Certe cose accadono solo nei film, continuo a ripetermelo anche ora, invece mi è proprio successo. Ero andato a trovare un amico, un vecchio amico. La figlia, ventitré anni, si sposava di lì a pochi giorni e le avevo preparato un piccolo dono, un pensiero, giusto per non fare le solite figure a cui ormai ero anche abituato. Eravamo tutti seduti in salotto, lei, i genitori, il fidanzato ed io; si parlava di cose banali, senza peso. Il mio sguardo, lo confesso, cadeva spesso sulla ragazza, mora, sorridente, bel fisico, occhi magnetici e perfino poco vestita. Mi ritrovavo, senza volerlo, a guardarle le cosce che uscivano dalla gonna corta, i seni ben evidenti sotto la maglietta bianca, i capezzoli scuri e turgidi che non si poteva non notare. Anche lei, me ne accorsi, mi guardava spesso; sorrideva e pareva che quei miei furtivi sguardi non le dispiacessero affatto. D'un tratto, senza che nessuno se l'aspettasse richiamò la mia attenzione e se ne uscì fuori con un discorso strano:
"Tu potresti farmelo un bel regalo, davvero bello, sai?"
"Confesso che non ho molta dimestichezza coi regali di nozze ma quello che t'ho portato, non ti piace?"
"Sì che mi piace ma ne preferirei un altro... uno che solo tu puoi farmi e che mi faresti solo se te lo chiedessi..."
"Sarebbe?"
Tutto m'aspettavo, tranne questo, tutto!
"Potresti portarmi via con te un paio di giorni, prima che lui mi sposi, per un addio al nubilato veramente bello, particolare..."
Anche lui sorrideva, un po' ebete, ma sorrideva. Mi chiedeva di portarla via con me e lui, il futuro marito, sorrideva. Guardai il mio amico, sua moglie, la ragazza e il fidanzato: sorridevano tutti.
"E'un gioco nuovo, vi state prendendo gioco di me, non è vero?"
"Assolutamente no, io lo vorrei davvero; loro non sapevano nulla, è un'idea che mi è venuta qualche giorno fa. Andrea lo sapeva, glielo avevo detto ma loro non sapevano nulla. L'idea ti sconvolge troppo?"
"No, non troppo, però..."
"A te non piacerebbe, passare due o tre giorni con me?"
"Certo che mi piacerebbe ma..."
"Nessun ma, un addio al nubilato è una cosa importante. A me piacerebbe farlo così. Lui non è sconvolto, mamma e papà non me lo impediscono, tu non hai una moglie, il problema non esiste. Bisogna solo capire se hai voglia di farlo o meno."
"Sì, volentieri ma mi pare una cosa strana."
"Non così strana, vedrai. Per me si può partire anche oggi, anche subito se vuoi."
Non trovavo modo di contrastarla, non trovavo appigli per rinunciare. Una ragazza decisa che si era messa un'idea in testa e nessuno gliela avrebbe tolta! Poi, tutti sorridevano; solo lei cominciava un po' ad accigliarsi, come da piccola quando le toglievi i giocattoli per scherzo. Già, da piccola! Conoscevo Isabella da quando aveva sette anni, non da pochi giorni, non da adulta. La vedevo ancora bambina anche se guardavo tutto quel suo corpo prorompente e sensuale.
"Sì, meglio che partiamo subito, altrimenti ci ripenso, altrimenti mi vengono sensi di colpa o altro... meglio subito! Metti qualcosa in una borsa e andiamo via, passiamo da me, faccio un po' di bagaglio e andiamo via." Dissi come se non ci fossimo che lei ed io, come se gli altri non contassero nulla, nemmeno suo padre. Ella s'alzò davvero, baciò il fidanzato e andò via; tornò dopo pochi minuti, col suo gran sorriso, vestita uguale ma con una borsa in mano.
"Allora? Andiamo o no? Non abbiamo mica tempo da perdere, sai?"
Salutai distrattamente tutti, la seguii verso la porta, verso la mia auto in giardino, verso una fuga che non avevo nemmeno pensato possibile. Già in macchina mi si avventò addosso, mi strinse e mi baciò con un trasporto enorme al quale facevo davvero fatica a reagire.
"Grazie per avermi fatto davvero questo grosso regalo!"
A casa mia non riuscii a preparare la borsa, si gettò sul mio letto, sollevò il gonnellino e mi fece ammirare le sue mutandine, indicando col ditino:
"Guarda come mi hai già conciata, vergogna..."
