Questa sera il cielo di Roma s'arrossa d'arancione e mi colora il vestito e le scarpe,
che bucano le foglie di pioppo e d'alloro e fanno rumore d'autunno.
Vado incontro al tramonto lungo il parapetto di questo fiume che mi protegge e mi sollecita,
e m'induce a pensare che sarebbe inutile sporgermi fino a cadere nel vuoto
in contro tendenza a questa nebbia che umida sale e m'inzuppa le ossa e i pensieri.
Perché nessuno oltre me piangerebbe questa povera scema,
che affiorerebbe dall'acqua senza nessuna ragione e sostanza,
fino a domandarsi per quale accidente di uomo o motivo
s'è ridotta a stropicciarsi questo trucco perfetto che ora,
sotto questo lampione di ferro battuto,
mi contorna gli occhi e m'abbellisce la luce.
Questo vento sa di fogna e di fiume,
solleva le foglie e fa danzare sacchetti di plastica,
che gonfi d'aria mi girano attorno come amanti leziosi senza costrutto,
pieni solo di misere voglie che l'alba prosciuga ed inaridisce le sponde.
Lo sento sulla mia faccia, su queste mutande ridotte a brandelli
che coprono a malapena le pieghe del mio sesso disfatto da incuria
e da uomini che m'hanno riempita d'amore e di botte
con il solo pretesto d'averli amati e curati per il tempo che sono rimasti.
Ed ora mi sento come se il mondo mi crollasse addosso
o come se io fossi crollata addosso al mondo,
appiattita su questo parapetto che mi taglia in due,
come tutta la mia vita, tra sesso e ragione.
Ma cosa ci sarà laggiù che m'attira e mi chiama
e mi fa calare le tette che ballano penose come pere lasciate marcire.
Ma cosa potrei mai trovare dentro quel vortice d'acqua
che fa mulinello e rumore di risucchio come le bocche delle mie colleghe
che caparbie ammollano la preda
lasciando in cambio indelebili tracce di rossetti costosi.
LiberaEva