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Racconto n° 1545
Autore: Unuomo Altri racconti di Unuomo
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La cena dell'addio
Al solito, sei in ritardo.
Chissà quali impegni ti avranno trattenuto in ufficio.
Fa freddo qui, sai? Ho tanto freddo.
Avverto la necessità di sentire le tue mani percorrere il mio corpo, ho bisogno di sentire la tua barba farmi solletico nei capezzoli. Ho bisogno di sentire il tuo corpo su me, coperta che scalda e protegge.
Ti desidero.
Desidero sentirti dentro di me, desidero berti, desidero godere del tuo godere.
Passi.
Passi frettolosi che si avvicinano.
Sei tu? No. Il tuo andare lo riconoscerei fra mille.
Quando torni a casa, sento lo strascicare lento delle tue scarpe sollevarsi di gradino in gradino ed io, eccitata, già pregusto il momento del tuo arrivo. Quando entri ci baciamo come fosse il primo bacio: le nostre labbra si sfiorano, le nostre lingue si accarezzano e poi esplorano meandri ogni giorno sempre nuovi eppure mai così conosciuti. Ci dissetiamo con le nostre salive. Le tue abitudini mi piacciono: quel tuo spogliarti davanti a me, incurante delle finestre aperte, incurante della città che sotto di noi corre e si ama e si lascia. E poi nudo, sali al piano di sopra per toglierti di dosso la stanchezza di un altro giorno di lavoro. Sento i tuoi piedi strascicare lungo il bagno, sento il rumore dell'acqua che scroscia e della schiuma da barba con cui ti ritocchi il pizzetto. Sento quando entri in doccia e immagino le tue mani lavarti, le tue mani accarezzarti. Ti immagino mentre esci e togli un po' del vapore che si è attaccato allo specchio dove sei solito mirarti. Ho sempre riso delle tue buffe pose da body buylder, tu che una palestra non sai manco com'è.
Passi.
Sei tu? No.
Qualcuno è entrato in questa stanza, ma chi? E' buio, non ci vedo.
Oh, come vorrei averti qui. Come vorrei che asciugassi le lacrime della mia paura.
Come vorrei averti ancora una volta, l'ultima oramai.
Quando scendi, ti tieni l'accappatoio addosso: una trasandatezza che solo a casa hai.
E quando andiamo a letto mi piace guardarti. Mi piace con le unghie percorrere il tuo corpo nudo. Mi piace scompigliare i peli del tuo petto, mi piace sentire le mie unghie che ti solcano i glutei quando sei piegato verso di me.
Come mi piace quando la tua bocca cerca ancora la mia. Quando la punta della lingua percorre dolcemente il solco del mio collo, quando gioca con i lobi delle mie orecchie.
Salgo sopra di te. Inizio ad accarezzarti e poi prendo in bocca il tuo membro. Mi piace sentire che si gonfia dentro di me, mi piace avvertire le pulsazioni del glande accarezzato dolcemente dalla mia lingua.
Chi sono? Chi sono queste persone che parlano sottovoce? E cosa dicono? Non sento nulla. Non capisco.
E' come quella volta ad Istambul, quando quella ragazza in lacrime mi si era avvicinata chiedendo delle cose ed io non sapevo cosa rispondergli fino a quando sei arrivato tu e, gentile come sempre eri con una donna, le hai parlato, le hai lenito il dolore che aveva dentro.
Ora sento che sei pronto. Sento che è bello eretto, sento che è pronto per essere mio. Mi metto a cavalcioni, lo prendo in mano, lo accompagno dentro di me. Sei dentro, amore. Sei dentro. Spingi piano, delicatamente.
Strano, non ricordo questo profumo. No, non è un profumo. E' un'odore. Ma dove l'ho sentito questo odore? Non ricordo. Ma tu, certo, non sarai stupito. Mi rimproveravi sempre per la mia distrazione. Dicevi che mai avevi conosciuto una dottoressa più distratta di me.
Inizi ad andare su e giù mentre le tue mani stringono i miei capezzoli. Mi piace essere presa così, in questo modo. E' un orgasmo lento quello che ti sale dentro. E' un orgasmo che si unisce al mio; sempre attento, tu, a che il tuo piacere non venga prima del mio.
Dio, ho voglia di te. Ho voglia di te. Che ore sono? In questa stanza non c'è un orologio. Ed io non posso muovermi per guardare il mio. Anzi. Che strano. Non ho l'orologio. Ma dove l'avrò messo? O forse non saranno mica state quelle persone a togliermelo? Sì, ora ricordo. Mi hanno preso l'orologio e gli anelli, segno delle mie tante vite vissute prima di te.
