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Racconto n° 2284
Autore: Giulia Lenci Altri racconti di Giulia Lenci
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Settembre
Sottotono. Come febbre che sale.
Arriva in onde di fuoco, vibra le ossa, poi piano piano ristagna a fior di pelle, nel calore di un sogno accorato. Provi adagio a chiudere gli occhi, a domare il respiro che scende, a incontrare lo spasmo convulso dello stomaco, mentre un nucleo bollente pulsa il dolore che senti. Palpita e sovrasta ogni pensiero, finchè la volontà si arrende. Allora scalci lenzuola di piombo, e nell'oscurità le mani stringono l'ultimo barlume di coscienza.
Allo specchio il tuo corpo è un fantasma di voci, marionetta patetica dei giorni di luce. Ritagliato nel vetro, uno scarabocchio di linee, quasi una sagoma a ridarti il senso del muoverti accanto ad oggetti celati dall'ombra.
Sei furia che scuote i capelli. Sei voglia che stira le gambe. E in punta di piedi ti allunghi nel ventre, nel seno che gonfia in coppe più chiare.
L'unghia incide il profilo del viso, lineamenti offuscati da qualcosa d'inespresso. Occhi fondi, ampi di desiderio. Bocca gonfia, pronta ad aprirsi. E la lingua, lucente e bagnata di un umore innegabile. E lì, tra le cosce, qualcosa di ambito, di lugubre resa alla notte d'inferno.
Le dita lunghe sui fianchi sono lampi, saette sinuose. Marezza la pelle quest'aria di luna che filtra insistente dalla finestra. E' tuono il sangue che scoppia alle tempie e incupisce le orecchie nel suono ritmato di un canto antico, scordato.
Un velo d'abito danza e si affloscia sulle anche, sulle natiche tonde, giù sulle gambe, a celare i brividi che ti corrono tutta.
Sorridi all'idea di un gesto folle, quel gesto che tu conosci e ogni volta fingi di dimenticare.
Respiri già forte quando infili la porta, il fiato si rompe in rantoli quando la chiudi alle tue spalle.
E il buio ti accoglie con braccia fresche e mille lumi a cometa sulle pupille.
Ora sì che riconosci i tuoi passi, nei tacchi a spillo solerti. Musica per la tua mente, per quella voglia che sonnecchia là in fondo, in quell'angolo piccolo e acuto, che sempre ti attende. Tu che lo ignori, adesso ti arrendi, scompigli il tuo cuore come matassa di piume. Aspiri il rumore di una città che non dorme, che come te sta tentando di allontanare altre ore dovute. L'abbaglio di falsa allegria davanti a te si stende e tu lo calpesti di fretta, nel ticchettio che rimbomba ai talloni e su sale. Sale e attanaglia la gola in arsura, le labbra aperte ad offrire ristoro. Tu che hai sete, tu darai ristoro. Tu che non sai cosa cerchi, troverai chi ti cerca. Una come te. Te o un'altra ha poca importanza. In una città la vita è veloce, si cambia e ti scambia con merce qualunque.
Ti avvolgono sguardi annoiati e un po' stanchi. Occhiate di chi non vuole rientrare senza niente da ricordare prima del sonno che tarda a venire. Sono maschere d'uomo, deformate da giochi di chiaroscuro, dal brillio sfalsato di stelle cadute. E' il luccichio di sogni lontani, abbandonati ancor prima di esser sfiorati. Di potersi annidare in qualche parte di cuore da riscaldare.
I passi rallentano. Non solo i tuoi.
Ti incalza la voglia di chi con la mente ha già le mani su te, su quell'abito tanto leggero e così trasparente, che è meglio toglierlo il prima possibile. Un posto qualunque, per te fa lo stesso. Un uomo qualunque e la notte si accorcia. Un corpo qualunque da placare e sarà come se non fossi mai uscita di casa. In fondo non chiedono molto quelli che incontri, e che forse mai rivedrai. Allargare le gambe è già sufficiente. E fremere un poco, quanto basta a finire. Accontentare qualcuno che come te ha la febbre che sale e scalcia lenzuola sudate in una stanza opprimente.
Sarà breve. Sarà una delle tue notti. Sarà uno straccio di pece strappato prima dell'alba. Di quei filacci di luce che appaiono là, dove il giorno schiarisce. Laggiù in quel punto lontano chiamato orizzonte.

Giulia Lenci

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