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Racconto n° 194
Autore: Cesare Paoletti Altri racconti di Cesare Paoletti
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Lussuria
Elisabetta viveva in una splendida villa sulle colline, e non le mancava davvero nulla: danaro, camerieri che la servivano e pensavano a tutto, serate con gli amici, divertimenti, tempo libero quanto ne voleva. Era sposata ad un facoltoso uomo d'affari che però era fuori gran parte del tempo per lavoro, e la lasciava spesso sola. Sola con i suoi desideri repressi, con la voglia di un uomo addosso, la voglia di sentire le mani di un uomo frugare il suo corpo per trarne fuori tutto il piacere possibile...Corpo di donna quarantenne ancora bella e piacente, alta, bionda, fisico slanciato e sportivo, asciutto. Viso bello, allungato, dai lineamenti dolci e quasi infantili, occhi grandi e azzurri, che emanavano una luce triste, labbra rosse e carnose, che suscitavano nei maschi pensieri maliziosi, naso affilato che le conferiva un profilo greco. Viveva come una regina circondata dalla sua corte, ma senza il suo re. L'ultima volta lui le aveva telefonato da San Francisco. Tutto bene, tempo bello, cara come stai, com'è il tempo lì, sai ho tanto da fare, scusa ho fretta, ti richiamo presto...Al diavolo lui e i suoi affari. Al diavolo tutto. Ma in fondo che importava. Lei era libera di avere tutti gli uomini che voleva. Era bella, desiderabile, sola, bastava un cenno e poteva avere chiunque. Le piaceva girare nuda per casa e farsi vedere dai camerieri o dal giardiniere. Le piaceva fare il bagno completamente nuda in piscina, e poi stendersi sul bordo della vasca a prendere il sole, mettere in mostra il suo corpo, suscitare il desiderio. Le piaceva. Ma ora non le bastava più solo farsi guardare, farsi spiare nuda, ora voleva sentire il corpo di un uomo dentro di lei, voleva godere delle carezze delle mani di un uomo, voleva sentire il brivido caldo del piacere attraversarle il corpo sotto i baci appassionati di un uomo.
La prima preda fu un cameriere giovane, piuttosto carino, il viso da bambino, i capelli neri tagliati molto corti, gli occhi scuri e penetranti, i lineamenti netti e mediterranei. Una mattina lo chiamò con una scusa nella sua camera. Lui entrò, dopo aver bussato, e la vide completamente nuda che si truccava davanti allo specchio. Fece per andarsene balbettando qualche parola di scusa, ma lei lo chiamò indietro con l'autorità della padrona. Un lampo di languida malinconia le attraversò lo sguardo, mentre fissava il camerierino spaurito e impacciatissimo che se ne stava lì in piedi, con gli occhi bassi, senza parlare. Languida perché ormai aveva deciso di lasciarsi trascinare dal fiume della sensualità, senza ritegno e senza inibizioni. Aveva deciso di lasciarsi prendere dal vortice della carnalità, della lussuria, e di trarre dal suo corpo di donna tutto il piacere che un uomo può dare. Ma al tempo stesso avvertiva una sottile malinconia sgorgarle dal profondo, un'inquietudine appena sussurrata, come se qualcuno o qualcosa dentro la sua mente, un grillo parlante sepolto nel fondo della sua coscienza, cercasse di farle sentire il baratro morale verso cui la sua lussuria incontrollata la stava portando. Ma aveva deciso di soffocare quella voce sottile, i sensi gridavano più forte, ed allora si diresse con passo rapido, nuda, verso l'oggetto della sua brama. Lo prese per mano, gli mise una mano sul sesso, e lo sentì crescere sotto i pantaloni. Si sedette sul bordo del letto, gli sbottonò i pantaloni e glielo tirò fuori, carezzandolo come si carezza un oggetto prezioso, lungamente desiderato, guardandolo con una luce avida e cupa, animalesca, negli occhi. Poi si distese sul letto, aprì le gambe e si fece scopare emettendo gemiti soffocati come un'animale ferito, godendo nel sentire quel grosso palo di carne che le massaggiava le viscere e la faceva sentire totalmente posseduta.
