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Racconto n° 1367
Autore: Dunklenacht Altri racconti di Dunklenacht
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Il violoncello
Ricorderò per sempre quelle corde incantate, toccate da mani di fata, e i suoi dolci suoni leggiadri, bui, crepuscolari.

E mi sembrava che parlassero di castelli lontani, diroccati, di monti innevati, di grotte profonde, abissi marini, occhi di perla, dita di bambola, mantelli diamantati, rivelazioni fantastiche,
bocche rosse e lusinghiere, veneri prigioniere...

Erano follie, narrate per il silenzio!

La cara giovane sapeva suonare bene il violoncello. E mentre le sue dita veloci correvano sull'antico strumento di legno, avevo l'impressione che stesse facendo l'amore con lui.

Mille gelosie, allora, mi assalivano, per poi dissolversi, nei sogni turchini e leggiadri ispirati da quei suoni lunghi, e come fatati.

Sapevo ascoltare, mentre ammiravo quella mano bianca, dalle dita lunghe, affusolate, le belle unghie dipinte di blu, avevo a volte l'impressione che la favolosa suonatrice portasse dei guanti, fatti di sogno, e tenesse nella destra non un archetto per suonare, ma una bacchetta magica, con cui incantare.

Oh, allora, ti ricordi, amica mia? Eri di perla, eri la mia bella.

Una volta, scherzando, mi avevi detto, per farmi ingelosire, che nel tuo violoncello tenevi nascosto un uomo. E di nascosto ai miei sguardi, quando io non c'ero, lo facevi uscire da quel segreto nascondiglio, per giocare con lui al gioco proibito del piacere.

E ridevi, ridevi, dicendomelo, la bocca rossa e grande spalancata, come una melagrana, i denti d'avorio, scintillanti, mi richiamavano alla mente i momenti infuocati in cui sospiravi, nuda, sotto di me, pronta a ricevere il mio fuoco.

Sì, un giorno, avevi suonato con me senza il violoncello, nel segreto delle tue stanze, in penombra, facendo sì che nessuno potesse udire quella musica, cantata soltanto dalla voce di una donna, mentre si sente scuotere dalla tempesta, perché un uomo possiede il suo corpo.

Per un attimo, avevi dimenticato tutta la tua arte, ma soltanto per impararne una nuova.

Dai vetri appannati della tua finestra si vedeva il mare, i gabbiani bianchi, le onde immense, che si schiantavano sugli scogli, le navi, fantasmi perduti all'orizzonte, dicevi che era la stagione delle sirene, sì, delle sirene, loro cantavano come sapevi fare tu, accompagnandoti con il violoncello.

E io ti chiedevo di suonarmi, di trattarmi come quel vecchio strumento, al quale eri tanto affezionata, che non ti separavi mai da lui.

Quello era il tuo secondo amante, sì, lo era veramente, ma a me non importava, volevo che le tue dita lunghe pizzicassero le mie corde, che mi strofinassi forte, con tutta te stessa, fino a godere insieme delle lusinghe del piacere.

La suonatrice e il suo strumento dovevano fondersi insieme, nella musica.

Avrei voluto distruggerti, per poi ricostruirti, frammento dopo frammento. E te lo dicevo ridendo, mentre giocavo con i tuoi lunghi capelli.

Volevo che mi scuotessi, che mi girassi e rigirassi tra le mani, ma soprattutto, desideravo le tue labbra, perché avevo il privilegio di sapere che non davano pace, quando riuscivano ad afferrare quell'estremità dorata che forse brilla in tutti i sogni delle donne.

Plin, plon, plin, plon, la voce del violoncello si mescolava sempre a quella del mare lontano. Pareva una magia. Ma un brutto giorno, accecato da una feroce gelosia, ti strinsi forte, per dirti di distruggerlo.

Ti ricordi? Ma tu sorridevi, perché sapevi che mai avrei potuto dare fuoco al magico talismano del nostro affetto.

Dunklenacht

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