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Racconto n° 2232
Autore: Giulia Lenci Altri racconti di Giulia Lenci
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Agosto
Inutile negare. Lo sapevo fin dall'inizio. Fino da quando hai consegnato nelle mie mani le chiavi della tua casa, dicendo: - Di te mi fido - .
O meglio. Non lo sapevo, dal momento che non potevo conoscere le tue intenzioni, se non quelle dichiarate dalle tue parole. Ma ho intuito. Ho captato cosa c'era dietro quel - mi fido - . Per questo ho chiuso il palmo, stringendo le chiavi.
Ogni giorno arrivo a casa tua, a controllare che tutto vada bene, a ritirare la posta, innaffiare le petunie, staccare i fiori secchi dei gerani. Poi raccolgo la frutta. Ceste di susine color oro, grosse albicocche carnose. E' accogliente la tua cucina. La vetrata si apre sull'orto. Il gatto va e viene mentre spacco i frutti uno ad uno, li ammucchio nel pentolone e li impasto di melata. La sua coda soffice mi accarezza le gambe. Accendo il fuoco e comincio a mescolare. Di tanto in tanto esco ad estirpare fili d'erba tra le siepi di rosmarino. Nel frattempo nell'aria si spande il profumo della polpa che si sfalda, che si arrende al calore, trasformandosi in succo liquido, sempre più dolce. Infine spengo, riempiendo i vasetti allineati sul tavolo, chiudendoli in fretta.
La luce cala, il giorno volge al termine, riordino tutto come si deve, saluto il gatto, chiudo la porta e m'incammino adagio, molto adagio.
Quanti giorni sono trascorsi dalla tua partenza. Non lo so. Non lo so davvero. Non ho più orologio né calendario. Quando ti ho conosciuto, per prima cosa, ho slacciato l'orologio dal polso e l'ho messo in un cassetto. Ho staccato il calendario dal muro, infilandolo tra i giornali vecchi, giù in cantina. Non l'ho detto a nessuno, perché non saprei spiegarne il motivo. Nemmeno a te l'ho detto, perché tu non lo chiederesti. Tu lo sai, il motivo. Tu scandisci il mio tempo, le mie giornate. Io gesticolo, la mia bocca emette suoni, i miei occhi e le mie orecchie raccolgono informazioni da ciò che mi sta attorno. Ma in me tutto è cambiato. Quel nucleo caldo, che si arrovellava in un magma tormentoso e dava energie al mio essere inquieto, ora palpita e ritma i momenti che mi dividono da te, ed ogni istante che respiro con te.
Oggi, appena sono entrata, ho sentito che era diverso. Ogni cosa era al suo posto. Persino il gatto non si è scomodato dalla sua siesta nel vaso dei limoni. Ma il mio cuore non s'inganna. Ho zittito la ragione, ignorando le apparenze. Non ho raccolto la frutta. Non ho aperto le imposte. Ho chiuso la porta alle mie spalle, trattenendo il respiro. Ho lasciato che le mie palpebre si abbassassero, che il buio scendesse in me. E in quel buio ho cominciato a cercarti, seguendo il tuo profumo. Sorridi ogni volta che te lo dico. Sorriderai di nuovo, ma te lo ripeterò, sussurrandolo piano, aspirando la tua pelle. Sai di resina. Resina calda di sole, che t'impregna i capelli, e il viso, il collo e le spalle. L'annuso sui muscoli sodi delle braccia e del ventre, delle gambe robuste.
Dove sei...?
Coi polpastrelli sfioro il muro, lo specchio dalla cornice dorata, la porta della cucina. Se tu sei lì, mi stai guardando, incorniciata nella penombra, io che non ti vedo. Ma non sei qui. Il tuo profumo aleggia altrove. A brevi passi calpesto la stuoia di fibre intrecciate. Sfilo le scarpe.
Dove sei...?
Il pavimento tiepido incolla i miei passi. Avanzo a schiocchi lievi, che rimbombano nel silenzio. O sono amplificati in me, nella mia mente vuota, trascinata come una zavorra inutile dal cuore che batte forte.
Dove sei...?
Me l'aspettavo, anche se non lo confesserò mai. Lo sapevo. Ora posso ammetterlo, almeno con me stessa, sì, lo sapevo. Conosco il tuo gioco. Rendermi preda anche se non ci sei, anche se sei lontano. Come un ragno, che tesse la tela in silenzio, tela invisibile, che non lascia scampo a chi si avvicina. E tu tiri i fili. Ti basta così poco ad invischiarmi in questa rete di sogno, che soltanto io vedo.
Dove sei...?
Slaccio anche l'ultimo bottone della camicetta, che scivola lenta dalle mie spalle e poi giù, da qualche parte, mentre procedo, cieca di luce, accecata d'amore.