Effettivamente, il cavallo dello slip era visibilmente intriso d'umori, si vedeva la macchia e lei lo sapeva bene. Non c'era modo di resistere ancora, la raggiunsi, cominciai a baciarla e carezzarla, a spogliarla e vederla. Non capivo più nulla, non ero in grado di capire: non so se riuscii a spogliare lei o se lei spogliò me, so soltanto che in breve eravamo già nudi e il profumo del suo miele mi invadeva il naso. Avevo perso ogni cognizione, non ero più io, non era più l'Isabella vista bambina, non ero in casa, non era il mio letto: solo il suo sesso spalancato aveva un senso. Mi ci tuffai dentro e cominciai a mangiare con avidità, non avrei dovuto, avrei dovuto indugiare, avvicinarmi appena, invece... Per fortuna, anch'ella non ne vedeva l'ora! Sentii le sue grida vibrare velocemente verso un punto altissimo, il suo corpo scosso da profondi sussulti, il suo respiro contrarsi fino quasi a sembrare un vento sibilante poi, accasciata sotto lo sforzo, quasi s'addormentò. Non me ne andai, stetti lì sul suo clitoride, il mento quasi affogato nelle labbra, il naso pieno dei peli neri del suo pube, le mani pieni delle sue chiappe sode e morbide al tempo stesso, lisce e distese, profumate. Sentivo il suo arrancare fuori dal piacere, il suo tornare presente, il suo respiro che mi sorrideva. Il profumo della sua figa mi riempiva il naso e la bocca, lentissimamente lo aspiravo in me, come il suo sorriso, come il suo venirmi in bocca; attendevo che si riprendesse, che fosse presente per traghettarla nuovamente lontano, sempre con la lingua, sempre con la bocca. Un altro orgasmo me lo doveva, il primo se l'era sputtanato in pochi minuti, non avevo nemmeno fatto in tempo a capire quanto ci fosse vicina e già non c'era più. Quando fui certo che era tornata cosciente, che mi sentiva, che mi ascoltva, ricominciai a frugare e a baciare sentendola subito contorcersi e ansimare nuovamente ma con ritmi più pacati, più dolci, più gestibili. Cercai di portarla lontana il più lentamente possibile, mi imposi di provare a farle provare il piacere più lungo che avesse mai provato. Non era un obiettivo facile, dovevo poter frenare tutte le mie smanie e tutti i suoi bisogni, una sorta di prova di forza e, per di più, non la conoscevo, sotto questo aspetto. Con chi conosci è più facile, ma con lei? Come avrei fatto ad indovinare il momento migliore per spingere dentro la lingua, quello per leccare delicatamente le labbra divaricate, gonfie e scure, il preciso istante in cui ingoiare tutto il suo clitoride e quello per riporlo delicatamente al suo posto? Inventai delle strategie strada facendo, seguendo il ritmo dei sospiri, il suo divincolarsi, il movimento del bacino che mi premeva addosso il suo pube, il suo trarsi indietro come se già fosse oltre ogni limite. Ascoltando tutto questo riuscii a resistere per tanto di quel tempo che, quando alla fine esplose, fu come un uragano terribile. La potenza di quel suo premere contro la mia bocca... ancora oggi mi pare di sentirla. Poi s'accasciò, si sciolse via ed io le corsi dietro, senza mollare, senza staccare la lingua dalla fessura e il naso dal ciuffo di pelo. Dopo averla a lungo ancora baciata, delicatamente, tutt'attorno, mordicchiando anche i punti delicati dell'inguine e le turgide labbra, pieno del suo profumo e del suo sapore, cominciai piano a risalire, pube, pancia, ombelico, anche, seni, ascelle, spalle, fino a giungere a baciarle le labbra, le altre... ansimava ancora. Ansimava e sorrideva, con gli occhi chiusi, imperlata di sudore. Le sussurrai di spiegarmi il perchè, perchè avesse voluto questo da me, come le fosse venuto in mente di fare una cosa del genere. E lei, senza un'ombra d'imbarazzo, cominciò a spiegare:
"Ho letto i tuoi racconti, tutti; quelli erotici mi sono molto piaciuti. Papà non voleva darmeli ma mamma mi ha aiutato. Certo, che hai proprio un bel modo, di scrivere... e di leggere, anche..."
"Leggere?"
