Non sei il peggio che mi sia mai capitato. Hai anche un certo fascino. Te lo leggo negli occhi, tesi ad agganciare il mio sguardo, mentre appoggi la bocca tra le mie cosce spalancate. Ti sorrido con lo stesso sorriso ebete e comprensivo che uso al supermercato, davanti ad una cassiera inacidita da un mestiere sempre uguale a se stesso. Inasprita dalla routine di un lavoro inappagante lo sono anch'io, ma non è questo il momento di darlo a vedere. Così provo a concentrarmi sui tocchi frenetici della tua lingua che crede di essere esperta di donne. Non lo è, ma non sarò certo io a distruggere questa commuovente convinzione. Mi lascio sfuggire il primo gemito da copione, e la tua smania aumenta. Giochi con le labbra (le mie e le tue), provando a cambiare ritmo. Più veloce, quasi furioso, nel tentativo di non perdere l'attimo. Raccolgo le mie forze, contraendo il ventre, faticando a trovare la giusta intensità per modulare i suoni del mio finto orgasmo. Ormai riesco a simulare con perfezione da Meg Ryan: prima con vivacità, poi con vero e proprio impeto. Finalmente mi rilasso, calmando i muscoli e cedendo calore all'aria pesante di questa stanza. Ti sollevi dal mio grembo compiaciuto, sicuro di te. Ti senti uomo, forte, unico. E il mio sorriso è sempre lì, a sottolineare che hai ragione, è proprio così. Non importa cosa penso davvero, conta solo ciò che ti lascio credere. Riprendo a recitare la mia parte; ti stendi sulla schiena ed io ti cavalco da brava amazzone quale sono. Mi entri dentro facilmente, e scambi la mia smorfia di dolore per intenso desiderio. Mi muovo come so, mentre tu chiudi gli occhi e spalanchi la bocca, preda di chissà quale estasi. Ti osservo senza nascondermi, ora. Non sei il peggio che mi sia mai capitato, hai anche un certo fascino. Lo capisco dalla stretta delle tue mani sui miei fianchi. Lo capisco dallo sforzo che fai che per non venire subito, per rimandare il più possibile l'inesorabilità del piacere. Per un breve istante penso a quello che mi sto perdendo. Penso che forse, se il sesso non fosse diventato un' insipida abitudine per me, potrei anche volerti bene, lasciarmi andare sul tuo petto e sfiorarti con un bacio. Ma è un' idea che dura il tempo di un sospiro, e poi abbandona la mia mente, mentre tu finalmente muori e poi risorgi tra le mie gambe. Solo un momento per ritrovare il fiato perduto, poi ti alzi e ti rivesti in fretta. Ti seguo, avvolta nella mia vestaglia di seta rossa. Sulla porta mi guardi, distratto e ormai distante, allungando nella mia mano i soldi della tariffa prestabilita. Li conto svelta; ci sono tutti, ed hai aggiunto anche una lauta mancia. Non avevo dubbi.
Quando apri la porta ed esci a passi ampi, scorgo nel corridoio una fila di uomini in attesa. Mi prendo cinque minuti per una sigaretta, il tempo necessario per fare tabula rasa e ricominciare daccapo. Mentre entra il cliente successivo ed io sfodero il mio solito sorriso ebete e comprensivo, afferro per la prima volta l'ironia della lingua italiana: non deve essere un caso che TROIA e NOIA facciano rima...
GiuliaSays