La Rossa aveva fatto ritorno da poco al romantico paese di confine, a bordo del treno della Normandia.
Ricordo come fosse ieri la maestosa locomotiva a vapore, tutta nera, dal cui fumaiolo saliva un fumo leggero, bianco, che poi sembrava involarsi nel cielo, come uno stormo di tortore.
S'udiva sempre il rumore un po' cupo del macchinista, che, con il suo badile, nutriva con il carbone la bocca di fuoco grazie alla quale si sprigionava il vapore.
Aveva il volto leggermente annerito, le braccia robuste e nerborute, il torace tutto ricoperto di peli, che spuntavano qua e là dalla camicia strappata.
Quelle ruote instancabili fuggivano veloci sui binari, mentre percorrevano le leghe dell'immenso, che separavano Parigi dal luogo in cui avvennero le vicende di cui vi narro.
Da uno dei finestrini del vagone di seconda classe, che recava, a lettere dorate, una scritta che non ricordo, una giovane donna sporgeva la mano e il volto.
Era lei, la Rossa, meravigliosa e folle.
I suoi lunghi capelli di porpora volavano nel vento come quelli di un fantasma dal cuore buono.
Regalava all'infinito dei papaveri, che teneva in mano ed affidava, uno dopo l'altro, alla forza della natura.
Sotto i suoi sguardi incantati correvano cavalli bianchi, case dai tetti rossi e spioventi, chiese gotiche, dalle mille guglie e dai campanili che toccavano il cielo, laghi affollati dai cigni, gruppi di fanciulli che giocavano con dei cerchi colorati, amanti che si baciavano all'ombra degli ippocastani, ignari di essere spiati.
Al suo arrivo, aveva trovato ad accoglierla alla stazione una folla immensa.
Infatti, contestualmente al treno della Normandia, era giunto anche quello degli artisti, che tutti gli anni arrivavano numerosi da ogni dove per frequentare le Scuole d'Arte del villaggio.
Ricordo che la Rossa si guardava intorno, cercando di ripararsi dal sole con il suo cappellino rotondo, ornato di fiori scarlatti. Vedeva accanto a sé una frotta di uomini, che portavano sul capo delle graziose pagliette e indossavano eleganti giacche bianche, a righe blu. Ma vi erano anche molte signore, per lo più attempate, che si riparavano dal sole con i loro ombrellini e agitavano in aria dei grandi fazzoletti di seta, ricamati, come per salutare.
Oh, forse, era il loro modo di dare il benvenuto!
C'erano dei lampioni che parevano di cristallo. La notte, dei signori vestiti con dei lunghi mantelli turchini li accendevano e li facevano brillare come stelle.
Alla nuova venuta, i tetti delle case sembravano fatti di rose, le strade, d'ametista, i viottoli, di ardesia, le graziose finestre dai vetri all'inglese, di marzapane, le fontane, d'argento fuso.
Ella aveva subito preso il suo violino e s'era messa ad improvvisare un valzer sulla grande piazza, sotto le statue maestose e antiche che immortalavano eroi dalle corone dorate e dalle lunghe barbe.
Un nugolo di giovinetti, vestiti di tutti i colori, aveva fatto a girotondo, tutt'intorno a lei.
La Rossa era innamorata. Oh, sì, il suo corpo e la sua anima appartenevano al bel giocoliere!
La prima volta che lo aveva visto era stato in mezzo alle stelle filanti ed ai coriandoli. Il rubacuori portava una maschera da clown ed una parrucca verde sul capo. Canticchiava e, allo stesso tempo, faceva volteggiare nell'aria dei birilli, gialli, rossi e blu.
Di tanto in tanto, faceva una capriola, senza mai far cadere per terra gli oggetti con cui giocava.
Una donna cannone, molto grassa e pesantissima, teneva in mano una specie di pistola e, quando tirava il grilletto, una nuvola di coriandoli si diffondeva tutt'intorno.
Il giocoliere era bravo a maneggiare anche le biglie, dai mille colori, le bocce ed i mattoni.
Uh, quante virgole acrobatiche disegnava nell'aria! Quanti ghirigori! Quanti voli strabilianti!
Indossava un paio di scarpe enormi, decisamente troppo grandi per lui, delle braghe a quadretti bianchi e neri, una camicia tutta ricoperta di toppe gialle, verdi e viola.
A volte si fermava e liberava nel cielo dei palloncini che avevano tutti i colori dell'arcobaleno.
Al solo vedere la Rossa, gli occhi del giocoliere si erano riempiti di lacrime affettuose. Che commozione appassionata!
Aveva lasciato cadere per terra tutto il suo armamentario e le si era inginocchiato davanti, chiedendole di sposarlo.
Povero cuore spezzato!
Poi erano scoppiati dei fragorosi applausi, perché lei gli aveva concesso di baciarle la mano.
Voi dovete sapere che la Rossa suonava il violino all'Accademia degli Orfanelli, dove era stata cresciuta.
Un giorno, mentre stava tutta sola, sugli scalini di legno, il violino sottobraccio e i lunghi capelli al vento, rivide il giocoliere.
Fu una visione triste, per lui.
L'acrobata, sua grande amica, aveva avuto un incidente e se n'era andata... Qualcuno doveva consolarlo!
Dal cielo scendeva la neve bianca. Una tortora si era posata sulla spalla della meravigliosa violinista, per poi volare via.
L'innamorato le prese la mano e le dichiarò tutto il suo amore, togliendosi la buffa bombetta rosa che gli copriva il capo.
Lei era così bella, con indosso il suo lungo mantello blu... La generosa scollatura del suo vestito mostrava il suo seno grandissimo e bianco, che doveva contenere un affetto immenso.
Fu allora che la Rossa concesse per la prima volta al suo spasimante un tenero bacio sulla bocca.
Le labbra sue erano fatte per la tenerezza e sapevano di ambrosia.
I due si promisero amore eterno e giurarono sulle guglie delle cattedrali gotiche, che erano scarlatte, come la loro passione.
Lei volle dargli appuntamento nella sua cameretta rosa.
Oh, sì! Lo ricevette alla luce dei ceri... Un candelabro d'oro sosteneva tre candele accese, che illuminarono i loro corpi senza veli. Alle pareti erano appesi dei quadri che raffiguravano tutte le posizioni dell'arte amatoria.
La languida nudità dei loro corpi toccò la vellutata morbidezza dei cuscini, delle lenzuola, delle corde, con cui la giovane desiderava essere legata.
Tutto era rosa, intorno ai due amanti. Anche le loro forme, gli interminabili abbracci e l'indicibile piacere sembravano di quel colore.
Alla Rossa piaceva farsi vedere nuda e lasciarsi toccare dalle mani un po' goffe del suo tesoro.
Gli permetteva l'impossibile!
Adorava quelle labbra, che si soffermavano sui suoi capezzoli, bagnati di vino, sulle sue spalle, ricoperte d'edera, sui suoi capelli, decorati con fiordalisi.
La pendola non smetteva mai di annunziare il trascorrere del tempo. Al di sopra del soffitto, che sembrava di seta, c'erano la luna e le stelle.
Tutte le ore della notte volarono via in quell'immenso, come angeli della passione.
Dunklenacht