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Racconto n° 1522
Autore: Giulia Lenci Altri racconti di Giulia Lenci
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Crepuscolo
Non ti aspettavi di trovare la nebbia.
- Che posto del cavolo... - mugugni.
Sorseggi il vino girando gli occhi sulla campagna. E' il primo crepuscolo con quegli sbuffi argentei rasoterra che rendono il paesaggio ondulato e mobile come una distesa d'acqua.
- Sembra la bava di una lumaca. - commenti.
Poi ti volti. - Come fai a vivere qui? -
Allargo le braccia. - Ci sono nato. C'è tutto quello che mi serve. -
- E non vuoi nient'altro? -
Posi il bicchiere da qualche parte. - Nient'altro? - ripeti.
- Cosa dovrei volere? - domando.
Sospiri. - Una vita più... divertente? No? -
- Ma io mi diverto, qui. -
- Sì? -
Hai occhi grigi come la nebbia là fuori, appena screziati di pagliuzze dorate.
- Sì, aspetto te. - rispondo.
Pieghi la bocca in una smorfia. - Ma che bello... -
- Ti penso sotto il sole... - dico - ...nuda, gli altri che ti fissano... -
- Io non vado in giro nuda. -
La tua voce ha il suono metallico di una lama affilata.
- Oh, dicevo così... per dire in spiaggia... - mi scuso.
- Per dire donna di tutti. -
- No, non volevo dire quello. Pensavo al sole... -
Metti le mani sui fianchi. - Ho persino il segno del costume. -
- Sì sì, ci credo, davvero. - mi affretto a dire.
Il tuo sguardo è tagliente. - Le donne di qui ce l'hanno? -
- Cosa? -
- Il segno del costume. -
Di nuovo allargo le braccia.
- Mi vuoi far credere che non lo sai? - insisti.
- Più che altro non lo vedo. - mormoro.
Getti indietro la testa, scrutandomi tra le ciglia.
- Sempre al buio? - chiedi.
Sorrido un po'. - Sai, qui sono timide. Se non spegni la luce... -
- Porco. - m'investi - Grandissimo porco ipocrita. -
- Oh, santo cielo... Perché tu... -
- Lascia stare me. Sei tu che mi giudichi. -
- Io ti giudico? - dico stupito.
- Ipocritaccio. Tu e la tua nebbia. -
Aggrotto la fronte e passo la mano tra i capelli. Tutto in me sta dicendo: - Valle a capire, le donne. -
- Dimmi se lo vuoi vedere. - ordini.
- Cosa? - chiedo innocente.
- Il segno del costume. -
- Se dici che ce l'hai... - sussurro alzando le mani.
- Schifoso. Di' che vuoi controllare. -
Mi stringo nelle spalle. - Se proprio vuoi... -
- Sei tu che vuoi, brutto maiale. -
Allora m'immobilizzo, senza guardarti. Ostinato osservo la luce di pervinca dipingere l'aria, donando riflessi rosati nel cielo. E di scatto ti afferro le braccia spingendoti sul tavolo, rovesciandoti sulla schiena, premendo le gambe contro le tue.
- Che modi da cavernicolo... - ansimi.
Ti strappo di dosso quel velo a fiori che chiami vestito. Vola leggero leggero e lieve come una farfalla si posa a terra. Hai il segno del bikini. E nient'altro.
- Ma guarda... - bisbiglio - Ed era un costume, ‘sta serie di stringhe? -
- Troglodita... -
Hai il profumo d'acque salate e sabbie di fuoco. Tutto in te brucia, la tua pelle, le labbra, le mani che percorrono voraci la mia schiena. E quella lacrima che scende tra le ciglia chiuse. Entro in te come ti piace. Con forza, serrandoti la vita con le braccia, respirando con affanno crescente al tuo orecchio, finchè il tuo respiro si rompe nel grido rauco d'animale ferito e si spegne in un rantolo d'agonia. Aspiro goloso i tuoi capelli, allentando la presa delle braccia, sollevandomi lento. Ti rialzi adagio e ti allontani. Ascolto il cuore calmarsi sotto l'alito fresco della fine del giorno. Nella cornice della finestra, il profilo del tuo corpo è un contorno nitido che racchiude la pienezza di ombre dense e morbide. Infili le dita nella massa dei capelli, sciogliendola con un suono soffice di seta. Ti volti un po' e mi sorridi. Ti avvicini, piano piano, come una visione di sogno tra le nebbie di un paesaggio antico quanto il mondo.

Giulia Lenci

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