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Racconto n° 2343
Autore: Miller Altri racconti di Miller
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Gli anni
Mi dicesti, a quarant'anni con un figlio grandicello, separata, male, che è difficile ormai fare collegamenti e che si cerca di pensare ad una cosa, ad una idea precisa. Per questo ho chiamato te, forse perché anche se non ci vediamo da una vita ci conosciamo, da una vita, ma di più credo perché so come la pensi, che sei libero, almeno spero, anzi è essenziale, non voglio rotture di coglioni: non cerco un rapporto, ma una persona con cui stare bene ogni tanto, liberamente, mangiare bere qualcosa, fare sesso. Fare sesso. Lo dicevi con una espressione a metà fra la ninfomane frustrata e un'iscritta ad un club d'essai. Lo sai quanto mi piace la richiesta di sesso puro, sporco o sguaiato, comunque liberatorio, ma sappi delineare, decidere, scolpire, stigmatizzare, non lasciare sempre aperta la porticina minuscola sul tuo baratro che ancora una volta mi nascondi. Comunque mi sta bene, mi cogli in un momento in cui non ne ho bisogno, ma voglia di staccarmi da un pensiero fisso questo sì, e poi mi ricordo, sbirciare con la mente fra le tue gambe, e il tuo sguardo ammiccante, tenebrosamente distante, quando eri felicemente sposata, comunque scimmiottavi con le mie avances, per storia mai troppo velate, ma mi facevi capire, come sempre, che sarebbe stato bello, tutto sarebbe bello, ma esiste una regola, un limite, un impossibile. Pensi che solo oggi si sia frantumata questa regola? O forse già allora faceva acqua, e se non fosse stato così, perché poi l'immancabile separazione, il tracollo d'amore, il ritorno del sesso.
Comunque, mi sono sempre chiesto com'è che fai i pompini, oggi ho l'occasione di svelare questo mistero.


Mah, neanche tanto impacciata, o desperate housewife, quando buttavo nel forno quella pizza, e stappavo quel nero sangue che so che vi piace, sempre, e vi dà moderatamente alla testa, per avere una giustificazione a quella voglia di farvi male. Infatti ti bagnasti solo le labbra, e mi dicesti, andiamo di là, andiamo a fare sesso. Spengo tutto, hai ragione, il sesso vuole lo stomaco vacante, un altro sorso a volo, mentre mi tiri nel tuo antro, perennemente inquieto. Incredibile, sai dove mettere le mani, riveli una vocazione innata, lo sapevo, non sono mai stato attratto da puritane convinte, e una certa esperienza, ci si separa male, ma si vive bene, anche lui ce l'ha grande, un amante coi fiocchi, prima di impazzire.
A proposito, succhiami l'anima, fammi vedere come fai.
Il mio sospiro si stampa sul soffitto, vorace, spingi fino in fondo, ti piace fartela scopare la bocca, lo sapevo lo sapevo. Fatti guardare, fammi scrutare il tuo semplice desiderio di essere zoccola, o la tecnica del sesso senziente e rilassante, tonificante, o la voglia d'amore che nascondi come una ladra, che sempre hai nascosto quando si trattava di risolvere la tua vita, e non andare tanto per il sottile se lui già si mostrava come un pezzo di merda, in tante piccole insignificanti sfumature. Ti salgo su, rudemente, non devo dimenticare il mio ruolo di castigamatti, altrimenti l'hard va a farsi friggere, ma insieme con la dolcezza umettata della ricerca della donna mia nel talamo nuziale. Bastardo? No purtroppo, è il mio modo, quello di rappresentare comunque, di drammatizzare, di creare la base d'amore che giustifichi la rasoiata vendicatrice del sesso.

E tu ti inarchi con la rovente acquiescenza del ventre di moglie, mi fai ripassare le mille notti di tutte le mogli, segno di una esclusività nella quale non mi è permesso di entrare, e forse è giusto così per carità, ma ora?
Cazzo, limitati a fare la troia, non assecondarmi in ciò che anch'io cerco per farmi male. Sei un fiume che scorre, bagnata all'inverosimile, ti prendo una mano a toccare me te tutto, stringi, graffi. Lo sento che sei all'acme continuo, ed è lì che voglio abbeverarmi nel tuo tempio dell'errore. Perché, perché, mi nutro così facilmente di una intimità di cui mi hai fatto sempre sentire indegno? Mi fa quasi schifo, non la tua fica, c'è sempre un gusto esaltante da assaporare, in ogni fica di voglia determinata, soprattutto se vuole darsi un po' alla rinfusa, c'è sempre da gustare, ma non siamo in un ristorante, perdio.


Ci sai fare, hai davvero un bel cazzo, e lo sai muovere, lo sai adoperare, ma non pensavo, tanto. E' come quando mi sento dire, non immaginavo che scrivessi poesie, buffo, cosa ti ha portato a me, veramente? La voglia di sesso, no, la voglia di amare, nemmeno, la voglia di essere amata, sì, la voglia che qualcuno ti ami.

Sempre così, donna amante mia, pensi di governare, di disporre, ciò che la tua eternità merita per assunto, ma poi non distingui, fra sesso e fantasia, ordine e utopia, non ti è chiaro cos'è che lega il tuo mandato genetico, sacro, con la voglia di scoprire l'amore, altrettanto sacra.


- E tu, Henry Miller, è vero che rubavi i soldi dal salvadanaio di tua figlia Valentina, per darli ad una morta di fame, che poi ti scopavi?
- Smettila.
- E tua figlia che tesse le tue lodi come di un uomo fantastico, serio, illuminante, intelligente, straordinario? Ti sei scopato anche lei? William Burroughs fu arrestato e imprigionato per la sua relazione con una tredicenne.
- Ora basta, cazzo, basta!


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Non ci siamo più rivisti. Ti sei comportato troppo bene, mi dicesti.

Miller

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