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Racconto n° 1464
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Rosetta aveva le mani callose
Rosetta aveva le mani callose. Piccole e callose. Come quelle di chi impugna vanghe e badili col manico di legno liscio e pulito.
Rosetta faceva la vita poco lontano da casa mia. Non si truccava, non si vestiva in modo provocante. La vedevi lì sul marciapiedi e ti sembrava una che aspetta l'ultimo autobus della sera per tornare in periferia, appena uscita dal lavoro di commessa o di parrucchiera. Era la sola nella zona che non era una zona di - giro - . Nessuno si fermava davanti a lei con l'auto, nessun finestrino si apriva, nessun uomo si sporgeva sul lato del passeggero, nessuna contrattazione si svolgeva in modo apparente. I clienti di Rosetta cercavano parcheggio, smontavano dall'auto, si avvicinavano a lei come ad una conoscente, le porgevano la mano poi la portavano con loro.
Rosetta aveva le mani callose e questo la faceva speciale. Rosetta non scopava, non lo prendeva in bocca, non contrattava il - mezzo di fica mezzo di bocca - . Rosetta non aveva tariffe. Era un angelo di strada con le mani callose. In auto non parlava molto ma mentre guidavi ti apriva i pantaloni e metteva dentro un dito a cercarti il sesso, lo carezzava col suo dito calloso senza farlo uscire dalle brache. Rosetta ti faceva andare in un grande piazzale, capolinea anonimo di una metropoli distratta e ti faceva posteggiare lontano dai lampioni di luce biancastra e malaticcia.
Solo allora ti tirava fuori il sesso e cominciava a masturbarlo tra due dita callose. Sentivi la sua pelle dura contro la tua pelle morbida, sognavi pastorelle dalla agreste ingenuità ghermite come un fauno sotto un albero di ciliegio. Una potente erezione che le mani callose circondavano come una morsa struggente, un lungo movimento di su e giù interrotto da pause sapienti. Poi infilava l'altra mano a prenderti i testicoli che strofinava tra di loro. Oppure passava il palmo proprio sulla punta del sesso ormai paonazzo. Quella mano era come un corpo che cambia continuamente posizione. Una sinfonia fatta di movimenti: allegro, andante con brio, allegretto, andante ma non troppo. Quelle mani sapienti, dure come la vita, reali come il mondo avevano la sapienza dell'Universo.
E quando giungeva il momento con una mano ti portava tra le galassie e con l'altra raccoglieva tutto il frutto di quel frammento di felicità. Poi ti chiedeva di aprirle la camicetta e di tirarle fuori una mammella. Era soda, rotonda, pressoché perfetta e sormontata da un capezzolo lungo al centro di un'aureola piccola e scura. Si spalmava il tuo seme come una crema e ti chiedeva di accendere la radio. - Trova una musica malinconica - , diceva. E se ne stava lì ad ascoltare mentre il tuo seme le lucidava la pelle del seno sotto il riverbero della luce dei lampioni lontani. Muoveva la testa dondolandola al ritmo della musica. Giusto un po'. Poi si puliva con una salvietta imbevuta, sistemava il seno nudo dentro la camicetta e tu le regalavi un oggettino prezioso, un anellino, un paio di orecchini, un pendaglio. Nulla di troppo prezioso ma qualcosa per procurarti la quale dovevi metterci attenzione, rispetto e considerazione. Altro che anonime banconote. Poi si faceva riportare alla fermata dell'autobus.
Nessuno l'ha mai vista salire, nessuno ha potuto mai tradurre in fatto accertato l'immagine di Rosetta che raggiunge la sua casa in periferia come un'ombra assorbita dal buio, come un pensiero leggero che sparisce nella tormenta di un cervello inquieto.
Poi non l'ho più vista. Non oso interrogarmi sulla sua sorte. Forse ha solo cambiato zona. E le sue mani callose stanno facendo sbocciare altri fiori.

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