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Racconto n° 2349
Autore: Faber Altri racconti di Faber
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Io non ho mai avuto paura dei serpenti
Io non ho mai avuto paura dei serpenti.
Tutti li sfuggono, chi per paura e chi per incontenibile e atavico ribrezzo.
Io no.
Li temo forse anche se sono minacciosi, ma li guardo, li osservo più da vicino che posso.
A volte anche li tocco. Affascinato dal loro muoversi e dal loro farsi anello, gomena arrotolata a imprigionare il sole come se vivessero di quello.
La tua lingua è un serpente che io amo, per esempio. Anche adesso.
Che scivola nella mia bocca, spostandomi le labbra come se fossero alti fili d'erba.
Prudente apre una strada.
Esplorandola con cura a piccoli guizzi di saetta, prima di azzardarsi.
Muove a lato, scarta, seguendo linee sue, e intanto penetra lenta.
Quasi assaporando l'avvolgermi mio nella tua voglia.
La sento arrivare curiosa e tesa in punta a esplorarmi i denti, sotto le labbra li carezza. Poi scarta e scivola in mezzo alle due arcate che potrebbero ferirla e imprigionarla.
Le ha esplorate, non le teme e ora entra.
Incurante del rischio avanza.
Cerca il palato sollevando le sue spire e facendo della sua punta la sua testa. Si inarca a voler coprire le mucose mie di traccia.
Poi cerca la mia, lì piantata in gola, più decisamente.
Allora io gioco col serpente. Lo stuzzico.
Mi faccio gioco del suo incedere molle e caldo. Ne cerco la freschezza e la rubo, ne carezzo la testa e il corpo e me ne impadronisco.
Ne lavo ogni umore di saliva, rotolandomi a cercare di avvolgermi su di essa.
Schiaccio la testa del serpente tuo, cercando di fermarla.
Di immobilizzarla.
Mi faccio flauto carico di note per domarla.
La sento cedere un istante, poi di nuovo animarsi, cercare fuga e capovolgimento, fino a tenere me sotto e dominarmi.
Avanza e arretra, come un cobra che caccia dondolando la sua testa.
Ha spire forti, sembra gonfiarsi e colmarmi la gola per poi farsi più sottile e lunga. Riprendere a scorrere fin dove quasi toglie il fiato e soffoca la mente.
Io gioco. Tento quasi di cacciarlo via.
Fuori dall'Eden della mia gola, ladro di voglie, stimolatore infallibile di piccoli peccati ad ogni sua comparsa. Succhio il serpente perché anche questo è un modo di tenerlo, controllarlo, impedirne nuove spire e nuovo possesso. Rubandogli sciogliendone la forza il succo che si porta dietro.
Ritrai la lingua.
E' quello che aspettavo, su cui giocavo la mia partita, darti il mio ritmo, con la musica che seguivo tra le labbra toglierti volontà anche un attimo soltanto.
Incantarti per rimetterti nel cesto.
Spingo la lingua che hai ritirato nella sua casa di saliva, dietro l'orlo dei tuoi denti.
Ora io sono nella cesta.
Col tuo serpente prigioniero che respingo, con la lingua, premendolo senza arrestarmi mai, più dentro.
Carezzo ogni sponda della cesta, quasi a controllare che tu non possa fuggire, trovare via di fuga da essa. E' calda e morbida la cesta. Umida di sapore.
Succhio gli umori di serpente caldo con cui tieni fresca e non fai mai secca la tana.
Bevo il sudore della lingua, è buono il tuo veleno di saliva, ha il tuo sapore caldo concentrato dalla notte.
Perché i serpenti cacciano all'alba, prima del sole.
Escono a cercare acqua e prede, cercano la gola della fonte, prima che la giornata se le porti via.
Conoscere i serpenti.
Io non ho mai avuto paura dei serpenti. Nel dormiveglia anche questa mattina ho giocato con il tuo.
Sperando mi mordesse.
Cercavo il tuo veleno di saliva calda e il morso che non può uccidere e che mi sveglia.
Nel letto ora i nostri corpi sono serpi. Le lingue si carezzano, noi arrotoliamo su di noi mani braccia e gambe. Avvolti.
Fanno l'amore così al mattino i serpenti. Arrotolati sulla voglia.
Il veleno è dolce.
Se a mordere e stringere spremendo l'aria dai polmoni, al risveglio sono i corpi degli amanti.

Faber

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