Seguii il percorso dei miei non posso lungo la cucitura della calza, cercai d'infilare le ultime remore come un piede in un decolté foderato di tela rosa. Lo riposi delicatamente scegliendo tra le tante quelle col tacco impossibile impattando in un respiro di voglie che risaliva la corrente tiepida di un lungo torpore inviolato. Allungai con le dita della mano sinistra il contorno delle mie labbra rubandomi un sorriso. Agganciai il reggiseno. Vidi scorrere lungo l'elastico i miei dubbi appesi, si adagiarono ammonticchiati come biancheria ancora da stirare. Mi graffiai più volte con l'ultimo gancetto a disposizione, che riflettendo allo specchio abbagliò i miei scrupoli lasciandomi uno squarcio nell'occhio della ragione. Ma fu un lampo. Mille riflessi, come gocce d'acqua attraverso un finestrino, scesero a pioggia adagiandosi sul mio vestito intatto di emozione e ritrovata consapevolezza.
Attesi per qualche secondo il tuono nel mio cuore, ma niente, un cielo a sereno oltre le nuvole basse m'invitò a guardare oltre. Oltre l'ombretto grigio, rosa e oro in cima che sfumava, come barche di pescatori in mezzo all'oceano piatto, all'alba di un giorno feriale. Oltre il rimmel carico di sudore e commozione che colava bluastro lungo i solchi dell'antica malinconia. Oltre ogni dove indugiai lungo le tacche dei minuti incerta sul da farsi, feci scorta di secondi, le ore erano ormai esaurite.
Camminai ancora lungo il corridoio della mia paura, gettai in un anfratto gli ultimi residui d'incertezza, mi feci strada tra le ciglia fitte a boscaglia. Montai a fatica sul bordo dei timori, sporgendomi dal parapetto mi colse una vertigine. Caddi. Cercai d'aggrapparmi alle ultime sporgenze, guardai in basso, il nero del vuoto moltiplicò la profondità, il parapetto si sgretolò in mille pezzi di desideri. Precipitai ad alta velocità come in una tromba d'ascensore o lungo una galleria senza fondo. Scorrendo attraverso le finestre del tunnel vidi i fotogrammi della mia vita, inciampai tra desideri repressi e fedeltà come lamine d'acciaio sempre più sottili.
Sotto i colpi dell'incoscienza decisi di agire. . La casa era immersa nel silenzio. Indugiai ancora in bagno cercando nelle tinte forti della mia faccia truccata le convinzioni che annichiliscono rimpianti e pentimenti. Indosso un paio di calze nere velate che compattavano le imperfezioni delle mie gambe e che non chiedevano altro d'essere profanate, offese all'istante. Il reggicalze nero con le stringhe merlettate di avorio e di nero mi legava i fianchi segandomi in due parti il piacere e la ragione. Coprii il tutto con una pelliccia di visone lunga fino ai piedi. Nient'altro! Mi riguardai più volte allo specchio. Ero bella, bella come solo una femmina può essere. Non mancava niente.
Racimolai tutte le mie forze a disposizione ed andai incontro all'ignoto. Per fortuna non incontrai nessuno scendendo le scale dell'imprevisto. Roma era vuota e fredda. Paura. - Se buco? Se mi ferma la polizia? Non ho da giustificarmi. Puttana in questo modo, con una sola pelliccia in dosso! Se mi perquisiscono? Sotto la pelliccia niente, anzi... - Panico. Rallentai alla prima stazione di servizio per fermare i miei pensieri che veloci correvano verso il baratro. Un extra-comunitario assonnato mi chiese le chiavi del tappo. - Ah già la benzina! - Ma non si era accorto di me. Per guadagnare tempo gli chiesi il pieno. I lembi del visone stavano scivolando lungo la magia della fibra nera fino quasi a terra. Mi batteva il cuore, ma non riuscivo a desistere. Volevo semplicemente che qualcuno si accorgesse di me. Più femmina di una femmina volevo affascinare un uomo, o meglio appagarmi con tutta l'attenzione che al momento potevo sperare. Rubare uno straccio di considerazione per sentirmi ancora utile, viva. I miei pensieri caparbi lo pretendevano, le mie ansie ricorrenti lo cercavano come la medicina dentro il cassetto del comodino. Accesi la piccola luce della macchina. Scorsi tra la penombra della macchina il contrasto del rosso delle scarpe con la calza nera. La pelle bianca delle mie cosce striata da merletti