La voce dell'altoparlante gracchia.
Un suono di cui l'uomo al binario comprende solo tronchi spezzoni di parole.
Binario.
Delle 11 e quara.
Nove.
Come briciole di ferrovia, nella mattina di estate ormai piena, lasciate su una tovaglia, quando non si ha voglia di scuoterla subito e si rinvia. Il treno è in ritardo.
Lo sa comunque, del ritardo, non ha bisogno dell'annuncio, perché lui e lì da una mezz'ora.
Doveva arrivare già quasi quindici minuti prima.
"Arriverò domani, col treno delle undici e quaranta. Mi aspetterai alla stazione vero?"
"Ci sarò, in testa al binario a far correre lo sguardo sulla folla. Scorrerò corpi e visi.
Ti cercherò, sei piccola nella folla, immagino il tuo passo, ti riconoscerà per prima cosa da quello, all'ultimo momento sarà meno sicuro, meno deciso, arrossirà anche il tuo camminare man mano che ti farai più vicina."
"Credo di sì. Ho il treno dentro già ora e sono ancora qui, nemmeno una valigia o una borsa pronta ma mi sento il treno nella testa nella pancia e il tremito delle rotaie nelle gambe.
Cosa farai o dirai quando mio vedi?" La domanda ha suono quasi infantile e sorride.
"Credo ti bacerò. Per prima cosa, sì, ti bacerò.
Ma lo farò dopo. Dopo averti guardata. A lungo.
Come se tu fossi sospesa lì, appesa al muro per il mio sguardo o dipinta. Non vorrei, né voglio, avere fretta."
"Arrossirò. Ne sono sicura, in fin dei conti sono solo una bambina"
"Arrossirai? Con tutto quello che ci siamo detti, senza mai un attimo di esitazione o di pudore, con la promessa del tutto e di quel che viene dopo il tutto, sarai capace di arrossire davvero?"
Passa di fianco all'uomo una ragazza con lo zaino alto sulle spalle.
Pantaloncini corti a marcarle il solco del culo su gambe lunghe. Abbronzate con la pelle appena poco irritata dei postumi di una depilazione forse troppo cruenta per la sua estate.
L'uomo segue quel culo muscoloso disegnato dal tessuto elastico con lo sguardo fino a che scompare dietro un carrello di bevande.
L'uomo spegne la sigaretta e scommette con se stesso che quella ragazza viene, sicuramente, dalla Svizzera, ma non da Lugano, no Lugano no. Viene da una città di quelle che non sai posizionare sulla cartine, di cui nemmeno sai pronunciare il nome del Cantone.
Si passa una mano tra i capelli, ravviandoli per abitudine dietro le orecchie e mette la mano dopo in tasca.
Ripercorre il marciapiede fino all'edicola più grande, col pacchetto chiuso nel sacchetto a dondolare appeso all'altra mano.
"Prenota tu l'albergo, dalla tua lista mi sono sembrati tutti uguali.
Vorrei che ti fermassi lì con me tutta la notte, almeno questa notte." La voce ha il tono di una bimba che voglia sedurre e ottenere senza fare capricci.
L'uomo a questo non risponde. Le risposte sono già tutte scritte.
"Perché lo dici? Sai che sto male a doverti dire no e che è no la risposta. Senza via di scelta."
Un nuovo annuncio, incomprensibile come il primo scuote l'afa della stazione. Taglia di suono metallico, voce di donna sintetica, l'aria ferma e stagnante.
Binario sette
...da...
La voce si perde in una lingua che non ha nazione.
"Cosa vuoi farmi quando arrivo?"
La voce della donna gli sorride, sembra golosa di una risposta e una promessa che conosce ma che vuol sentirsi ancora e ancora dire.
L'uomo non dice.
Si sono detti tutto, più di tutto. Promessi un mondo e dopo un mondo un altro.
Ancora.
Di più.
Oltre.
Tutto di tutto.
Sempre di sempre. Come un cavo in tensione, che collega testa e pube.
Si son promessi mattini di miele e baci di fiele. Carezze sciolte a sciogliere.
Hanno giocato con la voglia, con l'attesa, col piacere umido per lei del dare. E la gioia del negare.
"Non so" risponde allora, e scivola nel telefono quel non so in modo lento, strascinato.
Ride di quel non so al binario 24 adesso, schivando un carrello di bagagli lanciato sul binario in corsa verso un vagone merci, era sovrappensiero e quasi il carrello lo investiva.
"Non so, sarà capriccio di giornata. Se sarà dolcezza o meno.
E poi, quale dolcezza o quale meno.
Ci siamo promessi ogni capriccio, e da lì vorrei cominciare."
All'altro capo della linea sente la voce di un sorriso.
Lui sa benissimo che non resisterà a lungo. Senza baciare.
Che sarà dolce senza possibilità di scampo il primo tocco della bocca, e anche un po' impacciato e timoroso il primo frugare di mano, il primo prendere possesso di quel seno.
E sa che lei lo sa allo stesso modo.
Il primo scivolare sotto la gonna.
La corsa delle dita a spostare scostare cercare.
Che non smetterà poi di farlo nemmeno per strada. In auto. Sulle scale.