"Leggere... leggere le necessità, i ritmi, i tempi. Nessuno mi aveva mai fatto godere così tanto sai? Sono contenta che i tuoi racconti somiglino davvero alla realtà, mi sarebbe dispiaciuto, trovarmi con uno che... non avrebbe capito nulla di me!"
"Cosa t'è piaciuto, più di tutto, dei miei racconti?"
"Come descrivi le emozioni, oltre alle situazioni che sono sempre così piccanti... ma le emozioni le sentivo talmente mie che non riuscivo a resistere... mi ritrovavo sempre la mano fra le cosce!"
"Ma dai... non esagerare!"
"Non esagero. Mi sono accarezzata tante di quelle volte che ho perso il conto. E non solo alla prima lettura, anche quando li rileggevo. Li ho letti a voce alta anche ad Andrea, mentre mi... hanno eccitato molto anche lui e ha voluto rilegerli. Devi aver incontrato delle donne meravigliose, io ti sembrerò una bambina in confronto ma, ti prometto, se mi aiuti, divento più brava di loro..."
"Guarda che i racconti sono tutti di fantasia, io non..."
"Lascia perdere, non ti credo! Tu mi devi portare in quella villa, non vedo l'ora di poter fare tutto ciò che vuoi!"
"Ti ripeto: non c'è nessuna villa! O meglio, non la conosco, non ci sono mai andato, può darsi che ci sia ma io non so dove. Mi capisci?"
"E non sai nulla neppure di quel locale dove hai ambientato l'altro racconto? Non sai dove sia e se mai sia esistito... dai, dillo!"
"Vero, non so nulla, forse ci sono posti così ma non li conosco, davvero."
"Bugiardo! Stai facendo un sacco di storie per non dividermi con altri, ecco tutto... ma io sono qui per imparare... imparare tutto e non mi spavento di quel che non vuoi dirmi! Voglio solo che tu mi porti dentro i tuoi racconti, non dentro una realtà qualsiasi!"
"Questo si può fare ma come leggendo un racconto, come se tutto non fosse che frutto della tua e della mia immaginazione, senza cercare troppe realtà difficili..."
Intanto la sua gamba aveva scavalcato il mio corpo, il suo sesso spalancato implorava carezze e i suoi capezzoli, scuri e turgidi, riempivano tutto il mio orizzonte. Carezzavo con la mano aperta il suo pancino morbido e liscio, sfiorando quasi casualmente il vertice del ciuffo di peli; la sua mano raggiunse la mia e la guidò sicura e decisa fino alle labbra carnose.
10 anni dopo
di mayadesnuda
Era una cazzo di mattina assolata come quella di tanto tempo prima, non riusciva nemmeno a ricordare esattamente quando. Un secolo fa poteva anche essere una distanza temporale adeguata per come ormai in lei non era rimasta traccia della fanciulla maliziosa e curiosa che si era data a quell'uomo. Già, l'amico di papà... una specie di classico.
Ricordava bene gli orgasmi che le mani, la bocca, l'uccello abile e attento di quell'uomo erano stati in grado di darle.
Lì tra quella braccia, in quel w.e. di follia pre-matrimoniale aveva scoperto definitivamente la sua vocazione. Lui l'aveva restituita a se stessa, libera di essere finalmente quella che aveva sempre saputo di voler, dover essere: TROIA.
Già, ma poi aveva comunque indossato l'abito bianco, pianto lacrime di rabbia scambiate da tutti per commozione e sposato il suo fidanzato di sempre. Che non era all'altezza. Inutile a dirsi. Lei ci aveva anche provato, aveva sperato e lottato per fare di lui quell'uomo: il suo uomo quello che aveva bisogno di avere al fianco. Ma lui non poteva, quando l'accompagnava ad una festa e vedeva gli sguardi degli altri uomini percorrere avidamente il corpo di lei... non fremeva dalla voglia di vedere la sua donna trovare il piacere nel corpo di un altro, con il cazzo di un altro. Ma guardando lui, giocando con lui, per lui. Non capiva si abbandonava ad una gelosia malinconica e sterile, che lo portava ad isolarsi in un angolo come un bambino in castigo. Almeno ci fosse stata la rabbia: quella lei l'avrebbe capita. Avrebbe potuto gestirla, alimentarla, trasformarla in violenta voglia di rivendicare possesso di lei, della sua fica, del suo culo, della sua bocca...