solidificavano le mie convinzioni e la mia irresponsabilità. Ma il ragazzino di colore continuava a far benzina e da quella posizione non poteva certo vedermi! Tentai di scendere. Aprii lo sportello e il metallo del tacco impattò contro il selciato, il rumore scaldò il sangue che correva veloce lungo le vene fino alle parti più lontane della mia ragione. - Come reagirà? - Ma non avevo il coraggio di spalancargli la pelliccia sotto gli occhi. - Il destino ha fatto sì che tu sia la mia preda! - Pensai. Rimasi interdetta dal modo in cui mi stavo svalutando, deprezzando il mio essere. Ognuno di noi, nell'intimo, ha la consapevolezza di quanto valga, di quanto potrebbe barattare le sua immagine, il suo corpo, il suo io al mercato della vita. - Sporco, povero non posso certo ridurmi in questo modo. Cerco di meglio io! Non mi svendo al primo incontrato! - Traballante sui tacchi e sulle mie convinzioni risalii in macchina e attesi. Pensai ad un uomo ricco, a delle mani morbide che avrebbero solcato la mia pelle. A quella poesia che non avrebbe contraddetto per nulla il mio sogno ricorrente e per tanto tempo represso. Ma lo sportello era socchiuso e le stringhe nere del reggicalze merlettate di avorio arrivarono fino dentro l'iride degli occhi del ragazzino. Lo guardai meglio, poteva avere si e no 18 anni. Ma era maledettamente brutto e sporco. Un odore acido di sudore e sporcizia m'invase le narici. Chiusi automaticamente lo sportello e abbassai il finestrino. Mi porse le chiavi e sorrise quasi sorpreso. - Fa freddo questa sera - Dissi, chissà perché poi. Continuò a guardare incredulo e se ne uscì soltanto con un - arrivederci - aspettando solo che io sgombrassi il campo. A quel punto mi bloccai e rimasi in attesa guardando in modo intermittente le mie gambe e i suoi occhi. Non era possibile che quel piccolo uomo mi rifiutasse a quel modo, dandomi indifferenza e facendomi sentire solo ridicola, anticamera sicura della mia nuova depressione. Presi tutto la sfacciataggine a mia disposizione e lo invitai a salire. Mi fece cenno che non era possibile. - Devo lavorare - mi disse in un italiano inventato. - Ma solo un attimo! - Oramai ai limiti della disperazione. La mia supplica sembrò aver fatto centro. Si guardò intorno quasi spaventato e sbuffando si appoggiò al finestrino. - Il signore si è degnato! - Dissi sottovoce senza farmi capire. Seguii la sua mano insinuarsi nel buio dell'abitacolo fino ad incontrare la trama morbida e intrigante della mia calza e poi risalire lungo il reggicalze. Un piacere intenso m'invase, lo pregai di non smettere, di proseguire fino al centro della mia passione. La sua mano sporca si fece più esperta, il suo odore di grasso e benzina dilatò la mia eccitazione. Le sue dita impregnate di lavoro e clandestinità scostarono timidamente le mie mutande leggere, a fatica cercarono la mia parte più umida, rimasero comunque in periferia molto lontane dal centro del mio peccato. Gli offri spudoratamente del denaro, un ricovero, un passaporto, tentai di accompagnarlo tra le pareti ormai fibrillanti ed ansiose della mia eccitazione, ma lui abbandonò l'impresa senza rammarico, si guardò intorno e con voce da nenia replicò - Devo lavorare - . Aveva gli occhi spaesati e stava semplicemente facendomi un favore. Null'altro. Io ricca e borghese, conciata in questo modo! Feci un po' di conti, oltre due milioni in dosso, esclusa la pelliccia, e praticamente nuda! Alla mercé di questo straniero che non mi apprezzava e non mi odiava, gli destavo soltanto misera indifferenza. Ma oramai la mia testardaggine non aveva limiti. Cercai di spingerlo ancora più in basso. La sua mano continuava meccanicamente a strofinare i miei indumenti, sicuramente ad insozzarli, ma non le provocavano eccitazione, una benché minima emozione. Toccava la seta come se fosse la pistola della pompa, accarezzava il reggicalze come un qualsiasi straccio per pulire i vetri. - Ma non vedi? - Gli sussurrai quasi implorandolo. - Io non capire perché tu stai facendo questo! Io non capire tutti questi merletti, meglio senza, meglio nuda! - Sprofondai.