Dove sei...?
I pantaloni disturbano troppo col loro fruscio indiscreto. Abbasso veloce la cerniera e si afflosciano ai miei piedi.
Dove sei...?
Le assi di legno hanno un suono attutito, quasi un bisbiglio di derisione. Sono al termine del corridoio, là dove inizia la zona più discosta della casa, dove tu ti rifugi con la scusa del lavoro o di una telefonata.
Dove sei...?
Ora il profumo si fa persistente, un'intensità pericolosa per chi, come me, lo aspira a larghi polmoni, fino a stordirsene. Cade l'ultimo baluardo della mia pelle. Volontario, il gesto teatrale di pochi centimetri di tessuto che lasciano a nudo completamente i miei fianchi. E quello che è di me palpitante. Oltre il cuore, oltre quel frullare di ali, nello stomaco e più in basso, dove scende come solletico, e si liquefà in qualcosa di dolce e terribile. Il desiderio. La mente vaga da qualche parte, ma non in me. Sbatacchia qua e là contro il soffitto ed i vetri delle finestre, con piccoli colpi disorientati.
Dove sei...?
Resina pura. Le dita riconoscono la porta della dispensa. Aperta. Il cuore accelera i battiti. Aperta da chi. Spalancata, come mi sento io, in questo istante, l'istante in cui percepisco nettissimo il tuo profumo. Non è solo resina, quello che sento. E' un canto. Si dipana da te, avvinghiandomi, impercettibile, inesorabile. Inarrestabile come la mia voglia.
- Non aprire gli occhi - .
Il tuo ordine arriva improvviso e perentorio. Non ammette repliche, né scappatoie. Serro le palpebre fino a farmi male appena sotto le ciglia, dove si congiungono come bacio alla pelle sottile del viso, quella che riceve le prime lacrime.
Ti stai avvicinando. Lo so. Lo sento. M'investe e mi sommerge il canto della tua presenza. Un canto solare, di cicale sui pini alti che colano gocce dense e ambrate, che scorrono lente sulla pelle dura del tronco, stillando senza premura sotto il sole cocente. Il silenzio si riempie del mio rimbombo, quel suono forte e cupo che giunge da me, forse dalla mia bocca socchiusa, mentre la vita mi martella dentro e temo di scoppiare. Tendo le braccia. E incontro le tue mani, che mi afferrano e spingono contro la parete ruvida. Poi mi abbracci, mi stringi a lungo, passando il volto tra i miei capelli, sul collo, sul seno, come il muso di un animale che riconosce. Che vuole farsi ricordare.
Da quanto tempo sto mormorando le stesse parole, non lo so. Me ne accorgo perché tu mi rispondi in un soffio. Allora mi rendo conto della mia voce, di quelle uniche parole sospirate. Inconsapevoli.
Dove sei...?
- Qui - . Lo dici a bassa voce. E ci sei. Entri dentro di me. Ed io mi appiglio, avvolgo le tue spalle, mi sostengo a te. Ti accolgo, senza pensare.
Come quando si aspetta da tanto un arrivo e si contano i giorni, le ore e i minuti. Ma io non so nemmeno che giorno è. Sei tu il tempo del mio vivere, del mio respiro affannato, del gemere piano e poi forte, dei gridi alti che ripiombano in gola in un ritorno, un richiudersi, l'accartocciarsi di una foglia, nel tentativo di conservare gli umori che la mantengono viva. Mi avvinghio a te, con le gambe e le braccia, con la bocca che si aggrappa al tuo collo, al tuo petto, e morde. Un ansito, uno solo. Da te. E già ti scosti. Un gesto solo, ma basta a lasciarmi scivolare a terra, dove la pelle sudata si fonde con il pavimento. E s'incolla, ottusa e rabbiosa. Occhi chiusi, mi dico. E allungo le braccia, brancolando nel buio voluto. Ma so che non serve a nulla.
Apro gli occhi. Troppa luce sta entrando nella stanza. Troppo odore di frutta matura. Troppo luccichio dai barattoli ben ordinati sulle mensole. E il tonfo di una porta che si chiude, in fondo al corridoio. E' la mia immaginazione, penso, mi dico. E altro non voglio sapere. Neanche sentire il brontolio di un motore che dilegua là fuori, dove la ghiaia scricchiola sotto le ruote di un'auto in partenza. Ma io non posso sapere, non posso sentire. Le mani sulle orecchie impediscono ai suoni di raggiungermi.
E come una foglia caduta, mi accartoccio, piegando la testa sulle gambe, spingendo il volto tra le cosce, dove ancora ristagna il profumo inebriante di resina molle, disciolta dal sole.




Giulia Lenci

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