E invece niente. E così eccola qui. Ritornata sul luogo del delitto. Cosa era venuta a fare li, adesso, dopo 10 lunghi anni? Cosa sperava di trovare? Quella malizia divertita forse... quella leggerezza del piacere che non riusciva più a provare.
Lui, già l'amico del padre, non abitava nemmeno più lì. Se ne era andato da tempo. Lontano. All'estero. Ma la sua casa no. Quella era ancora lì e i suoi ne avevano le chiavi. Così aveva deciso.
Lo doveva a se stessa a quella ragazza e alla donna che era diventata. Avrebbe celebrato l'anniversario della sua liberazione e l'avrebbe fatto in modo degno del suo liberatore.
Sì.
Eccola stesa su quel letto, le sembra quasi che le lenzuolo di seta abbiano trattenuto l'odore di quegli amplessi selvaggi. La sua sborra che le colava in bocca, sul ventre, nel culo e lungo le cosce.
Dio le sembra quasi di sentire quella lingua invece delle sue dita adesso, quella lingua delicata e sapiente che aveva saputo risvegliare la sua natura sfrenata, che aveva strappato tutti veli e liberato la forza dirompente del suo desiderio di godere. Come ora. Ora che a gambe spalancate, affonda quattro dita in quella fichetta avida che vede riflessa nello spettacolare specchio barocco che fa splendida mostra di se davanti al letto, leggermente di lato, per cogliere meglio la luce che arriva dal terrazzo. Sì. Uno, due, tre affondi... e il desiderio si fa liquido tra le sue cosce e cola. Come aveva bevuto avidamente l'amico di papà si era sentita risucchiare da quelle labbra. Affondare, sprofondare in quella bocca. Presa totalmente. Allora non aveva capito, non poteva. Ma ora, ora che molti uomini e molte donne erano passate nel suo corpo e nella sua testa. Ora capiva. La generosità disinteressata del dono di quell'uomo. Le aveva pompato la fica. Già, si era trasformato nella sua schiava. In uno strumento creato per il suo piacere, il suo piacere di donna, il suo piacere di troia.
Non aveva avuto abbastanza coraggio per non tornare. Per sparire libera di vivere la sua vocazione e così aveva sposato quel ragazzo, che ora era un vecchio triste, non aveva che 35 anni ed era un vecchio senza mai essere stato uomo. E lei. Lei aveva avuto almeno la forza di rispettare la sua vocazione. Era una troia e come tale aveva vissuto.
Le dita presero ad affondare più freneticamente nella fica, i capezzoli le si tesero in modo doloroso. Ah ricordava quella testa di capelli argentei che si era chinata sui suoi seni e li aveva sbranati. Come i denti avessero accarezzato e torturato sempre più intensamente quelle punte turgide. Si era sentita annegare in un mare di soffuso piacere che scolorava lentamente nel dolore.
Le aveva fatte quelle cose che aveva letto nei suoi racconti. Tutte una per una. Ne aveva fatto un elenco, che ogni tanto nel corso di quegli anni aveva riletto come una sorta di mantra. E ogni volta che depennava una delle fantasie di quella fanciulla maliziosa con un tratto deciso di lapis rosso. Ogni volta, le sembrava di sentire il calore del sorriso stupito e compiaciuto di lui avvolgerla.
Anche ora mentre il suo corpo veniva attraversato dagli spasimi violenti e deliziosi dell'orgasmo e la sua bocca succhiava avida il piacere di cui erano intrise le sue dita. Anche ora lo vedeva. Del resto era lì per lui. Era il loro 10 anniversario.
Click Click Click... si doveva essere addormentata. L'aveva svegliata quel rumore. Sembrava il suono di una chiave che gira nella toppa. Impossibile nessuno aveva le chiavi di quella casa a parte lei e a parte lui, ovviamente. Fece appena in tempo a sgusciare sotto le lenzuola che la porta della camera si spalancò con forza e sulla soglia apparve LUI, non poteva essere. Era assurdo, paradossale forse anche crudele. E il tempo non sembrava averlo toccato. Era identico a come la ricordava. Non disse una parola. Scosto le lenzuola con decisione e le divarico le gambe con sicura dolcezza. Era stordita, accecata, esaltata e incredula. Ma il suo corpo non aveva dubbi. Era sicuro. Aveva riconosciuto il padrone. Mentre si abbandonava al piacere devastante che quella bocca sapeva donarle in modo inimitabile, ebbe appena il tempo di pensare: "Sono tornata a casa, finalmente!"
Silverdawn/Mayadesnuda