Ieri sera eravamo così felici. Hai preparato la tua ricetta preferita. Quelle sarde in saor che tu, da buon veneziano, sai cucinare magnificamente. E abbiamo riso del vino che scendeva dalla tua bocca bagnandoti la barba. La città era bella ieri notte. Dal nostro terrazzo vedevamo le luci che illuminavano la basilica e sentivamo le canzoni dei gondolieri inchinati a qualche coppia di turisti in vena di romanticismo. E abbiamo ballato. Sì, abbiamo ballato. Mi sono tolta le scarpe e sono rimasta a piedi nudi. Lo so che ti piace vedere i miei piedi. Lo so che ti piace prenderli in mano, accarezzarli e, spesso, portarli alla bocca e assaporare me, i miei odori. E a me piace sentire la tua lingua che dolcemente li succhia, li lecca. Mi piace vederli sparire, inghiottiti, nella tua gola. Preambolo di nuovi rapporti, di nuovi amplessi. Inizio di uno dei tanti giochi che allietano il nostro essere coppia.
Anche ieri sera è stato così. Hai lasciato che ballassi, poi mi hai fatta sedere. Hai preso delicatamente fra le tue mani il mio piede ed hai iniziato a leccarlo. Subito, brivi caldi mi hanno percorso la schiena. La tua lingua è salita fino alle caviglie. Si è soffermata solo un momento, preludio di quel che sarebbe stato il dopo. Ecco la sento salire all'interno delle mie cosce. Decido di allargare le gambe, voglio aiutarti. Mi tolgo la gonna e ti fermo la testa. La alzo. Voglio che tu veda. Voglio che tu mi veda nuda, senza intimo. Sai che mi vergogno ma stasera ho voluto farlo per te.
Tu mi hai guardato, un lampo d'eccitazione è comparso nei tuoi occhi azzurri come l'acqua di uno dei tanti Oceani in cui ci siamo immersi. Le tue dita hanno scostato leggermente le mie labbra e la punta della lingua mi ha succhiato i primi umori. Ora con piccoli colpetti mi stimoli il clitoride mentre le dita cercano le mie natiche. Le stringi, le pizzichi. No, non mi fai male. Continui a succhiarmi. Me la stai divorando. Il piacere sale dentro di me. Decido di goderti fino allo spasmo.
Ti alzi. Inizi a spogliarti. Ti togli i boxer così che possa ammirare la tua eccitazione farsi visibile, palpabile. Inizi a masturbarti davanti a me. Anche questo, lo sai, mi piace tantissimo. Mi piace scorgere il tuo viso contratto nell'estasi di un piacere solitario. Ma oggi non sei solo, amore mio. Oggi ci sono io. Mi inginocchio. Apro la bocca e tu me lo infili dentro. Lo succhio. Voglio bagnare di me il tuo glande. Sento che fatichi a resistere. Mi siedo. Mi stravacco sulla poltrona come in quel quadro di Goya che abbiamo visto al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, lungo Santa Isabel a Madrid. Sollevo un braccio sopra la mia testa, offro i miei capezzoli alla tua bocca. Allargo ancora più le gambe. Voglio renderti facile prendermi. Voglio renderti facile scoparmi come piace a noi. Come mi prenderai stavolta? Con la rabbia della disperazione? O la tranquillità di chi ha vinto il tempo? No. No, oggi mi prendi con la dolcezza del tenero amante. Entri in me ed io saluto il tuo membro. Il mio corpo è felice. Io sono felice. Entri ed esci e le dita delle mani controllano il turgore dei miei seni. Spingi, amore mio. Spingi. Irrorami dei tuoi umori. Il mio corpo ha sete di te.
Adesso mi sposto. Anzi, no. Mi stanno spostando. Dove mi portano? E perché non mi hanno semplicemente chiesto di alzarmi ed andare via? Vorrei dire loro - guardate che so camminare - ma non sento voce che esce dalla mia bocca. Perché?
Poi rimaniamo abbracciati, stretti. Il silenzio che ci avvolge è denso di parole non dette ma conosciute.
Ti alzi.
Il tuo membro rilassato si agita felice. Sembra quasi mi saluti.
Mi alzo.
Ci guardiamo.
- Hanno chiamato oggi pomeriggio - . Perché piangi? Chi ha chiamato? - Sai, sono arrivati i risultati - . Ci siamo affacciati alla città. - Ti amo da morire - mi hai detto prendendomi per mano. - Anch'io - ho risposto baciandoti.
E siamo volati via.


A CHICCA E GIAMPI, AMICI DI UNA VITA... PERCHE' MI AVETE LASCIATO SOLO?

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