Un vestito in organza sfiorita, appassita sul corpo bagnato, a disegnare le curve sottili, a rivelare, nel bianco divenuto trasparente, piccoli nei e segni segreti. La donna stava immobile nella pioggia indifferente, gli occhi fissi sulla finestra illuminata, le ciglia sollevate, rivolte al cielo nonostante il peso delle gocce plumbee. Occhi vuoti, neri di temporale, buchi senz'anima. La luce morbida, zuccherosa e carezzevole della stanza usciva in scia dolce fino a sfiorare il viso dell'osservatrice, ma non arrivava oltre quelle perle nere, non penetrava.
Nessun rumore molesto, solo l'acqua scrosciante che correva al suolo, precipitava veloce incollandole i capelli sulla nuca, spegnendo le ciocche ribelli sul marmo liscio del collo.
La sconosciuta guardava assente mentre il vento la stringeva, le braccia in morto abbandono, le gambe immobili a sostenere un corpo fattosi improvvisamente fragile guscio. Il calore della stanza davanti le bruciava la pelle, scendeva come veleno sorridente nello sterno, incendiava il respiro e colava impietoso tra le anche. L'immagine la colpiva come un quadro lontano, si rovesciava nelle sue iridi liquide e si abbatteva silenziosa nella sua mente.
La coppia stava parlando, o meglio, sussurrando complice.
Il viso dell'uomo si piegava attento sul collo della ragazza, ne sfiorava appena i lineamenti dolci soffiando carezze mascherate tra i suoi capelli sottili. Lei si schermiva, arrossiva e allo stesso tempo splendeva lusingata. La bocca rosea diventava ciliegia gonfia, il seno si alzava nel respiro e cercava di avvicinarsi al braccio che lui aveva posato leggero sul tavolo.
Era un uomo alto, lo si notava anche così, da seduto. I capelli neri e folti erano percorsi da un'onda delicata sulle tempie. Gli zigomi sporgenti e le guance appena scavate gli davano quell'aria torbida, che trascina nell'oblio i fiori più puri.
La ragazza era uno di questi fiori.
Rivoli di pioggia solcavano il volto della donna spenta. Ancora immobile, i piedi nudi nei sandali slabbrati dall'acqua affondavano nell'erba fradicia. Gli occhi ormai opachi, si stagliava come una ferita pulsante nella notte scura.
Osservava attenta le mani dell'uomo posarsi su quella pelle di pesca, vedeva la nuca dell'ingenua cedere sotto le dita lunghe e quella bocca ferma, sicura tra la barba curata, cibarsi dei capezzoli acerbi.
Uno strappo, una lacerazione nel guscio spezza le gambe della sconosciuta. Le ginocchia rovinano al suolo, scavano due pozze nel fango erboso, e le mani bianchissime entrano profonde come radici in cerca d'equilibrio.
I singhiozzi non vengono, restano chiusi nella gola rovente e, mentre il cielo piange - ora sì - sull'amore sprecato, le mani sporcano la pelle, l'organza trasparente, il viso lavato a lungo. Sollevano l'orlo del vestito gualcito, passano tra le cosce insensibili al freddo e afferrano il sesso stringendolo livido. Premono, prima sopra poi sotto gli slip di cotone, violentano, costringono, pizzicano pur di togliere sensibilità. Il sesso incurante continua a colare passione.
L'urlo della donna si nasconde nel tuono. Nel lampo accecante dice addio al suo fiore bianco, penetra la sua carne con forza e regala, per sempre, il cuore alla notte.
Mme
Madamesnob