La sveglia è implacabile, come ogni mattina.
Apro gli occhi a fatica, mi guardo intorno smarrita; ci vorrà qualche minuto prima di capire chi sono, che giorno è, e cosa devo fare oggi. Qualche minuto che scorrerà troppo in fretta, rannicchiata nel dolce tepore del piumone, mentre fuori nevica. Nevica? Mancano due giorni al mio compleanno, non mi è mai successo di vedere la neve alla fine di novembre. Eppure la luce che filtra dalla finestra non lascia dubbi: anche nella mia stanza i colori risultano smorzati, come se la coltre bianca caduta all'esterno avesse appiattito le sfumature del pianeta, uniformando ogni oggetto in gradazioni tenui, rarefacendo i toni, spargendo ovunque un'ovattata nebbia miracolosa.
Salto giù dal letto senza badare ai brividi che mi avvolgono e al gelo che avverto sotto i piedi nudi. Scanso la tenda dal vetro ed eccolo lì, un dolce velo candido che avvolge ogni cosa.
Mancano due giorni al mio compleanno e mi ritrovo a sorridere infreddolita, mentre il mio respiro si condensa a mezz'aria. Ventisette-undici-settantasette: sembra una filastrocca, invece è la mia data di nascita. E nell'ultimo anno è successo di tutto. Ho recuperato il senso del magico e della speranza. Ho ricominciato a sentire il respiro del mondo. Ho ripreso a commuovermi. Per questo non mi stupisco di sentir crescere un nodo in gola ed aprirsi una voragine in mezzo al petto: la lascio scendere indisturbata questa lacrima che inumidisce lo sguardo e solca la guancia. Mancano due giorni al mio compleanno e fuori c'è la neve.
Caffè, sigaretta, ed un freddo boia che punge il viso. Continuo a sorridere come inebetita, e a ripetere in un angolo del cervello che il mondo è davvero splendido. Faccio la funambola, evitando lastre di ghiaccio e passi azzardati. Ho sbrigato tutte le commissioni e adesso mi concedo una passeggiata in quest'atmosfera surreale. Saluto allegra cani col cappotto e signore in pelliccia, e poi mi perdo nei miei pensieri. Questo appena passato è stato l'anno delle prime volte.
La mia prima volta a duecento all'ora su una moto da corsa. La prima volta che sono stata a Venezia. La prima volta che ho preso l'aereo. La prima volta che ho fatto sesso con due uomini contemporaneamente. La prima volta che ho fatto davvero l'amore. La prima volta che ho visto l'Inghilterra e la Scozia. La prima volta che mi hanno spezzato il cuore sul serio... Non posso fare a meno di rabbuiarmi un poco. L'Omino di Cartapesta sa farmi ancora male, anche a sei mesi di distanza. Lo chiamo così da quando ho capito di non trovarmi davanti al Grand Uomo che immaginavo, e da quando pronunciare il suo nome è diventato troppo faticoso.
Ho ancora addosso i segni della sua presenza, sette piccole macchie scure, ricordo di quando mi rendeva una donna leopardo: gocce di cera incandescente che decoravano il mio corpo, nate dalla sua mano abile, che disegnava un percorso visibile solo nella sua mente eccitata. Sento ancora il dolore acuto della frusta. Lo dosava bene, è vero. Mai troppo forte da farmi urlare, mai tanto lieve da farmi rilassare. Mi voleva così, arresa alla sua volontà, bendata, offesa, morsa da mille pinze che laceravano la pelle tenera. Mi voleva per disprezzarmi, per insultarmi, per essere il suo oggetto. Ho accettato di esserlo perché lo amavo, lo amavo in un modo che (solo ora riesco a capire) non è stato meno perverso del suo. L'ho fatto godere centinaia di volte, e centinaia di volte sono tornata a casa insoddisfatta, col suo piacere ancora sul palato e col mio frustrato nel ventre. Gli ho disposto su di un piatto d'argento la mia parte migliore, giusto per vedergli scegliere, ogni volta inesorabile, solo il peggio di me.
Difficile spiegare il come ed il perché a chi non mi ha vissuto almeno cinque minuti, a chi non mi ha mai incontrata. Complicato capire che non sono né un lupo né un agnello, né vittima né carnefice. Ho scelto da me le mie gioie ed i miei dolori, l'ho tracciato io il mio sentiero a zigzag. Non ho rimpianti e non ho rimorsi, i miei errori li ho pagati tutti, e così ho riscosso tutti i crediti aperti.
E sarà per questo che poi è arrivato Massimo, col suo carico d'amore gratis. Non mi ha chiesto niente in cambio, mi ha solo avvolta di calore, di allegria, di protezione. Lui non è quello con cui esco, non è quello con cui scopo, non è uno di quegli uomini satellite che mi ruotavano attorno senza mai entrare in contatto col mio vero essere. E' il mio compagno, l'altra parte di me. E' quello con cui faccio l'amore, quello con cui rido e piango senza vergogna. E' quello a cui mi appoggio quando giochiamo a fare - Titanic - sul traghetto di una gita al lago. E' quello che mi sostiene quando il letto sotto di noi non regge al peso della nostra passione (e poi ci tocca rimontarlo, pezzo dopo pezzo, tra risatine isteriche di frustrazione).
E' il primo, e l'unico, che sia riuscito a trovare la mia parte più sensibile, quella che mi ero rassegnata a non avere. Il punto M, l'abbiamo chiamato, dall'iniziale del suo nome.
E' quello che mi rende forte davanti alle debolezze, quello che si abbandona tra le mie braccia nei momenti di sconforto. E' quello che mi parla, che si racconta, che si lascia andare e non si nasconde. E' quello che affronta la paura di soffrire, perché vale la pena di farlo per me. E' quello a cui ho detto per la prima volta - TI AMO - . La prima volta più importante di tutte, quest'anno.
Continuo a camminare, mentre la mattina se n'è andata, scansando le pozzanghere di una neve che sta per sciogliersi. Riprendo a sorridere senza motivo e mi dirigo verso casa. Mancano due giorni al mio compleanno, ed io sono felice.
GiuliaSays