Mi ero persa tra le mie colline e non sarebbe valso l'alibi della nebbia fitta e nemmeno quello del buio pesto. Vagavo senza vedere a un palmo, il finestrino abbassato nella speranza di scorgere o sentire qualcosa che mi aiutasse a capire dov'ero, mentre la luce dei fari rimbalzava sul sipario soffice che m'inghiottiva. Procedevo pianissimo e in me cresceva il panico d'incontrare un'altra automobile magari muso a muso prima di poter frenare. O di non incontrare nessuno e chissà dove andare a finire. O di non accorgermi di un fosso e caderci dentro. O... Un po' più avanti apparve l'immagine soffusa di una finestra illuminata. Sospirando accostai. Era una porta a vetri schermata da una tenda – un bar?
In alto, sul muro, era dipinto un cartiglio: Taverna del Lupo. Spingendo la porta, m'investì il profumo della legna che crepitava nel camino – aghi di pino, resina, foglie... e quel tepore di tana in cui entrare e accoccolarsi a lungo -.
Chissà perché non ho parlato, non ho chiamato, e invece sono andata davanti al fuoco, volgendo la schiena alla sala rischiarata soltanto dalle candele sulle mensole di legno, da cui pendevano trecce d'aglio, di cipolle ed erbe varie. Chissà perché tendevo le mani alle fiamme come avessi freddo e fissavo il quadro sul camino – un uomo appoggiato al muro con aria indolente –.
- Scommetto che ti sei persa. -
Lo sapevo che eri alle mie spalle, che quel quadro era uno specchio e quegli occhi scuri erano dietro di me. Ho sentito il tuo sguardo caldo, avvolgente, invitante. Chissà perché ti ho sorriso...
- Greta arriva subito. - hai detto girando la chiave nella toppa.
Ho controllato l'orologio al polso. Oltre la mezzanotte.
- Forse è tardi... - ho detto.
- Adesso è chiuso. - hai risposto.
Ho avuto un attimo di disagio e tu l'hai capito.
- Frittata e caffè? -
- Oh, no... io... - ho cominciato.
- Non credere che ti serva... - hai detto strizzando l'occhio - Mi aiuti a preparare, sai? Non per niente è una taverna da lupi... -
Mi ha sommerso l'ondata di simpatia dei tuoi occhi, neri come la notte.
- Greta! - hai gridato alla scala di legno che saliva su su nell'oscurità.
Sei sparito oltre una porta e sei riapparso, - rompile... - , sei di nuovo andato di là, ho rotto le uova nella terrina gettando occhiate alla scala, sei tornato con un piatto pieno di pezzetti vari – salsiccia, formaggio, funghi...- e hai lavorato di forchetta con l'abilità di un giocoliere.
Nella ciotola la spuma aumentava, aumentava in una nuvola di bolle e - butta giù! - , ho capovolto il piatto e tu hai mescolato tutto.
- Greta! - hai gridato.
- Forse non vuole ospiti, a quest'ora... - ho detto.
- No, le piace se c'è gente... -
E poi il tegame sul fuoco del camino e quello sfrigolio che si spande in un aroma goloso, sciogliendosi in bocca nell'acquolina irresistibile.
- Accomodati. - hai detto.
Mi sono guardata intorno. Mica me n'ero accorta, che non c'erano sedie.
- Là. - hai detto alzando il mento.
Là era il vecchio divano in ferro dalle imbottiture sfondate. Mi sono seduta sul bordo – ma come si fa a mangiare in questo modo...- e già mi porgevi un piatto – l'unico in due – pieno di quella nube spessa, densa di sapori, che ancora sfrigolava.
- Greta! - hai gridato.
- Aspettiamola... - ho detto.
- No, lei mangia sempre dopo. -
I tuoi occhi ridevano e il vino scendeva in gola, il calore saliva al viso e la bocca era calda e sazia.
La tua ombra ingigantita sul muro e il maglione che vola e cade, e prima che io capisca o decida o... - ma... e Greta? - , tu gridi - Greta! - e ti sdrai su di me e tutto scricchiola nelle imbottiture – paglia, foglie secche...- e le tue dita tra i miei capelli, le tue labbra bollenti sulla gola, i brividi che guizzano nella schiena, la mia maglia che si solleva e fluttua per aria e - Greta, finalmente! - .
E Greta scese gli scalini senza rumore, sinuosa, lenta, fissandomi con il bagliore degli occhi verdi, nell'andatura priva di pause eppure sognante, e all'ultimo gradino sembrò puntare dritta verso di noi.
- Greta, il tegame... -
Il tegame, sui mattoni anneriti, ad attendere Greta che avanza adagio, gettandomi un'occhiata languida e i nostri jeans che scivolano a terra, tu che mi comprimi con il tuo corpo, la tua lingua leggera disegna strani ghirigori sulla mia pelle e tra le mie ciglia lo sguardo di Greta, che abbassa piano la testa e protende la lingua rosea dentro il tegame.
La tua bocca sorvola i miei pensieri e i desideri si fanno realtà in tocchi morbidi e penetranti, i miei muscoli alludono a fantasie nascoste con spasimi accennati, che tu interpreti e traduci in parole senza suono, puri movimenti di lingua che sale e discende e ripete e ripete senza sbagliare, fino a quando la mia approvazione finale non lascia dubbi.
Poi ti attiro a me, e in me rendi frenesia l'esaltazione arroventata, consumandola come cera sciolta, che cola calda e liquida. Il tuo respiro sa di fumo e brace spenta. Apro gli occhi accarezzandoti i capelli. Su di noi, sulla mensola dove sono in mostra corone di bacche rosse e gialle, il luccichio delle pupille strette di Greta, e le sue fusa che calano lievi, come la sua coda lunga e morbida.
Giulia Lenci
Giulia Lenci