La guardavo. E non riuscivo a pensare ad altro.
Quei seni sodi, rotondi dalla pelle dorata che sembravano voler sfuggire dalla profonda scollatura a V dell'abito di seta nera. I capezzoli duri che modellavano al stoffa e piegavano al loro impertinente volere la sua carezza morbida.
Dio era una creatura di uan sensualità ancestrale.
Quelle mani con le unghie laccate di un rosso cupo che accarezzavano lievi eppure decise la seta sui fianchi lisciando le pieghe dell'abito. Il ventre piatto a cui la leggerezza carezzevole della seta aderiva perfettamente. E le gambe. Mi sembra di sentirne la morbidezza serica sul palmo. Emergevano lunghe, tornite, dorate dal profondo spacco del lungo abito da sera che indossava. Le ruches che orlavano i bordi dello spacco accarezzavano lievi in alto l'attaccattura delle cosce.
Ecco avrei voluto premere ĺ, su quella pelle tenera, la rosea corona dei miei denti per assaporarne tutta la calda fragranza.
E quei piedi piccoli arcuati esaltati dallo svettante tacco a spillo di pitone bianco dei suoi sandali preferiti. I lacci che avvolgevano la caviglia stretti eppure delicati. Il rumore dei tacchi sul pavimento di marmo mentre si abbandonava alla gioia vibrante della danza.
Avrei voluto succhiare quei tacchi e sentirli violare la mia carne.
Nel turbinio della danza un lembo del vestito si era sollevato rivelando che non c'era traccia di biancheria su quel corpo dorato. Il vestito era un'arma letale visto da dietro. Lasciava la schiena completamente nuda fino all'attaccatura delle natiche. Quella di lei emergeva alta e imperiosamente sfrontata dal bordo rotondo.
Mi prudevano le mani dalla voglia di slacciare quel nodo che teneva aderente il vestito a quel corpo. Quel nodo che lo celava al mio sguardo. Quel dannato piccolo perverso nodo che avrebbe sciolto qualcun altro. Ma non ero ĺ per quello. Anzi io non ero ĺ.
Non esistevo... ero solo il riflesso di quella splendida e selvaggia creatura nello specchio.
Mayadesnuda