Poi fu la volta del postino, un tipo bruttino, grassottello, di media statura, pelato, con un viso rotondo da gatto, naso piccolo e schiacciato, che assomigliava ad una castagna, occhi nascosti fra le pieghe del viso, freddi e insignificanti. Quel giorno gli aprì la porta presentandosi con una vestaglia scollata, che lasciava poco spazio all'immaginazione. Lei si accorse subito del suo sguardo acceso e pieno di cupidigia diretto sull'ampia scollatura, nel solco fra i seni, e lo sentì correre sulla sua pelle e sul suo corpo come un brivido, e subito i suoi sensi si accesero, e una languida vertigine le prese lo stomaco e salì fino alla testa. Senza pensarci due volte aprì la vestaglia e se la fece scivolare ai piedi. Gli si mostrò nuda, bella, invitante e vogliosa, e lui la prese sul tavolo del salotto, senza parlare e senza domandare, rispondendo semplicemente a quella silenziosa e disperata richiesta di piacere che proveniva da quel corpo. Lei sentiva il sesso dell'uomo che la frugava fin nell'anima, aveva la sensazione di essere penetrata fino nei recessi più profondi della sua persona, e questo le dava un'ebbrezza straordinaria, ed era come se non appartenesse più a se stessa, e quell'annullarsi nel concedersi le procurava un piacere intenso, caldo, dolce e violento. Il postino se ne andò lasciandola nuda sul tavolo, stordita dalla forza delle sensazioni che avevano scosso il suo corpo e la sua mente.
Con il giardiniere fu diverso. Lei, come faceva spesso, stava prendendo il sole nuda dopo aver fatto il bagno in piscina. L'uomo, un giovanottone alto e magro, dal viso lungo e sottile, scuro per l'abbronzatura e per una barba appena accennata, le guance un po' scavate, il naso vagamente aquilino, due occhi neri e tranquilli, quella mattina stava radendo il grande prato attorno alla piscina. La vide nuda, distesa su un asciugamano bianco sul bordo della vasca. Per un po' fece finta di nulla, continuando il suo lavoro con il tagliaerba elettrico. Ogni tanto però la sbirciava, ne scrutava le mosse per cercare di capirne le intenzioni. Il gioco andò avanti per diversi minuti, finché la donna si mise a sedere e cominciò a fissarlo con insistenza mentre lui camminava sul prato spingendo la macchina che sbuffava e rumoreggiava fastidiosa rompendo il caldo silenzio di quell'azzurra mattina estiva. D'improvviso lei lo chiamò, e il giovane giardiniere spense il motore e camminò rapido verso di lei, nella quiete ritrovata. Lui sapeva quel che stava per accadere, e arrivò di fronte a lei con un sorriso malizioso, carico di complicità. Senza dire nulla lei gli si mise in ginocchio davanti, gli sbottonò i pantaloni e gli tirò fuori il sesso, grosso, duro, caldo, sudato. Per un po' rimase a guardarlo con curiosità mescolata a stupore e desiderio, come fosse la prima volta che vedeva il sesso di un uomo, poi lo prese tutto nella sua bocca e cominciò a succhiarlo avida, appassionata. Quel sapore aspro e indefinibile che avvertiva risvegliava in lei istinti animali primitivi facendole vivere sensazioni fisiche antiche che uscivano dalla parte più remota e primordiale del suo cervello. Lo fece venire nella sua bocca bevendo tutto il suo seme caldo e denso, e in quel momento si sentì come se avesse toccato le profondità ultime del piacere carnale.
E le sue giornate proseguirono così, fra solitudine e sesso, sesso e solitudine. Ebbe rapporti con molti altri uomini, nelle circostanze più diverse. Ormai le voci correvano incontrollate e si raccontavano in giro storie piccanti, storie vere o ingigantite, avventure vissute o immaginate. Tutti parlavano di quel che accadeva nella grande villa sulla collina, della bella signora sola che si consolava per le lunghe assenze del marito con qualunque maschio le capitasse a tiro. E l'estate volgeva al termine e le giornate andavano accorciandosi, e il giorno cedeva pian piano sempre più spazio alla notte. Una sera se ne stava da sola a contemplare il tramonto, dalla terrazza della villa, i sensi finalmente acquietati nella pace della sera, carezzati dal canto dolce dei grilli, il desiderio per una volta assopito nell'oscurità che veniva silenziosa. Guardò il cielo che andava incupendosi, attraversato da qualche nuvola scura, carica di tristezza, ne ammirò le delicate sfumature rosa e grigio scure, e rimase incantata a fissare il grande sole rosso che a poco a poco spariva dietro le colline, portandosi via quel che restava della sua dignità.

Cesare Paoletti

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