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Racconto n° 2018
Autore: Giulia Lenci Altri racconti di Giulia Lenci
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Mani
Il ronzio monotono riempie l'aria tiepida del bosco. I rami del ciliegio dondolano nel lavorio delle api. Al calore del sole, i fiori aprono petali carnosi, le gemme si gonfiano succose. Due gazze, nella magnifica livrea bianca e nera, guardano verso di me, incuriosite o divertite dal mio abbigliamento. Certo loro sono più eleganti. Tiro su la cerniera, controllo gli elastici ai polsi e alle caviglie e, nello specchio, dò un'occhiata al cappuccio di rete fine, che mi coprirà la testa. Intorno al bungalow si addensano i profumi della primavera, risuonano i richiami e i rumori furtivi degli animali.
Passi veloci sulla stuoia di paglia. Lui appare alle mie spalle, riflesso nel riflesso dei miei occhi.
- Ready...? -
Annuisco, osservandolo aprire la sua tuta con un colpo deciso e intanto controllare con lo sguardo tutto quello che ho già preparato : affumicatori, leve, guanti, melari...
- Good... -
Ancora adesso, dopo tanto tempo, continua a parlare la sua lingua, se siamo soltanto noi due. Se ci sono gli altri, parla italiano. E' il suo modo di tenere le distanze. Non mi voleva nel gruppo, ma ha dovuto accettarmi. I tecnici e, soprattutto, il presidente, mi hanno imposta, dicendogli chiaro e tondo che, se non gli garbavo, poteva andarsene. Ha inghiottito amaro. So che si allena di nascosto, per riuscire a fare quel che faccio io, ed estromettermi, ma le sue mani sono troppo grosse. Io ho dita fini e delicate, e sono l'unica in zona a marcare le regine a mani nude, senza l'uso del retino. Questo consente un lavoro più snello ed azzera il rischio di schiacciare le api intorno. Ma è anche questione di sensibilità. Io sento se posso stringere le ali poco o un po' di più, e quando è ora di lasciare andare la regina col suo testolino colorato di lacca. La prima volta che mi ha vista lavorare, si è innervosito. Non gli sembrava vero, che gli insetti non pungessero le mie dita che serravano Sua Maestà. E' stato costretto ad ammirare la velocità con cui le ho posato sul capino una goccia colorata e la delicatezza con cui ho soffiato, perché asciugasse subito. Gli altri tecnici trattenevano il respiro e, quando ho deposto la regina di nuovo nell'alveare, hanno applaudito. Lui ha tenuto le mani ben in vista, fingendo di aggiustarsi i guanti.
- Ignoralo... - mi hanno detto - Non tollera le donne. -
- E' una forma di esibizionismo... - so che ha commentato lui del mio lavoro - Siamo sempre andati avanti col retino. Che bisogno c'è di assumere...una donna...apposta per... -
- Ci serve un tecnico nuovo. E lei è un buon tecnico. - ha tagliato corto il presidente.
Non basterà tutto il miele del mondo ad addolcirgli la bocca, perciò mugugna nella sua lingua.
Mentre scorrono le ultime cerniere, m'incappuccio, rendendomi simile ad un'astronauta, e lui borbotta qualcosa che non capisco. Sta affogando la rabbia in una voce gutturale, dando strattoni alla sua tuta ed evitando di guardarmi. Armeggia con la cerniera e d'improvviso intuisco il problema : l'ha sganciata malamente ed ora scorre inutile solo da un lato e sembra rotta. Gli faccio segno di riagganciarla partendo dal basso e quindi tirarla su adagio. Ci prova, ma è troppo nervoso e addirittura impallidisce. Scocciato, emette un sospiro rauco scuotendo la testa, lanciando i guanti a terra. Resta così, cupo, il mento sul petto, a fissare la cerniera balorda che non gli obbedisce. Senza più guardare quel viso teso e distante, mi avvicino e con i polpastrelli accosto i due lembi della tuta aperta, giù, sotto la vita. Lo sento irrigidirsi e le sue mani hanno il principio di un gesto allarmato, tenuto a freno, eppure ancora presente e percepibile nel respiro che accelera. Sono le mie dita, a cambiare rotta. Invece di obbedire alla mia volontà, si ribellano in quel movimento lieve di tendini e ossa e fibre allacciate a nervi esili. Con la punta dell'indice percorro il suo torace, dal basso verso l'alto. L'unghia disegna la pelle di vibrazioni impercettibili e, giunta alla gola, ridiscende leggera, permettendosi fantasie impreviste che gli strappano tremiti. Chiudo gli occhi appoggiando le labbra. La pelle calda, in un vago profumo di tabacco,trattiene i battiti del cuore. Un tamburo violento. Mi scosta. Nei suoi occhi è la luce di sorpresa del ritrovarsi nel desiderio sognato pensato insperato. Piano piano apre le cerniere della mia tuta. Prima mi libera la testa, alzando la rete, rovesciandola indietro sulla schiena, infilando le dita tra i miei capelli, afferrandoli, stringendoli, prolungando la presa in carezza lunga sulla nuca, sul collo, avvolgendomi con le braccia, mentre la tuta scende. Mi allaccia stretta, premendosi contro, cercando la mia bocca, il pulsare del sangue sulla gola e l'ansimare del mio respiro, spingendo la fronte sul seno, assaggiando il mio sapore con lingua golosa. E d'improvviso sembra accantonare ogni incertezza, sfilando da noi quel poco che ci è rimasto addosso. Mi attira a sé, trascinandomi a terra, su di sé, sul suo corpo forte, ancora appigliandosi ai miei capelli, scorrendo la mia schiena con mano sicura e tranquilla, proseguendo sui fianchi, soffermandosi in carezze lunghe, senza premura. Sono io a farlo scivolare in me, incastro perfetto, in cui salgo e discendo al ritmo del respiro, sempre più veloce, senza bisogno di parole. Esclamazioni di sorpresa, attutite in suono sfuggente, come un groppo in gola.
Tremo un po', avvolta nei muscoli che si rilasciano, indecisa se guardarlo negli occhi o alzarmi di scatto e rivestirmi. E' lui a non lasciare dubbi, con una stretta delle braccia, il viso contro il mio orecchio, a sussurrare : - Lesta, siamo in ritardo... -
Giulia Lenci

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