Dicono che questa fosse l'isola delle Sirene, il luogo dove, con il loro canto, ubriacavano i marinai che non avevano poi tanta voglia di tornare a casa. Si dice che, durante il mese di agosto, qualcuna ritorni qui e faccia sentire ancora il suo canto.
La videro il giorno stesso del loro arrivo. Quando erano scesi alla spiaggia di sabbia nera, bollente, che costringeva a camminare veloci.
Luca la notò proprio quel pomeriggio, mentre usciva dall'acqua. Era immersa a metà e si schermava gli occhi dal sole. Il seno nudo era teso e lui si sorprese, vergognandosi, a guardare le piccole tettine su quel corpo nervoso, pronto a scattare.
Capì subito che non si trattava di una turista. Il colore della sua pelle, impastato di terra scura, denotava una consuetudine col sole che hanno le donne di queste parti. E il profilo, non dolce, dal naso importante la faceva una discendente delle korai greche.
Era diversa la sua pelle da quella di Giulia, troppo bianca, delicata, da sembrare senza sangue.
La moglie, seduta al suo fianco, protetta dall'ombrellone, ogni tanto alzava il viso dal libro e si faceva stordire dalla bellezza del paesaggio. Il mare, il cielo, della stessa tonalità, erano divisi dalla linea dell'orizzonte che pareva tracciata con pastello e righello. Si lasciava cullare dal silenzio del luogo, che stordiva come una ninna nanna cantilenante.
Anche a lei corse lo sguardo alla ragazza stesa su una stuoia che si lasciava asciugare dal sole. Pareva scolpita nelle pietre nere del luogo, il suo seno piccolo e duro pareva fatto apposta per essere stretto nel palmo di una mano.
Chissà dove stava guardando. Perché, lo sentiva, dietro gli occhiali quadrati anni 70 non stava dormendo o scrutando il vuoto.
Verso sera, salirono lentamente, lungo la scala incisa nella pietra che portava alla strada, a monte. Lasciarono andare avanti una coppia di turisti tedeschi e si voltarono verso il mare dal quale arrivava odore di salsedine. Alla fine della salita, videro di nuovo la ragazza. Stava in piedi, sull'altro ciglio della strada con indosso un pareo verde a fantasia indiana e un reggiseno dello stesso colore. Indossava sempre gli occhialoni scuri anni 70.
Si fermò un ragazzo in motorino, - Hey Rosita! - gridò per coprire il rumore forte che mandava la marmitta scassata. Gli si avvicinò e lo baciò sulla bocca, a lungo, quasi con ostentazione, poi si accomodò dietro e partirono, inerpicandosi per la strada serpentina. Anche la coppia si mise dietro loro a piedi, con le borse di paglia e l'ombrellone sotto il braccio.
I giorni di Luca e Giulia trascorrevano lenti sull'isola. Avevano dimenticato, ancora non sapevano come, gli orologi sul traghetto e assieme ad essi le agende e le foto dei due figli adolescenti. Avevano affittato una casa bianca di calce vicino al paese, anche se era difficile chiamare così quel grumo di case che bolliva nell'odore delle ginestre. Ogni mattina scendevano alla spiaggia, a piedi, lungo il sentiero sterrato, fermandosi di tanto in tanto a guardare il mare, dove la costa del continente era inghiottita da un caleidoscopio di azzurro. L'odore del mare dava all testa uno stordimento leggero. Ed era un odore forte, di vita che batteva sulle tempie.
Ed era Rosita, che ogni giorno si faceva trovare in spiaggia.
E anche lei, lo sentiva Luca, con una punta di disagio, era lì ad aspettare loro. Solo una volta si sentì in imbarazzo: Rosita era uscita dall'acqua, e, avvolto il pareo attorno ai fianchi si sfilò gli slip del costume e li fece cadere fradici a terra, come fosse un polpo appena pescato. Poi, in men che non si dica, da sotto se ne infilò un paio di asciutti. E intanto pareva ammiccare a lui sotto gli occhialoni scuri. Si scoperse eccitato tanto che si stese a pancia in giù sulla stuoia calda per nascondersi dallo sguardo della moglie.
Rosita.
Era a lei che pensava Giulia quando, ritardando la discesa in spiaggia si perdeva, seguendo qualche lucertola che aveva abbandonato la sua pelle, lungo le strade non asfaltate che si moltiplicavano in un labirinto. Dove le ginestre si agganciavano alle caviglie, come piccoli serpenti e dove le cicale martellavano il loro ritmo sempre uguale, sempre più forte.
Erano gli orologi che avevano dimenticato.
Era Rosita che compariva quando meno se lo aspettava.
Rosita che con la sua parlata gutturale, incomprensibile, come quella della gente di lì, pareva mormorare chissà quali formule magiche.
Era lei che aveva stregato, ora che poteva soffermarsi a guardare due cani che fottevano e si fermava a spiare il loro movimento ritmico senza imbarazzo.
E che tornava nei suoi sogni, tanto che al risveglio si trovava tra le mani un misto di voglia di toccare quei seni sodi e l'illusione di avere stretto la mano a coppa, e passato il pollice sui capezzoli scuri, di bronzo.
