mentre il mio prepuzio s'abbassava, lasciando scoperto il glande. Poi cominciai a muovermi lentamente, spingendo il membro sempre più in profondità.
La fata diceva di volere un figlio da me, mi chiedeva di farla soffrire, piangere e morire di piacere.
Aveva cominciato ad ansimare forte e a lamentarsi.
Il suo sesso magico si bagnava sempre più, io stavo sopra di lei e la possedevo. Il letto scricchiolava.
- Avanti, continua, mio bel tesoro! Ah, ah, aha, ah!
L'orgasmo s'avvicinava.
Ero pieno di sperma, non lo facevo da tanti giorni, ma cercai di durare il più a lungo possibile, alla fine venni, e la inondai.
Poi la Fata dell'Ovest sospirò, e svanì tra le mie braccia.
Era stata una visione, una delle tante che abitavano la mia giovinezza e si confondevano con le nebbie tranquille e fredde del bosco grande.
Sapevo però che si sarebbe ripresentata, perché l'avevo chiesto espressamente a quelle labbra di velluto, prima che mi lasciassero.
Dunklenacht