Sarebbe stato assurdo ordinargli di strapparmi la stoffa leggerissima e luccicante delle mie mutande. Una trasgressione di qualche centinaio di mila lire si sarebbe trasformata in un peccato senza senso. Gli afferrai l'altra mano finora inattiva e la misi sul seno. Finalmente avvertii qualche reazione, entrò come un ragno dentro la stoffa e a contatto con la mia pelle morbida strinse il mio seno. Per un attimo quella mano fredda la sentii calda che mi strofinava al punto di togliermi la pelle fino a cercarmi la punta indurita del mio piacere. Ma fu un momento, la realtà riprese piede sulla fantasia e la sentii come in effetti era, rozza, troppo forte, troppo ruvida per trasmettere piacere. - Non lo vedi in che condizioni sono? - - Dai spogliami, fammi scendere, toglimi la pelliccia, lasciami senza alcuna dignità, sbattimi in mezzo alla strada, scaraventami sull'asfalto. - A quel punto, spaventato, ritrasse tutte e due le mani. - Io non capire, perché devo fare questo. Perché tu volere questo... -
Intanto un'altra macchina si era affiancata per far benzina. Panico. Alzai immediatamente lo sportello e ripartii a razzo. Feci un giro, niente, nessun straccio d'occasione, nessuna minima possibilità per attivare la mia fantasia. Mi sentivo al limite di un baratro. Sarebbe bastato un niente, una mano timida ma nobile, uno sguardo profondo per esplodere in un mare di passione. Dopo chilometri e chilometri decisi di tornare dal mio extra-comunitario, l'unico che aveva per lo meno ammirato tutto il mio splendore. La stazione di servizio era vuota, dell'extracomunitario nessuna traccia. - Figurati se rimaneva qui al freddo ad aspettarmi! - Pensai con delusione. Si fermò qualche macchina. Timidamente aprii lo sportello per farmi ammirare, per concedere un pizzico di probabilità alla mia indomita passione, ma niente. Cominciava a fare l'alba e stava cominciando a salirmi dentro una sensazione di impotenza. Avevo passato il pomeriggio per negozi a comprare tutto questo ben di Dio che orgogliosamente avrei mostrato; avevo passato ore in bagno e a quell'ora della notte nessuno aveva avuto la fortuna di apprezzare. Nessuno si era perso tra la magia di questi merletti, nessun uomo aveva rinnegato la madre, la moglie o quant'altro per corrermi incontro. Nessuno aveva venduto la sorella ad un nano per perdere la sua mano nel mezzo di questa seta. Nessuno aveva rasentato indecenza e vergogna per il solo gusto di guardarmi oltre il lembo di questa pelliccia, tra le curve dell'avorio fino a risalire al centro della mia consapevolezza di donna. Donna fatta puttana rasentando la volgarità per chiunque avesse osato, per due occhi arditi che, ostinati, avessero ammirato il tacco di metallo lungo la riga nera fino al tesoro di questa femmina. Femmina e puttana che adesca per il solo gusto di farlo. Senza altri fini, nata per prostituirsi ed innalzarsi sopra la miseria di chi ne è sopraffatto. Uomini, amanti, fratelli, mariti nessuno di loro era riuscito quella sera ad entrare occasionalmente nel sogno seppur invitato per il ruolo di protagonista assoluto. Solo quel maledetto ragazzo! Alle cinque del mattino mi decisi. Scesi dalla macchina e giurai con determinazione che niente avrebbe obbligato la mia vergogna a rientrare. Con il fiato in gola aspettai buoni venti minuti. L'aria sempre più fredda che s'insinuava sotto la pelliccia, ma non gelava le mie ansie, la mia paura, la mia passione mista a trasgressione. Feci le prove, sbottonai la pelliccia fino al punto di rimanere in calze e reggicalze, le mutandine di seta sbattevano sul mio corpo ad ogni soffio di vento. M'appoggiai al lampione assumendo posizioni da vera battona. Mi misi seduta, poggiando il mio sedere nudo sul marciapiede freddo. Ripassai a memoria la bugia: la macchina in panne, abitavo lontano e ero alla ricerca di un passaggio. - Fila? - Ma ora non aveva più importanza. La mia anima aveva solo bisogno di gratificazione. Passarono dei pendolari a piedi, una crocerossa, un camion della nettezza urbana. Adagiavano gli occhi, ma nessuno con la curiosa intenzione di guardare. M'aggrappai al lampione e strofinai con forza ribelle il mio piacere nudo contro quel metallo freddo e inumano. Misera abbandonai ogni velleità mentre il giorno ormai stava lavando via la magia della trasgressione e l'atmosfera della passione. Tornai desolatamente in macchina e lentamente ripresi la via di casa, con il solo, stupendo ricordo di odore acro di grasso e benzina di quella mano anonima e straniera che mi cercava l'anima.
LiberaEva