I giorni scanditi da albe e tramonti erano tutti uguali, tanto che non capirono come mai fossero apparsi all'improvviso, sui muri della piazza i manifesti che annunciavano la festa del paese. Da qualche giorno tutto il borgo pareva essersi animato, sembrava diventato un piccolo formicaio attivo, con operai che correvano su e giù per le strade e qualche testa, velata di nero, si affacciava dietro gli scuri bruciati delle case.
Quella sera sarebbe stata festa.
Salirono le scalette lentamente, prima del solito. Erano stati soli in spiaggia nel pomeriggio e si erano assopiti nel sole tanto che adesso erano ancora un po' storditi. Luca si avvicinò alla moglie e le cinse la vita, era la prima volta, dall'inizio della vacanza che lo faceva e lei appoggiava i fianchi al suo braccio. Lungo la strada, che si inerpicava su per la collina come un piccolo serpente, un furgoncino gli offrì un passaggio sul cassone scoperto e Giulia, appoggiata alla spalla del marito, si lasciò cullare dal movimento che le dava quasi un senso di nausea. La mano di Luca, infilata nel reggiseno si muoveva ritmicamente, con le dita che stuzzicavano il capezzolo eretto.
Era la festa dell'estate. Quando, sulla piazza della chiesa, comparivano le bancarelle di pesce e dolcetti fritti, con le piccole girandole illuminate e i fuochi d'artificio a mezzanotte. Sul palco, un'orchestra, venuta dal continente, suonava gli ultimi successi. Non capivano da dove era uscita tutta quella gente, dal momento che, fino ad ora avevano avuto la sensazione di essere soli sull'isola.
E c'era anche Rosita, vestita con una gonnellina e un top bianco, che facevano risaltare la sua pelle ambrata. Era assieme a due ragazzi, non c'era quello del motorino. E ballava, muovendosi sui sandali con le zeppe, strusciando il bacino ora contro l'uno ora contro l'altro. Luca non riusciva a staccare gli occhi dalla sua gonna, che ondeggiava lasciando scoperte le cosce. Si inserì anch'egli nella calca, da solo, muovendosi in modo scomposto, cercando un modo per sfiorare Rosita.
Anche la moglie fece lo stesso.
E ballavano sulla musica, della quale udivano non più la melodia, ma solo il ritmo martellante, con movimenti sincopati, sempre più veloce, più in fretta.
Si sedettero esausti. Avevano perso Rosita di vista. Luca la aveva scorta al bordo della pista da ballo, mentre rideva con i due ragazzi, uno dei quali le teneva la mano sulla spalla. Dopo poco era sparita.
Preso dal panico, Luca si allontanò, e si ritrovò nella campagna illuminata dalla luce della luna piena. Guidato da gemiti leggeri lasciò il sentiero e, mentre camminava tra gli arbusti, gli pareva di avere tentacoli attorcigliati attorno alle caviglie.
Restò in ombra, dietro un cespuglio a spiare la scena.
Rosita stava seduta su un muretto, con la gonna alzata e le gambe aperte, mentre il ragazzo robusto la stava fottendo muovendo il bacino con scatti veloci. L'altro dietro, in piedi, la baciava sul collo, mentre con le mani stringeva i piccoli seni che sporgevano dalla maglia alzata. Si sentivano i gemiti di piacere della ragazza, acuti, sempre più ravvicinati. Voleva andarsene, l'impulso era di fuggire di corsa. Ma continuava a fissare le mutandine di Rosita bianche, buttate a terra, e poi passò di nuovo ai tre. Alla ragazza che adesso, appoggiata al muretto, gli dava le spalle e al ragazzo biondo che la prendeva da dietro. E i loro gemiti avevano un effetto martellante, come la musica che ora arrivava soffusa. Tornò piano, seguendo le lucciole impazzite, verso la festa alla ricerca di sua moglie che lo stava aspettando con le guance arrossate.
-Andiamo a casa- le disse, prendendola per mano.
-Andiamo via-
Corsero verso casa. Anche lei pareva aver intuito qualcosa eppure, si sorprese a pensarlo in un attimo, tra loro, mai una volta avevano fatto una parola su Rosita. Fu quella sera che fecero l'amore, come non succedeva da tempo.
La mattina dopo scesero di nuovo alla spiaggia. E i giorni passavano lenti. E il sole continuava a scottare e i cani a fottere, e gli abitanti dell'isola a mormorare le formule magiche nella loro lingua oscura. E loro a fare l'amore durante la notte.
Si accorsero un pomeriggio, all'improvviso, che Rosita non si faceva vedere da qualche tempo.
Luca sapeva dove abitava, perché una volta l'aveva seguita e, la mattina prima della partenza, andò verso la sua casa. Le persiane, scardinate non facevano più ombra alle finestre senza vetri, faticò a trovare l'entrata, nascosta dalle ginestre, dove ronzavano mosconi scuri. Passava di lì una vecchia vestita di nero, dalla pelle cotta dal sole. Le chiese, prendendola per le spalle, se conoscesse un ragazza che si chiamava Rosita e che fine avessero fatto gli abitanti di quella casa.
La vecchia scuoteva la testa, e, con la bocca senza denti aperta, agitava la mano nodosa davanti alla fronte, come a dargli del matto. Non riusciva a capire cosa cercasse un forestiero in quella casa disabitata da anni.
Alisa Mittler