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Racconto n° 1337
Autore: Dunklenacht Altri racconti di Dunklenacht
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L'amica triste
Aveva i capelli del più bel biondo che avessi mai visto.

Mi piaceva accarezzarglieli, mentre dormivamo e sognavamo insieme, abbracciati, in quelle notti piene di stelle e di fantasie. Eravamo cresciuti, ma non avevamo ancora compiuto vent'anni, e avevamo deciso di trascorrere felicemente l'estate in quel paese di mare; uno dopo l'altro, i giorni volavano via, come i gabbiani bianchi che affollavano quel cielo assolato, ma triste.

Allora, avevamo l'animo di due fanciulli, pieni di sogni e di follia, ci piaceva tanto credere di poter giocare a quel bel gioco che tutti chiamano la vita.

Forse, avremmo giocato così per sempre.

Era un'estate calda, ma non afosa, ricorderò sempre la sabbia bianca di quelle spiagge tranquille, le grida allegre dei bagnanti, gli interminabili pomeriggi, affollati dalle lunghe ombre disegnate dal sole, che giorno dopo giorno moriva sempre più lontano all'orizzonte.

Oh, come ricorderò quei giorni felici, che passavamo insieme, andando a passeggio allegramente, mano nella mano, o correndo su di un pedalò, fino alla pineta, o per le vie del centro. Come ridevamo... I nostri volti sembravano disegnati dallo stesso pennello che aveva dipinto quegli scogli bianchi, dove svanivano le onde del mare, e d'inverno ululava il vento freddo.

Una volta baciai la mia amica sulla bocca. Accadde improvvisamente, la vidi arrossire, perché non se l'aspettava.

Ma non ricevetti uno schiaffo, anzi, lei che non sorrideva quasi mai, rise, per un attimo.

E mi chiese di rifarglielo, di rifarglielo, perché di vita ce n'è una sola, e tutto passa, passa, e non ritorna più.

Aveva gli occhi bagnati di lacrime, mentre mi sussurrava questo, e fu lei stessa a volermi abbracciare nuovamente, e a premere dolcemente le sue labbra sulle mie, accarezzandomi con i suoi capelli...

- Ti amo, Kate, amica mia – le dissi.

- Non dirlo. Pensalo soltanto... pensalo, e confida questo desiderio al vento!

- Nessuno lo saprà, nessuno lo saprà mai, lo sapremo noi due, e nessun altro.

E come eravamo pieni di gioia, noi due, soli, senza nessuno che ci odiasse o ci facesse del male! Ci sembrava che quell'estate, quella dolce stagione della vita, non dovesse finire mai.

Follie!

La sera, andavamo al luna-park.

Quante luci, quanti colori, quanti suoni affollavano quei tramonti! Com'era bello sognare, accarezzati dall'ultimo raggio di un sole di fuoco! La musica riempiva il silenzio e provavamo l'impressione di essere ancora bambini.

Mi dava fastidio sapere che gli occhi degli altri ragazzi si posavano sulle forme della mia cara amica Kate, che era sempre ben vestita, con un paio di scarpe col tacco alto, e mostrava le belle gambe e i piedi dalle lunghe unghie dipinte di rosso.

Me la ricordo che sorrideva, nascondendosi la bocca con la mano...

Una volta, eravamo saliti sulla ruota panoramica, ed eravamo arrivati in alto, in alto, salutando con la mano il clown dalla grande parrucca rossa, che sparava con la sua pistola ad acqua.

Nessuno poteva vederci.

E allora sentii che la mia amica mi portava la mano sulle sue gambe perfette, lisce, lunghissime, sode e bianche... Sospirava, ma di piacere. Le sue labbra erano completamente ricoperte di rossetto. Mi chiese di masturbarla, di masturbarla, di masturbarla... Voleva che non lasciassi altro che cenere, di lei, di quel suo corpo profumato, di quei suoi seni abbondanti e morbidi al tatto.

Non importava più dove fossimo. Ricordo che la abbracciai forte, con una mano stringevo la sua, che aveva le unghie dipinte di rosso, come quelle di una bambola, con l'altra la carezzavo provocandole un orgasmo di fuoco.

Anche lei mi toccava, follemente.

Le mie gambe erano attorcigliate alle sue, il mio corpo era attorcigliato al suo, e il suo al mio, rammento le dolci illusioni che la musica evocava in noi, il divertimento, e in particolare il rullo dei tamburi... Durò a lungo, o almeno così ci sembrò.

E lo rifacemmo, lo rifacemmo, lo rifacemmo.

La mia amica mi chiedeva se mi piacesse godere di quel fuoco, e io le rispondevo di sì, di sì, di sì... Anche a lei piaceva, da morire: avrebbe voluto svenire in qualcuno dei nostri momenti di piacere, in cui eravamo soli, in uno di quei pomeriggi d'estate, travolti dalla dea Venere.

E me lo ripeteva, baciandomi, mentre prendevamo il gelato in uno di quei chioschi, davanti al mare, e la tristezza di Settembre si disegnava davanti ai nostri occhi.

Presto sarebbe giunto il momento di lasciarci.

Fu dolce e triste, come quell'estate, come quei baci, e quei morbidi capelli biondi, che volavano al vento.

Da allora, non la rividi mai più.

Dunklenacht

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