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Racconto n° 142
Autore: Agata Altri racconti di Agata
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Il perdono
Nella stanza ci sono solo io.
Io seduta a terra, la schiena appoggiata al muro.
Io con la mia paura, che mi stringe lo stomaco, che mi blocca i pensieri.
Il silenzio che mi avvolge mi spaventa, me lo sento pesare addosso come un pesante sudario doloroso.
Aspetto.
So di non dovere, di non potere fare altro.
La mia testa ha finalmente smesso di urlare in silenzio al mio corpo di muoversi, di ribellarsi, adesso aspetta anche lei.
Il tempo dell'attesa mi cade addosso, segnandomi la pelle.
Lo spazio vuoto che mi circonda sembra una proiezione del vuoto che sta dilagando dentro di me, solo una sedia appoggiata al muro lo interrompe.
Sto galleggiando in un mare di paura, il mio corpo paralizzando mi sembra spingermi sempre più giù, sento l'onda alta del terrore sollevarsi sopra di me.
La porta si apre, lentamente.
Entra un uomo, un uomo mai visto.
Poi un altro.
E un altro ancora.
Tre sconosciuti che in silenzio mi osservano, mi fronteggiano.
I loro sguardi mi corrono addosso, lasciando impronte lascive sul mio corpo nudo, che tento di nascondere avvicinando le gambe al petto, chinando il capo.
La porta si apre, ancora.
Entri tu.
Percorri la stanza in silenzio, non parli con nessuno, non guardi nessuno.
In silenzio ti dirigi verso la sedia, la scosti appena dal muro, ti siedi a cavalcioni, il mento appoggiato alle mani.
Non mi guardi, non mi parli.
Non parli nemmeno con gli uomini nella stanza, tutto è già deciso.
Basta un impercettibile movimento della tua mano.
E il mio corpo ora diventa terreno di conquista e di saccheggio per loro, viene preso, ferito, morso, leccato.
Senza una parola mi rovesciano a terra, uno di loro mi penetra con violenza, spingendo il suo sesso duro e prepotente con forza dentro di me.
Volto lo sguardo verso di te, tu ci stai guardando, ma è come se non mi vedessi.
I tuoi occhi hanno il colore cupo del padrone, di chi comanda, di chi punisce e non perdona.
Il tuo sguardo duro mi indica tutto quello che ti aspetti da me, prima di darmi il tuo perdono.
So che per avere il tuo perdono devo obbligare me stessa ad accogliere nella bocca il sesso dell'altro uomo, che viola le mie labbra con forza. So che devo ignorare e dimenticare le lacrime che premono dietro i miei occhi, lacrime di dolore e di umiliazione che bruciano come sale.
I gemiti di godimento di questi sconosciuti rimbalzano nella stanza vuota, accompagnati dal tuo silenzio duro come il marmo.
Mentre questi uomini continuano ad invadere il mio corpo con una brama così furiosa che in un altro momento potrebbe terrorizzarmi, continuo a guardarti, a cercare il tuo sguardo.
Ma i tuoi occhi sono talmente duri da spaventarmi ancora di più, costringendomi ad abbassare i miei, per non vederli.
Non riesco ad immaginare cosa senti dentro di te, vedendomi così violata.
Non posso chiedermi come riesci a sopportare di vedermi costretta a quattro zampe, come la più sporca delle cagne, tenuta per i capelli come un animale, mentre questi tre sconosciuti cercano il loro godimento accanendosi addosso a me, marchiandomi la pelle scaricandomi addosso il segno tangibile del loro orgasmo.
Il rumore della porta che si chiude alle spalle degli sconosciuti rimane per un lunghissimo istante l'unico suono che si sente nella stanza.
Raggomitolata a terra non so cosa sto aspettando, se un tuo gesto, una tua parola o un'altra punizione.
E la tua mano, che accompagna un morbido panno bianco che deterge delicatamente il mio corpo, mi racconta il tuo perdono.
Mi accogli nel cerchio amato delle tue braccia, lenendo le mie ferite, pulendomi e purificandomi.
Ho il tuo perdono, finalmente.

Agata

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