La chiave nella toppa fu l'ultimo rumore secco, quasi una firma sullo scorrere dei passi sulle scale, un leggero fiatone coperto dall'ascensore, libero alla vista, sospeso nella sua grata come una bolla d'aria. Lei mi seguiva, condotta, ma con l'aria sobria di chi l'ha deciso, non aveva esplorato il percorso per lei sconosciuto, e neanche fronteggiato le eventuali occhiate dalla cabina di controllo. Sguardo fisso sulle scale e sulle chiavi giocherellate nella mia mano già dai primi gradini.
Il fiatone era desiderio, dubbio, accettazione di una necessità, voglia di urlare, di lei che si appoggia allo stipite e si apre in un sorriso, che voleva dire insieme va bene, ma sbrigati. Entriamo nella penombra, odore di chiuso solcato dalla lama di una finestra lasciata in luce, in fondo al corridoio a destra. Lo scatto della serratura, e lei di nuovo si appoggia sulla porta, lo stesso sorriso, quasi ironico, riprende fiato e diventa seria, il petto si muove dentro un maglioncino grigio fumo, la giacca aperta, i pantaloni aderenti sui muscoli accaldati. Io muovo verso la luce, poggio le chiavi, apro il respiro ed entro nella stanza prima di lei. A destra la libreria, al centro il letto, perfettamente rifatto.
Fermi. L'uno di fronte all'altro. Sento il suo calore ritmato, gli occhi che si sono fatti ombra, le mani in tasca nella giacca, l'atteggiamento di sfida. Di precedente c'era stata la voglia comune di fare, sganciata da qualsiasi organigramma, che quindi non prevedeva un posto al chiuso, un percorso, delle chiavi. Lei non era lì, in effetti, ma in un certo senso voleva esserci, prendere le misure rispetto ai soliti riferimenti. Cosa ci può stare in una stanza in cui ti porto? Cosa possiamo fare che non abbiamo già gustato, architettato, saggiamente predisposto? Quale discorso deve iniziare ora, solo perché c'è un letto, dei libri e odore di chiuso, e una finestra che non vuole essere aperta? Chi deve mettere per primo le mani addosso all'altro?
Gli occhi di lei sono scintillanti, ora, capelli morbidi all'occhio, sento l'odore del suo fiato, e quello che le sale dal calore racchiuso nei vestiti. Il resto della casa è assopito nel buio, restituisce al luogo l'idea di una stanza ad ore, fatta per consumare, qualcosa che entrambi vogliono, consumare, rinnovare, escludere o cominciare.
Le mie dita vibrano impercettibilmente, c'è la voglia di sesso non mediato, non lavorato, quella voglia che ci ha portato lì, senza voler capire, ma anche senza dimenticare, né racchiudersi in una bolla mobile ma forzata, come l'ascensore. C'è la voglia di mettere in pratica delle figure, delle posizioni, far tagliare l'aria da odori intimi tenuti nascosti per tutto il viaggio, senza predisporsi, lavarsi aggiustarsi. C'è la voglia di stare attenti a qualcosa, di leggere nel tuo intimo segreto le mille accortezze che sei costretta ad usare, con cui dobbiamo insieme fare i conti, anche se fuori di qui torneremo particelle confuse nel confuso andare. E' come se fossimo venuti qui per fare un figlio, o per affrontare degnamente un tuo male, o un mio male, e sentire che l'altro ha cura di te, ti osserva, ti segue, ti accetta, ti sente, torna indietro su una voglia, costruita quando era da solo, quindi senza valore.
Sesso, siamo venuti qui per sesso, non fatto per dimenticare, illudersi, farsi di abbandono, ma per provare quanto nudi siamo veramente, fragili e forti nello stesso tempo. Dobbiamo, prenderci, indagarci, oltraggiarci se occorre, ungerci a vicenda, fuori della tua vita, fuori dalla mia, come un incontro su annuncio, ma oltre il cercasi, forse il vuolesi.
Fermi. Sappiamo di volerci. Lei inizia a sbottonarsi i pantaloni, il suo sguardo si fa serio, senza sentimento, sta per darsi ad un atto che sa, frutto sempre di perfetta conoscenza, lunghe indagini reciproche, estenuanti confronti fra il siamo, o non siamo, noi. L'impossibilità di capire, se la nostra vita passata c'entra o non c'entra, se siamo noi stessi, già, il passato, o se quello è un inizio, un futuro, o un ennesimo tentativo. Lei non fa per parlare, ma mentre continua a slacciarsi le poggio indice e medio tese sulle labbra. Labbra circoscritte di calore. Il calore che sento fra le gambe, un calore elettrico che cerca di spandersi, ma si arresta al primo inizio delle cosce.
Occhi. Silenzio.
Lei ha solo la cintola dei pantaloni sbottonata, le mani ferme, il cuore che sbatte.
E' solo sesso, solo sesso. Il tuo corpo mi piace, dal primo momento che non l'ho visto, e non lo vedo, e non lo tocco, e non lo sento mio, e non ho voglia di darti il mio, e insegnarti le parti di me che mi fanno piangere quando tu con sapienza le accarezzi. Non mi devi conoscere, non debbo aprire i tuoi segreti, dobbiamo scopare e basta.
I tuoi occhi si inumidiscono, sei perfetta in quei due bottoni slacciati, assorbo il tuo respiro che si alza e si abbassa, si ritma e scompare, riappare, impercettibile. E' la tua prima volta. Lo sguardo è teso, non mi lascia un attimo, come desideroso di una risposta, di una spiegazione, di un aiuto. E' come se stessi partorendo, o scopando la prima volta con me, che poi sono la stessa cosa.
Il cuore si inerpica nella gola, penso ai tuoi particolari fisici, a come hai il sesso, alla tonalità e al tono della tua pelle, alle tue mani sudate, al segno dei collant sulla vita. Muovi una gamba, sbatti lievemente il piede a terra. Gli occhi tuoi sono un terremoto. E io non cerco nessun riparo, neanche quello del tuo inguine, non mi ci vanno nemmeno gli occhi, ce l'ho nella bocca, in questa bocca per la prima volta immobile, incapace anche a deglutire.
E il movimento delle tue mani, come se volessero prendermi afferrarmi.
E nel tuo silenzio, vedo le tue dita affondate nella mia schiena, che mi guidano dentro di te, nell'oscuro di un velo mai scostato, e mi afferri il bacino, e nervosamente tocchi, sfiori, le parti di me che si fanno tuo respiro, contratto, in un sibilo impercettibile che sta per sbattere la tua fronte sul mio petto, trattenuta, come a contrastare una spinta alla nuca verso un coito che non si vuole.
Lo scatto della porta alle spalle, lo spazio fuori è più deciso, non c'è gente ma è come se fosse. La sfida ora è a voler incontrare, ed è quello il momento in cui non c'è nessuno, anche l'ascensore è fermo. Giù, prima del portone, il nostro è lo sguardo di tutto il mondo che non s'è fermato, e la strada che non hai mai abbandonato.
Era solo sesso.
Miller