Davanti alla porta della stanza a cui l'appoggerà di schiena prima di spingerla e farla entrare.
La prima stanza.
Buia come solo una stanza d'albergo, se la facciata è al sole, sa essere d'estate.
Undici stanze, su due lati. Un corridoio.
Un letto duro, da liberare dal copriletto con uno strappo solo, con la spalliera come lei la vuole.
Persiane verdi di legno a far filtrare la luce quasi opalescente nel calore.
Chiuse a serbare l'ombra e la temperatura dell'amore.
"Mi porterai in albergo subito?" ride lei parlando.
Sa la risposta, non occorre risposta e allora perché si fanno le domande a volte? Perché nel suono c'è l'anticipo forse del piacere?
E ogni volta la risposta ripetuta aumenta e fa crescere la posta?
Di una risposta che si vuol già far cominciare ?
"...e in albergo che farai?"
Un uomo passa con un cane.
Cane al guinzaglio. L'uomo ha in mano una museruola che metterà all'animale solo all'ultimo minuto, prima di salire.
"Ti guarderò spogliare. Ti chiederò di farlo davanti a me seduto.
Sarò seduto su una sedia e ti guarderò spogliare.
Poi ti rivestirò del mio regalo."
Ora la donna tace.
Si sente solo il rumore della sigaretta che accende all'altro lato del telefono, l'aspirare della prima boccata e il respiro.
L'uomo cammina adesso un po' nervoso. E' già passata un'ora e il parcheggio a pagamento davanti alla stazione sta anche per scadere.
Su e giù sul marciapiedi.
Binario 26.
Binario 27. Poi fino al 31.
Il treno tarda ancora e il pannello luminoso è rotto.
Binario 25, 24... 19.
Nella giornata di festa nemmeno un ferroviere sui binari a cui chiedere le informazioni che il display rotto e la voce da automa femminile prima non sono riusciti a dare.
"Verrai con la gonna e prima di scendere andrai alla toilette del vagone. Voglio come tuo regalo lì al binario, prima di baciarti le tue mutandine."
"Potrei non metterle se vuoi. Sai che per me non è un problema non metterle e che mi piace." lei ride.
"Preferisco un regalo lì, davanti agli altri passeggeri se vuoi farmi felice. Me le darai senza nascondere il gesto che starai per fare."
Davanti all'uomo adesso due binari con treno grigi e vagoni, alcuni azzurri, fermi, a porta spalancata, vuoti. Sembrano sbadigliare per l'aria troppo calda persino all'ombra della tettoia della stazione
Più a destra un binario su cui scivola via lentamente, quasi completamente pieno di gente almeno a giudicare dai visi ai finestrini chiusi, il TGV di mezzogiorno per Parigi.
L'uomo ora fuma.
L'attesa ha tempi indecisi e incerti.
Posa il pacchetto del regalo a terra, accende la sigaretta, riprende il sacchetto e cammina nervosamente ora.
Giornate prima di preparativi, l'accordo, la ricerca di una loro stanza, l'acquisto del regalo, l'attesa dell'ultima conferma del suo arrivo.
Tempi pieni di cose da fare, pensare, dire, dirsi, eccitazione dell'attesa da scambiare, organizzare.
Eppure, pur con tutte quelle cose dentro a saturare, tempi così lunghi, morbidi, infiniti, un po' sospesi come in sogno, quasi nell'aspettare.
E i tempi brevi degli ultimi minuti.
Persino il ritardo sembra farli più stretti e duri, e il passo dell'uomo ora ha avanti e indietro questi tempi nel camminare, tempi stagliati netti, sospensione di anello di fumo di sigaretta, una vita in un istante e poi del fumo che si scioglie e allarga solo l'odore. L'odore.
Avrà odore di sesso dopo il viaggio.
Avrà odore di attesa. Umido esploso in un secondo.
Sapore tra le cosce di una voglia cullata a lungo sul sedile.
Accavallando le cosce fino a spremerle al ritmo di rotaia, scambio, traversina e pensiero.
Dondolandosi sulla sua voglia fino a scioglierla sul sedile.
"Voglio mangiare il tuo sapore."
L'uomo continua a camminare davanti ai respingenti dei binari.
Preso dai suoi pensieri guarda e riguarda l'orologio, meccanicamente senza nemmeno ricordarsi però di leggere l'ora.
Una mano sulla spalla lo scuote, quasi lo fa sussultare.
La mano è delicata nel posarsi, quasi titubante.
Si appoggia e sembra fare una domanda senza voce.
Sembra una mano che arrossisca per pudore.
L'uomo si volta e comincia a guardare.
Scivola con lo sguardo, avvolge tutta in quel modo, cinge, spoglia.
Il piccolo straccio di cotone bianco stretto nervosamente tra le dita della mano che chiusa così, intorno al tessuto candido sembra una mano di bambina.
Poi si avvicina, e prima di baciarla, le porge il suo dono.
Le catene nel sacchetto nero con la scritta rossa che ha nella mano destra ora non sembrano più nè far rumore né pesare.
(Dedicato alle attese nelle stazioni, ai treni che prima o poi arrivano, anche se non necessariamente sempre al binario a cui li si aspettava)
Faber